Pronti, partenza, replay: la grande impasse dell’avanguardia
La moda, scrivono i sociologi, è tutta un trickle-down, ovvero uno sgocciolamento verso il basso. La goccia parte dall’alto e precipita giù, dove la legge dell’imitazione interviene ad universalizzarla. Le cose non vanno diversamente nel mondo effimero dell’alta cucina, i cui trend ormai si forgiano nelle aule dei congressi. E più vicino di tutti alla magica bocchetta c’è lui, Lo Mejor de la Gastronomia, il congresso che si tiene ogni novembre a San Sebastian. Sono gocce che da qui si spargono orizzontalmente per vecchi e nuovi continenti, in attesa di una nuova differenziazione dall’alto.
Ma se l’anno scorso il flusso sembrava piuttosto rallentato, nel 2007 il rubinetto è apparso ancora meno generoso. Al massimo qualche replay delle invenzioni del passato, limature, rimescolamenti, manierismi di una cucina che ha sensibilmente ritratto il suo raggio di azione.
L’organizzatore Rafael Garcia Santos ha proclamato la sua intenzione di scovare i talenti più giovani; eppure è la vecchia guardia iberica ad aver brillato nelle figure di Pedro Subijana (memorabili i suoi fusilli di gelatina modellati attorno al verme del cavaturaccioli, virtuosistico esempio di cucina bricolata), Martin Berasategui (con la sua spettacolare “frittura all’unilaterale” di un filetto di salmone appoggiato su un colino rovesciato, irrorato contropelo di olio incandescente per un effetto di arricciamento delle fibre) e soprattutto Carme Ruscalleda, portabandiera di una grande cucina femminile (vedi il carpione di scampi stipato in una scatolina trasparente di gelatina, bellissima metonimia di ardite limpidezze gustative).
Ben nutrita la presenza italiana, che ha potuto contare su tagliandi plurimi per i suoi chef più in voga: Davide Scabin, Massimo Bottura, Moreno Cedroni, Paolo Lopriore (primo cuoco d’Italia secondo Garcia Santos), Enrico Crippa e Carlo Cracco. Dopo l’esperimento azotato, quest’ultimo si è cimentato con un’altra cottura estrema di quanto per eccellenza è crudo: l’insalata, scaldata sottovuoto con il motivo ricorrente dell’ostia e un pizzico di Texturas, lascito di uno stage del suo secondo al Bulli. I sei chef succitati hanno anche presentato sul palco il loro libro collettivo intitolato “6, Autoritratto della cucina italiana d’avanguardia”, firmato da Alessandra Meldolesi con fotografie e grafica di Bob Noto. Nel corso della conferenza sono state illustrate 3 ricette a quattro mani, prova delle potenzialità di una cucina fondata sul dialogo e sullo scambio scherzoso.
Hanno dato loro il cambio Alfredo Russo, Luisa Valazza, Enrico Bartolini, i Cerea e un applauditissimo Gennaro Esposito, autore di una pasta in 7 formati (il numero dell’infinito), ripiena di altrettante tartare di pesce crudo. I quattro piemontesi (Scabin, Crippa, Russo e Valazza) hanno animato una serie di dimostrazioni sul tartufo bianco, culminate in una premiazione e in un’esclusivissima cena: ponencias lunghe ma rivolte a un pubblico ristretto, con possibilità di assaggi e dibattito, probabile prototipo di nuove formule per i congressi di domani.
Numerosi anche i francesi, fra i quali ha spiccato il genio tardivo di Jean Luc Rabanel dell’omonimo Atelier, chef dell’anno secondo Gault & Millau, qui autore di un fico arrosto con olio di oliva, patè di olive nere e non-zabaione di pinoli.
Non sono mancate ponencias più tecniche, come quella di Wylie Dufresne, alle prese con gli idrocolloidi e le virtù stabilizzanti ed emulsionanti dei tuorli dagli enzimi modificati, o Vicente Torres del Submarino, teso a minimizzare le perdite del foie gras. Fino alla propaganda del Mycryo Barry, un grasso in polvere ricavato dal burro di cacao che ha sfoggiato le sue mirabolanti prestazioni in due ponencias ad hoc, reggendo altissime temperature e formando una camicia croccante attorno ai prodotti, che evita la dispersione dei succhi.
