
La storia
Il termine “Vin de Garage” fu coniato agli inizi degli anni ’90 da uno dei massimi esperti di vino francese, Michel Bettane, redattore della Revue du Vin de France sino al 2004.
Questi vini provenivano principalmente da Bordeaux ed erano prodotti in piccolissime cantine e in minuscole quantità di bottiglie (per esempio Château Valandraud e Château La Mondotte di Saint-Emilion oppure Château Le Pin di Pomerol): di qui “Vin de Garage”, cioè vini fatti in garage. I grandi punteggi ottenuti in degustazione da critici come Robert Parker (da lui chiamati “garage wines”) ne hanno determinato il successo commerciale, oltre a scatenare folli aste per accaparrarsi le poche bottiglie disponibili con dinamiche di prezzi assolutamente incredibili, tanto che per alcuni di loro si sfiorano ai tempi addirittura qualche migliaia di euro a bottiglia, cifre che neanche i famosi “premier cru” bordolesi avevano mai raggiunto nel momento della loro uscita sul mercato.
L’antesignano di questo movimento fu senz’altro Château Valandraud di Saint-Emilion al quale va, senza ombra di dubbio, il merito di aver incrinato l’equilibrio che la Saint-Emilion vinicola aveva raggiunto nel corso della sua storia.
La sua seconda annata di produzione, il 1993, si aggiudicò i 93/100 di Parker, ma anche La Pen di Pomerol con l’uscita della vendemmia 1982 divenne un mito, grazie ad un punteggio di 100/100 sempre di Parker.
A Borbeaux (soprattutto Pomerol e Saint-Emilion) si iniziarono a vinificare separatamente le singole particelle, ottenendo così vini in purezza e in pochissimi esemplari a prezzi molto elevati.
Non solo in Francia ma anche per esempio in California, sempre grazie alla critica americana le cose andarono in maniera analoga.
In Napa Valley l’azienda Screaming Eagle dell’enologa Heidi Barret produce ancora oggi un cabernet sauvignon in purezza acquistabile solo attraverso una mail list. Nel 1982 ottenne un’attenzione mediatica incredibile e le allora quasi 800 bottiglie sparirono immediatamente dal mercato.
Da citare sicuramente anche Helen Turley in Sonoma Cost, soprattutto il suo chardonnay Marcassin Vineyard 1996 (97/100 da Parker), gli introvabili cabernet sauvignon di Grace Family e il cabernet sauvignon di Bill Harlan.
Il fenomeno Italiano
Questo fenomeno non si è fermato solo alla Francia e alla California, anzi ha interessato diverse zone produttive, se non addirittura tutte, a livello mondiale. Anche l’Italia può vantare diverse aziende considerate “garagiste”.
L’Apparita, merlot in purezza di Castello di Ama nelle prime tre annate di produzione, ’85, ’86 e ’87 era un prodotto praticamente inesistente sul mercato ma già con punteggi altissimi.
Un altro merlot in purezza, il Redigaffi di Tua Rita, nasce con la vendemmia ‘94 quasi per errore da alcune barrique di merlot destinate al blend del Giusto di Notri (cabernet e merlot).
Anche il Masseto della Tenuta dell’Ornellaia (merlot in purezza) nacque come un vino di piccolissima produzione, ad oggi è considerato uno dei pochi vini italiani, se non l’unico, paragonato ai grandi Bordeaux di Pomerol.
Molto ricercato anche il Galatrona della Tenuta di Petrolo, altro merlot in purezza, anche lui prodotto in piccolissime quantità.
Il Kurni (da uve montepulciano) dell’azienda Oasi degli Angeli di Marco Casolanetti, piccolo nasce e piccolo rimane. Un montepulciano in purezza di grande concentrazione la cui vinificazione prevede il doppio passaggio in barrique nuove.
Basse rese e grandi estrazioni per un vino che ha fatto urlare al miracolo la critica estera e di conseguenza il mercato italiano è il Tenuta di Trinoro (da uve cabernet franc, merlot, cabernet sauvignon e petit verdot) della Tenuta di Trinoro di Sarteano in Toscana.
Non solo in Toscana sono stati prodotti vini considerati “de garage”, infatti al sud, nascono nel 1991, da un’unica barrique le 300 bottiglie di Montevetrano di Silvia Imparato (cabernet sauvignon, merlot e aglianico).
Nel 1994, sempre al sud, nasce in pochissimi esemplari il Terre di Lavoro (90% aglianico e 10% piedirosso) di Galardi, e poco più tardi il Bue Apis (aglianico in purezza) della Cantina del Taburno. Da ricordare Enzo Pontoni con la sua Miani di Buttrio in Friuli vero e proprio “garagista”, mentre in Piemonte non si possono dimenticare le poco più di 1000 bottiglie di Barolo ’85 e ’88 di Josetta Soffrio e, più di recente, il fantastico ’97 di Barbaresco Ovello della Cantina del Pino.
Il futuro dei Vins de garage
Il fenomeno dei “Vin de Garage” oggi è passato sicuramente in secondo piano, in sostanza si è trattato, per quanto riguarda specificamente il Bordolese, di vini molto concentrati, ricchi di struttura, affinati in barrique e quindi piuttosto tostati e affumicati, tali da distinguersi nettamente dai tradizionali Cabernet, eleganti e raffinati ma bisognosi di lunghi affinamenti in bottiglia per esprimere appieno i loro aromi e per armonizzare la presenza dei tannini.
Ancora oggi nascono nuovi “Vin de Garage” prodotti in pochissimi esemplari che colpiscono particolarmente la critica impennandone immediatamente le quotazioni, ma si tratta di vini non più ancorati a regole ben precise che si distinguono per uno stile più lineare che per un preciso vitigno o un utilizzo smisurato dei legni soprattutto per il punto di bevuto odierno.