“Non vorrei che il suo sapere andasse perso dopo di lei”. Pare sia stata questa supplica, velata della lusinga di dare un seguito alla propria arte culinaria, ad allontanare il “cuoco dei re” Nino Bergese, dal suo regale pensionato genovese. Dopo aver passato una vita al servizio delle più importanti case nobiliari Italiane, Bergese decise di dare ascolto alla richiesta di Gianluigi Morini e seguirlo nell’avventura del nascituro San Domenico di Imola abbandonando il suo stellato ristorante genoano, “La Santa”. Siamo alla fine degli anni sessanta e la società italiana vive quell’inizio d’industrializzazione che tende ad appiattire i valori personali a vantaggio dell’efficienza produttiva, considerando dispersivo il tempo dedicato alla tavola. Il mondo dei nobili e degli aristocratici, finito all’indomani della seconda guerra mondiale, aveva lasciato in eredità cuochi di casa dall’elevato senso dell’ospitalità e del ricevimento, esatta personificazione di quanto scriveva Brillant-Savarine: “Invitare qualcuno a pranzo significa occuparsi della sua felicità finché sarà sotto il nostro tetto”.
Di questo spirito è fatto il San Domenico e ancora oggi, dopo quarantacinque anni, non tradisce le sue origini. Bergese, Morini e i fratelli Marcattilii (Valentino in cucina e Natale in sala) hanno saputo dare materia a questo elevato senso della cura dell’ospite, il cui benessere passa attraverso i suoi sensi, che rimangono estasiati da quanto possono vedere, toccare, ascoltare, annusare e gustare in questo locale. L’ambiente ancor oggi rimane fedele a se stesso, perfettamente in simbiosi con il vecchio caseggiato, un tempo bottega delle carni del nonno di Morini, immerso in un paesaggio urbano pervaso dalla quiete ereditata dal vecchio monastero domenicano e il suo antico chiostro prospiciente l’ingresso quasi defilato del ristorante. Neppure un’insegna a deturpare l’elegante sobrietà di una facciata che con la bella stagione si adorna di un dehors estivo da trenta coperti. Internamente i colori caldi del legno e del cuoio sposano perfettamente le tonalità giallo ocra dei tessuti e dei rivestimenti floreali dei soffitti. I quaranta posti a sedere interni sono suddivisi in tre sale, di cui una è dotata dell’originale camino della bottega di nonno Morini e questa, più di ogni altra, interpreta la filosofia della cucina di casa: dopo le libagioni ci si può sedere nel salottino di fronte al fuoco per finire la serata in amabili conversazioni.
L’interrato nasconde due immensi tesori: i cunicoli in pietra costruiti dai dominicani oltre cinquecento anni fa e un’immensa collezione di vini e distillati provenienti da ogni parte del mondo, con annate storiche e introvabili, frutto di un’attenta ricerca iniziata da Gianluigi Morini grazie anche ai consigli del suo amico Veronelli.
LA CUCINA NEL PASSAGGIO DA IERI A OGGI
Nino Bergese forgiò la sua arte culinaria alle dipendenze di Giovanni Bastone, futuro cuoco di casa Agnelli, in un tempo in cui le ricette si perpetuavano oralmente e attraverso la pratica. Dedicare il suo ultimo scorcio di esistenza terrena a formare nuovi talenti, tramandando la sua regale arte culinaria mediante l’adattamento alle esigenze di un ristorante, ha rappresentato l’ideale passaggio di consegne tra il mondo decaduto delle famiglie aristocratiche italiane e quello in ascesa della moderna borghesia. Un passaggio non facile e pieno d’insidie perché cucinare in casa era agevolato dal fatto di sapere sempre quante persone si avevano a tavola e avere un menù prestabilito la sera prima. Nino trovò in Valentino Marcattilii, allora giovane chef, materia duttile da plasmare tanto che i due fusero ben presto le loro identità professionali, creando le premesse che portarono Bergese a finire i suoi giorni a Imola dopo sette anni di fervida collaborazione. Oggi, nonostante la continua evoluzione, il San Domenico propone alcuni classici “intoccabili” come l’uovo in raviolo, il medaglione di vitello in salsa di vodka e crema di latte oppure la torta fiorentina che da sola valse a Nino Bergese il dono da parte di un ventiduenne Umberto di Savoia, di un paio di gemelli d’argento con lo stemma reale. Ma molte altre sono le ricette storiche o nuove che compongono la proposta del menù e che negli anni hanno portato il ristorante a fregiarsi di due stelle nella prestigiosa guida Michelin.
LA CUCINA DEI RE OGGI E DOMANI
Massimiliano Mascia, nipote di Natale e Valentino Marcattilii, rappresenta il ponte verso il terzo millennio per la cucina del San Domenico. Di Nino Bergese ha conosciuto solo gli aneddoti che suo zio Valentino gli raccontava quando, ancora fanciullo, Massimiliano rubava con gli occhi la tecnica di cucina per poi sperimentarla tra le mura domestiche, imbrattando pentole e accessori della mamma. Sfrattato dalla cucina di casa, frequentò l’istituto alberghiero dove entrò con la convinzione di portare avanti la dinastia stellata del San Domenico, alternando alla scuola e alle atmosfere del ristorante di famiglia quelle del ristorante Vissani, del ristorante Da Romano a Viareggio o dell’Osteria Fiamma di New York finendo anche alla corte di Chibais e di Alain Ducasse. Nascere in un ambiente regale dell’arte culinaria, con la passione della cucina, ti consegna alla storia come un predestinato, ma se da un lato può agevolarti la carriera, dall’altro ti carica subito di responsabilità che possono farti crescere velocemente o affossarti. Massimiliano ha già dimostrato con la sua grande umiltà di essere un vero predestinato, tanto che la collaborazione con lo zio Valentino prosegue in simbiosi ormai da anni e l’arrivo in sala del giovane Giacomo Mercattilii da conforto alla continuità della famiglia nella conduzione del ristorante. Non sarà un compito facile quello della nuova generazione. Nell’attuale era ipertecnologica, con una civiltà che fa della massificazione produttiva il fiore all’occhiello della propria ragione d’essere, raccogliere il testimone che Bergese e Morini assieme a Valentino e Natale avevano piantato il sette Marzo del 1970, sarà un compito arduo. Si tratta di riportare le future generazioni alla percezione della quint’essenza dell’essere, alla capacità di rallentare per dilatare i propri sensi e abbandonarsi a essi. La vittoria di questa nuova sfida, sarà la vittoria della “cucina dei re” a un secolo dalla loro epopea.
RISTORANTE SAN DOMENICO
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