Manierismi d’avanguardia di congressi che sembrano mordersi la coda: dal burro d’olio di Ferran Adrià al burro d’olio sifonato di Carlo Cracco, al burro d’olio sifonato al pistacchio di Quique Dacosta, ci si chiede se i congressi non abbiano finito per divorare le loro stesse condizioni di esistenza.
Tutto ciò mentre le manifestazioni si moltiplicano e i grandi chef cominciano a razionare le presenze: Alajmo e Blumenthal a Milano piuttosto che qui, Adrià e Lopriore a San Sebastian piuttosto che a Milano; Andoni e Arzak in serrata continua durante il congresso basco (e ad personam durante il resto dell’anno). Lo chef del Mugaritz non mostra alcuna intenzione di recedere: “Soy un insumiso”, ovvero un obiettore di coscienza, dice; “per me Lo Mejor è come l’esercito spagnolo”. Nel frattempo le fila dei giornalisti si assottigliano, specie fra i sostenitori della temibile eresia andoniana. Un’emorragia che da Andrea Petrini in avanti non si è più fermata, mietendo vittime eccellenti.
Vinciguerra alla disfida dell’olio
San Sebastian è subito cominciato bene per la compagine nazionale. A portare a casa il trofeo annuale dell’olio (18mila euro compresi) è stato Ilario Vinciguerra dell’Antica Osteria di Monte Costone, in provincia di Varese. Il piatto, chiamato Profumo, consiste in una sfera di plexiglas contenente una semplice tartara di gamberi rossi di Mazara del Vallo condita con olio, fiori, due tipi di sale e due gelatine addensate con l’agar-agar, al nero di seppia e ai limoni di Sorrento, “per spingere e riequilibrare i sapori senza rimescolamenti visivi o gustativi. In questo modo aprendo la sfera si avvertono subito due soli elementi, l’olio extravergine e i gamberi”, spiega lo chef. Il consumo, guidato da un pieghevole per giurato, prescriveva di aprire il contenitore, annusare e scuotere prima della degustazione vera e propria. Il tutto è stato servito sopra un bicchiere di gin tonic, da sorbire alla fine con la cannuccia. Un buon esempio di food design italiano applicato a prodotti e sapori altrettanto nostrani. Secondo classificato (da voci di corridoio) Marco Bistarelli del Postale, con la sua crema di patate al limone cosparsa di calamaretti ripieni di extravergine, da fare esplodere in bocca in un sol boccone. Ma non sono mancate le polemiche fra cuochi e giornalisti, con qualche strascico nel prosieguo del congresso.
SSS: Davide Scabin odia il caso
Scioccando il pubblico spagnolo, poco avvezzo a simili finezze in termini di pasta, Davide Scabin ha presentato lo SCABIN SALT SYSTEM®, un sistema scientifico brevettato per la salatura dei piatti, che ha segnato la sua rentrée in grande stile a San Sebastian. La colonna sonora di Per qualche dollaro in più ha accompagnato una sequenza di slides:
A una sola parola è vietato l’ingresso in cucina.
Il caso.
Tutto deve essere:
• assolutamente controllabile
• perfettamente riproducibile.
Per salare la pasta la regola dice:
g. 100 di pasta
g. 10 di sale
l. 1 di acqua
Strano che nessuno si sia mai interrogato su questa parola,
La pasta:
rigatoni, fusilli, penne, spaghetti, orecchiette, linguine, tagliatelle, ditalini, maccheroncini, trofie, mezze penne, ruote, farfalle.
Vi sembra un unico soggetto?
Si possono salare tutti i tipi di pasta nello stesso identico modo?
Si può trattare una pasta corta nello stesso identico modo di una lunga?
Le mie ricerche dicono: no
Differenti tipi di pasta reagiscono in modo diverso quando entrano in contatto con l’acqua e quindi con il sale.
La pasta. Più tempo rimane nell’acqua più acqua salata assorbe.
The salt scabin system® dice che:
minore è il tempo di cottura della pasta maggiore è il quantitativo di sale necessario.
Nella regola manca un elemento fondamentale: il tempo di cottura.
La regola ha funzionato per due secoli.
è arrivato il momento di cambiarla.
The salt scabin system®
la regola del sale che tiene conto del tipo di pasta.
Dopodiché una decina di inservienti ha distribuito in sala pastiglie di sale con diverse grammature: 9 e 18 grammi, 11 e 22 grammi, 13 e 26 grammi.
