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Samuele AmadoriTrentamila visitatori, fra professionisti della ristorazione, cuochi e semplici curiosi. Poco meno di un centinaio di giornalisti intervenuti, le telecamere di diversi programmi Rai impegnate a riprendere le evoluzioni degli chef e dei produttori presenti a Rimini: “Decanter” e “Orizzonti”, “Eat Parade” e “Quelli che il calcio”, ma anche “Linea Verde” hanno realizzato servizi e collegamenti (una diretta con Simona Ventura) con il palco del 7° Festival della Cucina Italiana, organizzato da La Madia Travelfood con il patrocinio del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, che in questo contesto aveva collocato il proprio stand istituzionale.
E’ andata bene, benissimo, non c’è che dire. D’altronde, l’occasione era ghiotta. Prima di tutto, il Festival della Cucina Italiana, tenutosi dal 10 al 13 febbraio, era dedicato al pomodoro, uno dei veri simboli dell’Italia. Quella che ama mangiare bene, e che fa felici, a colpi di share, i direttori dei programmi televisivi. Il Buonpaese si è conquistato un ruolo di primo piano sul piccolo schermo, soprattutto quando si lascia interpretare da manifestazioni come questo festival. Poi c’era la possibilità per gli appassionati di cucina e per i professionisti alle prime armi di avvicinarsi ai cuochi di primo piano, che magari non si possono sperimentare tutti i giorni, visto la dislocazione sul territorio. Qualcuno, come Gino Angelini, in Italia, a mettere mano alle padelle, si vede sì e no due volte l’anno. E allora è giusto approfittare di queste lezioni. Infine, il Mia è una fiera dell’alimentazione generica, che punta sulla grande distribuzione. Un angolo dedicato all’alta qualità, con produttori d’eccellenza è un buon termine di paragone per capire in quale direzione sta andando l’industria alimentare. Ed è anche un’oasi felice per il visitatore che vuole fare una pausa dalla marcia faticosa fra gli stand esclusivi per addetti ai lavori. Non è semplice far convivere una grossa fiera con un evento che guarda all’universo gourmand: basta fare una passeggiata dall’ingresso della Fiera in direzione Festival. Si attraversa prima una padiglione pieno di acquari. Lì vivono le loro ultime ore aragoste, fasolari e pesci vari. Nell’aria si avverte un forte odore di pesce fritto. Acquari-pesce cotto, la sensazione è vagamente inquietante. Il padiglione successivo colpisce le narici come una martellata. Pastella fritta e brioches al micro-onde, se si può individuare così la ventata calda che stordisce. E’ dura arrivare al Festival della Cucina, e finalmente godersi un bicchiere di champagne Marie Stuart o una bruschetta al pomodoro Camone.
Le stelle e i fornelli
Il tema del pomodoro poteva sembrare un limite, è vero. Ma gli Esercizi di Stile, come avrebbe detto Raymond Queneau, sono stati tanti e alcuni molto interessanti. Lo chef che ispirava maggior curiosità era Gino Angelini. Giocava in casa, perché di origine riminese, ma ormai da parecchio tempo emigrato a Los Angeles, a preparare leccornie per i Dustin Hoffman e le Cameron Diaz. Gino Angelini ha preparato vari piatti, ma fra questi il più interessante è stato la Caprese di pesce spada con pomodoro Pachino e pistacchi di Bronte. Cottura leggerissima per il pesce e per la sua copertura di pistacchi e pinoli. E con l’aggiunta di ingredienti non cotti, come la burrata e l’olio al basilico preparato dalla stessa brigata dello chef, il capolavoro è pronto. Un piatto aereo ma dai sapori irripetibili. Da segnalare anche il dessert a base di pomodoro: Quenelle di squacquerone con marmellata di pomodori verdi e Pachino caramellato. La leggerezza di questi piatti si è dimostrata straordinaria, così come il legame con il territorio d’origine. Gino Angelini è davvero l’unico chef in circolazione a dare la sensazione di capire e interpretare alla perfezione la Romagna da mangiare. Forse la lezione più seguita è stata quella di Ettore Bocchia, che ha stupito il pubblico con il suo cavallo di battaglia, la cucina molecolare. Scelta popolare, la sua, coronata nella realizzazione del gelato al pomodoro preparato con l’azoto liquido.
