Da quando è arrivato a Bangkok, lo chef Gaggan Anand si è proposto, con successo, di ridefinire il cibo indiano secondo una propria filosofia e un proprio stile progressista, dove il tipico e il tradizionale si combinano con influenze moderne e tecniche di cucina contemporanee.
Nel 2010, dopo numerose esperienze imprenditoriali e confronti con i grandi chef mondiali, come quello con Ferran Andrià a El Bulli, ha aperto il suo primo ristorante chiamato “Gaggan” da subito inserito nella lista dei 50 migliori ristoranti del mondo, raggiungendo il quarto posto nel 2019, mentre per quattro anni consecutivi (2015-2018) è stato il numero uno tra i 50 migliori ristoranti dell’Asia.
Tuttavia, a causa di divergenze ideologiche con gli altri colleghi, Gaggan, insieme a un manipolo di giovani “ribelli”, ha mollato tutto e si è speso per dare vita a un ulteriore nuovo progetto.
Il progetto dell’attuale ‘Ristorante Gaggan Anand’ si nutre della sua indomita e impressionante creatività con un menù che gli è valso il 5° posto nella lista dei 50 best in Asia: “Il cibo è un atto d’amore – sostiene lo chef – e il relax dei nostri ospiti è un momento emozionale che cerchiamo di arricchire con rinnovato entusiasmo ogni giorno. Non siamo il tipico ristorante di alta cucina – avverte – perché il team si sforza di condividere con gli ospiti un approccio che sia interattivo e seducente sotto tutti gli aspetti, dal cibo al design, dal menù al servizio”.
Stagionalità, sostenibilità dei prodotti e rapporto costante con i produttori locali, costituiscono i fondamenti per arrivare a toccare tutti i sensi delle persone: “Uso il cibo per sedurle e sorprenderle, senza alcuna pretesa e imposizione da parte nostra, ma con spirito di compartecipazione.
L’idea di base – continua Anand – è creare una sorpresa continua che spinge il cliente a mettere in campo le proprie emozioni e la propria immaginazione per dare vita al proprio menù personalizzato.
Il nostro stile ha subito una costante evoluzione: avevamo iniziato con un menù fatto di emoticon trasparenti dove ogni simbolo rappresentava un piatto e gli ospiti dovevano scoprire cosa stavano mangiando.
Con l’apertura del nuovo ristorante, il menù si è trasformato da puzzle ispirato agli emoticon, a test esperienziale condiviso in base alle curiosità del cliente.
D’altra parte – asserisce lo chef – non mi piace più la pratica di servizio degli ultimi 20 anni, quando ti sedevi al tavolo di un buon ristorante di lusso, con le loro tovaglie immacolate e proposte comuni per tutti. Quello che oggi stiamo facendo è un cambio totale di marcia. Il concetto di lusso si è trasformato anche sulla spinta dei grandi cambiamenti epocali post pandemici e sono davvero onorato di poter aggiungere colori nuovi a questa trasformazione.
Così, mentre molti dei piatti si mangiano come da tradizione, la maggior parte si afferra con le mani, e in alcuni si deve addirittura usare la lingua per leccare il piatto. L’esperienza è destinata a promuovere un’assunzione dei cibi partecipativa, personale e rassicurante. Oggi – conclude lo chef – l’alta cucina deve essere pensata al più elevato livello nella scala della creatività”.
[Questo articolo è un estratto dal n° 352 della rivista La Madia Travelfood. Puoi acquistare una copia digitale nello Sfoglia-Online oppure sottoscrivere un abbonamento per ricevere ogni due mesi il volume cartaceo.]