Combinate con le quantità di acqua desiderata per cuocere la pasta, forniscono fino a 236 pesi possibili, per 90.970 combinazioni, valutate con tecniche statistiche. Alta matematica o alta cucina? Davide ha concluso: “Qualcuno dirà che ho inventato l’acqua calda: è vero. Ma è salata”. Uno sviluppo complesso per lo studio del sale già transitato a colpi di spruzzate e salamoie nel congresso di Milano, primo tassello di un progetto di domesticazione dei gusti primari ed industrializzazione delle pratiche di cucina che ha diviso la platea.
Enrico Bartolini, una buona giocata
Appena ventisettenne, chef patron in forte ascesa e presto padre, Enrico Bartolini ha portato sul palco una giovinezza fatta di fantasia e professionismo, che ha saputo far tesoro della lunga esperienza presso il ristorante del golf club degli Alajmo. “In Oltrepò, un cuoco un po’ oltre” è stato il motto del filmato di Bob Noto, girato in stile “country ironico” . Mai banali le ricette dalla prudente innovazione, come il risotto mantecato con gelato di barbabietola e schizzato di salsa al Gorgonzola, nelle sembianze di una mimetica fetta di salame; i grissini bolliti a mo’ di pasta con salsa cibreo e polvere di salvia; la crema bruciata alla birra su gelato di mirtilli. Una carta su cui puntare tranquillamente, nella partita della cucina italiana di domani.
Nuove distillazioni dagli alambicchi dei Roca
Non ha deluso l’intervento di Joan Roca, pur in fase di ripiegamento rispetto alle mirabolanti invenzioni del passato. Si segnalano in particolare due progressi riferiti all’uso del distillatore, l’apparecchio che estrae i profumi a bagnomaria a bassa temperatura (55 °C): per scomporre i fondi in liquidi trasparenti da addensare alla xantana e cromatici sciroppi superconcentrati (suggestiva dissociazione di profumi e colori, che consente di raccogliere gli aromi in fuga dai fondi) e come vaporizzatore in versione da tavola, fornito di essenze di cacao, foglie di pomodoro o caffè, capaci di riattivare latenti file celebrali.
Elaborazioni certosine di un lungo lavoro sulle interazioni sensoriali, per il quale i Roca hanno distanziato i tavoli del nuovo locale, minimizzando la possibilità di contaminazioni olfattive.
La moratoria di Ferran Adrià
Della tavola rotonda animata con Davide Scabin, Enzo Vizzari e Mauro Colagreco, rimarranno soprattutto le esternazioni revisioniste di Ferran Adrià, che già l’anno scorso aveva affermato dal palco: “Inventare è sempre più difficile”. Ebbene, a giudizio del grande chef catalano “l’istanza creativa oggi in Spagna rasenta la schizofrenia”, forse per responsabilità dei cuochi stessi. Adrià ha quindi chiesto una sorta di moratoria della creatività: “La situazione è imparagonabile a quella degli altri paesi, e non si deve esigere da qualsiasi ristorante ciò che si può avere al Bulli, che grazie alla sua condizione privilegiata può fare ricerca e sviluppare ogni anno decine di tecniche nuove. Per questo motivo è esagerato richiedere ogni anno novità, bisogna anzi recarsi ai congressi con aspettative diverse, perché è venuto il momento della riflessione”.
Un segnale sorprendente da parte di colui che più di ogni altro ha accelerato i ritmi e sostenuto una filosofia quantitativa dell’innovazione, per poi sperimentare negli ultimi anni un rallentamento simile a una brusca frenata, accompagnato dalle prime perplessità dei critici. Se lui rallenta, viene spontaneo domandarsi, forse devono farlo tutti gli altri?
Le armonie cangianti di un argentino a Menton
Mauro Colagreco del Mirazur ha issato sul congresso i vessilli raffinati della nuova leva transalpina: “Avendo origini italiane, porto pace fra la Francia, dove vivo e lavoro, e il mondo ispanico”, ha esordito. E la sua cucina “trasparente e di prodotto” ha messo tutti d’accordo, anche se le sue sottili e millimetriche armonie poco si prestano alla spettacolarizzazione dei prosceni. Valga ad esempio il Profumo di acqua di mare con mela acida, dove l’alga dulse, raccolta manualmente per non danneggiare il sottofondo marino, subisce un’infusione a freddo per poi entrare in un contrasto grasso-acido-iodato. Fra Alain Passard e Andoni, un’eleganza tutta e solo francese, che dalle pampas l’ha calamitato a Parigi e poi a Menton.