Luca Angelini di Palazzo Albergati a Bologna ha presentato un piatto intitolato Ravioli di storione e caviale italiani in crema di pomodoro. In particolare, la crema di pomodoro si era dimostrata intrigante, perché fra gli ingredienti si segnalano scalogno e mela verde che, abbinati all’olio ligure, danno un mix in cui la leggera acidità si abbina perfettamente alla delicatezza dello storione marinato.
Claudio Sadler ha ingolosito un po’ tutti con il suo Risotto al pomodoro con uovo croccante e foglioline d’oro, ricetta semplice ma allo stesso tempo dotata di una sofisticata apparenza minimal. Sadler si è fatto molti amici, a Rimini. E poi Leeman, cuoco milanese che con il pomodoro ha un feeling particolare.
Sarà perché si occupa di cucina vegetariana o perché è un filosofo dei fornelli, ma il suo gazpacho destrutturato e “ristrutturato” ha toccato le corde dei gourmand più intelligenti.
Questi sono solo alcuni dei dettagli sui bei nomi che chi è stato a Rimini ha potuto ammirare. Chi ne è uscito bene è stato il movimento italiano, che troppo spesso, nei festival e nei congressi, viene snobbato. Ce ne fossero di Cammerucci, Pompili, Liuzzi, Succi, Consolini o Urso in giro per l’Europa…
Le cose buone del Festival
Il pomodoro ha vinto la sua sfida. L’area PomodoroItaliano.it ha promosso le più interessanti varietà di frutti che sono disponibili sulle nostre tavole, comprese quelle che non si trovano tutti i giorni, come il dolcissimo Camone. Fra gli stand dei produttori, davvero tante le “loverie”, per dirla alla riminese. Stefano Rocca è una piccola impresa artigiana di Quartucciu (Ca) che lavora la bottarga. Al festival c’erano anche tre produttori eccellenti di olio che non si incontrano tutti i giorni. La Cooperativa olivicola umbra Ditrevi, i Mastri Oleari De Carlo di Bitritto (Ba) e Coppini Arte Olearia (Abruzzo). Tante piccole realtà al fianco di nomi già conosciuti, come l’acetaia Dodi, il Molino Spadoni, le Conserve della Nonna. E molto vino di qualità, vera novità merceologica al MIA di Rimini, accolta dal pubblico di addetti ai lavori con grande entusiasmo e attenzione.
Il Premio Nazionale
Il Premio Nazionale Innovazione nella Tradizione istituito dal 7° Festival della Cucina Italiana e consistente in una splendida salsiera in porcellana Villeroy & Boch e in un vassoio in argento di Broggi, è andato a Gianfranco Vissani per aver stigmatizzato il cattivo uso che del pomodoro si fa in Italia, dimenticando sia le biodiversità che il valore qualitativo del pomodoro. Lo chef più televisivo dello Stivale si è esibito in un accorato elogio del pomodoro di qualità, unico rimedio mediterraneo al dilagare dell’utilizzo di un prodotto scadente anche nell’alta ristorazione; a Bruno Gambacorta per aver iniziato, con la rubrica Eat Parade su Rai 2, un percorso di conoscenza della migliore enogastronomia presso il grande pubblico televisivo. Il giornalista ha voluto ricordare che la grande attenzione dei media per l’enogastronomia “è uno stimolo a continuare a fare informazione corretta anche per chi ha iniziato in tempi non sospetti, quando non era di moda”; ad Angelo Agnelli, nel centesimo anniversario della fondazione della prestigiosa azienda bergamasca, produttrice di pentole in alluminio. Simpatico siparietto quando l’attore Riccardo Rossi ha chiesto a Gambacorta un giudizio su Vissani giornalista. Dopo un primo imbarazzo, Gambacorta ha promosso a pieni voti il vulcanico cuoco. Al centro della foto anche Elsa Mazzolini, organizzatrice del Festival.T utti promossi, insomma dopo quattro giorni di Festival. Non si può che chiudere con una domanda, però. Dopo patata e pomodoro, su cosa si concentrerà l’edizione 2008 del Festival della Cucina Italiana?
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