Russo dà idee
Alfredo Russo è approdato a San Sebastian con un libro fresco di stampa: il suo “Da idea” (editore Accolade), con un accento in sospensione fra il concetto-base delle ricette e le suggestioni più o meno intellettuali che ne emanano. Racconta 15 anni di Dolce Stil Novo, nella forma di un elegante ricettario per professionisti e non, con testi ridotti all’osso. Un libro d’uso giovane e bilingue, con la seconda parte in inglese. La sua ponencia ha fatto parlare i classici piemontesi rivisitati, dalla lingua in salsa verde al bollito con schiuma di carote e liquirizia. “Alcuni spettatori si sono stupiti che le ricette potessero essere composte di soli 3 ingredienti, ma la mia è una cucina davvero semplice, contro tanto minimalismo di facciata”.
And the winner is… Quique Dacosta
Quest’anno il demiurgico Rafael Garcia Santos ha portato sugli allori soprattutto Quique Dacosta (storico alter ego del genio ribelle del Mugaritz), premiato con la votazione di 9,5, la terza in assoluto in tutto il mondo.
Dopo la poetica dei veli e quella dei metalli, la collezione 2007 ha puntato sui paesaggi commestibili, che più che a Ferran Adrià o Joan Roca, fanno pensare alle vetuste architetture di Carême: insomma niente di nuovo sotto il sole, tecniche comprese, dal finto caviale di Subijana al distillato di terra dei Roca. Sensazioni di déjà vu sulle quali Dacosta ha giocato d’anticipo: “I progressi fatti negli ultimi decenni ci consentono di andare avanti per vent’anni”, ha affermato. Iperfigurativo il paesaggio del Bosco animato, con il tartufo seppellito da una finta terra dolciastra disseminata di funghi ed erbe, culminante in un incomprensibile pisello fuori stagione. Molto contestata la vittoria al concorso del tartufo, dove molti avrebbero preferito veder prevalere la classicissima patata con tuorlo e grattata di tubero di Luisa Valazza.
I tre moschettieri della lasagna
Un piatto sacro, goloso e tecnicamente discutibile come la lasagna rappresenta la massima sfida per un cuoco d’avanguardia. L’hanno vinta in 3: Massimo Bottura, Moreno Cedroni e Carlo Cracco, autori di una pagina sicuramente iconoclasta rispetto alla formula depositata alla camera di commercio di Bologna. Il primo, emiliano doc, ha proposto un piatto evocativo di sensazioni infantili: i ritagli dei tortellini messi ad essiccare sulla stufa nel proto-coup de feu, la corsa per accaparrarsi la crosta croccante in superficie nel pranzo domenicale. Ecco quindi il pomodoro estrapolato nelle forme di una presa d’aria Ferrari (ironico rimando ad un altro mito emiliano), il ragù bruciato al cannello per evocare la pasta ripassata, le tegole di pasta e Parmigiano, con una crema di Parmigiano a sostituire l’anacronistica besciamella.
Un buon esempio dello stile tecno-emozionale che sta facendo la sua fortuna. Moreno Cedroni ha rispolverato la sua verve iodata con una lasagna in stile pincho, in omaggio al terroir ospitante. Un boccone verticale da afferrare a mo’ di finger food, composto di ragù di baccalà, pasta caramellata dolce/amara, fogli di baccalà rassodati con la metilcellulosa in stile Dufresne e una pratica presina di alga nori. Carlo Cracco infine ha ripreso il filo dei suoi quaderni, passando dai fogli di pesce a quelli di carne, con una lasagna in chiffonnade composta da pasta di trippa, corallo di capesante e semi di senape.
Dopo il rognone con i ricci, un altro cortocircuito di frattaglie di terra e di mare.
Paolo Lopriore emoziona (col gusto e le parole)
“Nel piatto non voglio fare trapelare gli sforzi e le fatiche della cucina”, ha esordito Paolo Lopriore del Canto di Siena, che quest’anno ha intrapreso una ardita ricerca sfociante nelle forme più naïf; comunicano gli stati emozionali del gusto, nel rifiuto di qualsiasi sviluppo ornamentale. A San Sebastian tre monocromi praticamente privi di volume hanno trasmesso gioia e tristezza, paesaggi sì ma dell’anima, lontani dai cliché mimetici e figurativi. Per cominciare i Porcini con tabacco e noci, ricostruzione dell’atmosfera di un bar toscano in autunno, dove si va a fumare quando ci si sente tristi, mentre la natura fuori preme con la forza di profumi e colori. Poi i “tagliolini verdi”, che sotto la scorza della normalità mangereccia celano le emozioni selvagge e l’afrore balsamico della macchia mediterranea, nel suo impossibile mariage con le alghe e il pesto. Un gusto estremo, aggressivo, esaltato dalla temperatura di servizio fredda: finalmente “una pasta che ha il gusto del suo colore”, promette lo chef. Per finire il monocromo di scampi, affondo naïf e quasi luddistico che rimescola con gesto primitivo gli scampi schiacciati, il centrifugato di carote, una manciata di odori che ruotano attorno all’universo citrico e al bacino del Mediterraneo. Una reazione alla cucina cosmetica che postula un investimento di fiducia di fronte a tre diversi nascondimenti, ad opera della panna, di una forma nota e del velo aranciato degli scampi.
Andoni ad Ibermatica: elogio della lentezza
Il convitato di pietra Andoni Luis Aduriz ha animato una tavola rotonda sull’innovazione organizzata da Ibermatica, perfetto controcanto del Congresso, di cui ha involontariamente descritto i meccanismi. In piena atmosfera surreale stile Mugaritz, il prestigioso istituto di ricerca di San Sebastian ha chiamato a confrontarsi negli spazi del palazzetto dello sport personalità disparatissime tese ad un unico fine: l’indagine dei circoli virtuosi e viziosi dell’innovazione. Ecco allora un allenatore di basket e i suoi schemi variabili per centrare il bersaglio, eminenti scienziati, fra cui un paleontologo e un economista, un filosofo, un sacerdote e per l’appunto un cuoco, con l’intervento finale del presidente della regione basca. Hanno fatto canestro fra gli altri Daniel Innerarity, cattedratico di Saragozza e Burdeos III, e il glaciologo Adolfo Eraso. Il primo ha parlato della contemporaneità come di un’agitazione che genera pesudomovimenti: “Il nostro mondo fa pensare alla Sonata di Schubert in cui il compositore scrive: più veloce possibile, e nella pagina successiva: ancora più velocemente. Oggi niente permane eppure nulla cambia: bisogna combattere il falso movimento”. Il secondo ha illustrato a un pubblico allarmato l’avanzamento dei cambiamenti climatici, faccia matrigna di un’innovazione poco sostenibile, che richiede svolte sostanziali (e la sostenibilità è una tematica che riguarda la cucina non meno dell’Antartide, se è vero che le ambizioni faustiane della generazione passata potrebbero avere bruciato un mare di possibilità per il futuro).
Discorsi che si sono naturalmente riflessi nell’intervento di Andoni Luis Aduriz, autore di un kunderiano elogio della lentezza: “I cuochi negli ultimi tempi si sono sentiti obbligati a fare moltissime ricette. Ma quante valgono davvero? Rivendico la possibilità di vivere ciascuno nella propria dimensione temporale, quella in cui rende di più, contro l’imposizione di un ritmo dall’esterno, anche da parte dei congressi.
Cucinare un’idea richiede un tempo preciso, esattamente come cucinare una ricetta”. Poi a quattr’occhi ha commentato: “Sono davvero felice di trovarmi qui con filosofi e scienziati, anziché essere al Kursaal”.
Dai due eventi emerge la necessità di un’avanguardia lenta e profonda, forse l’unica strada percorribile per una cucina costretta a cambiare paradigma.
Dall’innovazione estensiva degli scorsi decenni, impostati su un’accelerazione insostenibile e sulla produzione industriale dello choc, ad uno sforzo qualitativo che sappia confrontarsi con nuovi spessori: le allegorie concettuali di Andoni Luis Aduriz, l’intensa cucina evocativa di Massimo Bottura, gli stadi emozionali del gusto di Paolo Lopriore.
Tutte strategie dirette ad un complesso coinvolgimento emotivo e intellettuale del cliente, basate non a caso su profonde rivoluzioni gustative, quali la sostituzione del principio di rarefazione alla concentrazione di Andoni Luis Aduriz e lo scardinamento del dogma dell’equilibrio da parte di Paolo Lopriore. Probabili vie obbligate per l’avanguardia di domani, se non vogliamo darla vinta ai conservatori che già cantano vittoria inneggiando ad un presunto arretramento della tecnica e della cerebralità in favore del “gusto”. Forse invece è proprio adesso che il gioco si fa serio.