Un passato che si fa presente un presente che è già futuro dell’alta cucina italiana
Febbraio 2021 – Varcando le porte del San Domenico di Imola si entra nella storia dell’alta cucina italiana, in un luogo dove ogni giorno l’elegante tocco dello chef Max Mascia incontra la storica accoglienza di una sala premurosa, colta e attenta. Da cinquantuno anni è il ristorante due stelle Michelin dove sentirsi a casa, sognando ad occhi aperti nelle sue raffinate sale e lasciandosi avvolgere dai profumi e dai sapori di una cucina che si ispira al passato con uno sguardo sempre nuovo.
Morini, Bergese, i fratelli Marcattilii e Mascia: l’intraprendenza di chi ha reso grande il San Domenico
È il 7 Marzo 1970 quando il San Domenico apre le sue porte a Imola per la prima volta grazie a Gianluigi Morini e ai suoi soci. Morini con questo ristorante dà vita al suo sogno: concedere a tutti la possibilità di conoscere e apprezzare la grande cucina italiana in un luogo accogliente, in cui ogni ospite possa gustare il calore del sentirsi a casa. Una vera e propria intuizione, oggi più che mai attuale. Per il suo ristorante Morini sceglie il meglio e l’arrivo del celebre chef Nino Bergese nel 1972 è il coronamento del suo desiderio, il momento in cui il ristorante raggiunge la piena affermazione e il più grande prestigio. Convincere lo chef ad accettare l’incarico al San Domenico non è stato semplice: dopo una carriera alla corte dei Savoia e come chef personale della famiglia Agnelli, Bergese con il suo ristorante “La Santa” aveva già conquistato le due stelle Michelin, massimo riconoscimento del tempo per l’Italia, e nei primi anni ’70 si considerava ormai in pensione. L’ardore e la tenacia di Morini, scritte nero su bianco in una lunga lettera indirizzata allo chef, lo convincono però a trasferirsi a Imola a varcare la soglia della cucina del San Domenico.
Tutta la sua cultura e conoscenza della cucina, le tecniche e i segreti per rendere grande ogni piatto sono stati l’insegnamento più grande per il giovane e appassionato Valentino Marcattilii, già mosso da un’immensa curiosità verso la cucina. Bergese in lui riconosce fin da subito l’istinto del grande chef e forma il suo approccio alla cucina, prima nelle sale del San Domenico e poi invitandolo a provare un’esperienza all’estero, per confrontarsi con nuove brigate e nuove tradizioni: in Francia, proprio negli anni della Nouvelle Cuisine, lavora con i fratelli Troisgros, poi con la famiglia Haeberlin e con Fernand Point. Un bagaglio di esperienza e di cultura che insieme a quella italiana hanno dato vita all’identità unica e definita del San Domenico, un’impronta che ancora oggi si ritrova sia in cucina che in sala, dove le redini sono tutt’ora nelle mani del fratello di Valentino, Natale Marcattilii. Dopo soli tre anni dall’apertura il San Domenico ottiene la prima segnalazione sulla Rossa, nel 1975 la stella Michelin e nel 1977 la seconda, che ancora oggi brilla nelle sue sale. Sono solo gli anni ’70 ma il ristorante si dimostra già estremamente attuale e rivoluzionario nel suo nuovo modo di pensare la ristorazione, che fino a quel momento era vissuta come sola alternativa alla tradizione domestica, un luogo dove si respira il futuro dell’alta cucina.
Negli anni ’80 poi arriva la seconda casa del San Domenico nell’abbagliante New York dell’epoca: un ristorante da cento coperti dalla pura identità italiana, che ha conquistato fin da subito celebrità e personaggi di spicco della Grande Mela. Il ristorante, il primo del nostro Paese a ricevere tre stelle del New York Times, chiuderà nel 2007.
Oggi il 2 stelle Michelin più longevo d’Italia vive una nuova stagione senza tradire mai la sua storia e i suoi 51 anni di successi, con uno sguardo sempre rivolto al suo storico e illustre passato, ma che si rinnova ogni giorno nella freschezza, cultura ed empatia dello chef Max Mascia. Una capacità, quella del ricambio generazionale così fluido e naturale, che dopo 50 anni rende ancora il San Domenico di Imola un ristorante unico grazie alla cura perfetta dell’accoglienza, dove eleganza e raffinatezza si ritrovano in ogni singolo dettaglio, e alle solide radici di una cucina storica ma in grado di evolvere, migliorarsi e incontrare le nuove generazioni.
Max Mascia, la force tranquille
“Perché farmi chiamare chef? Lo stagista lo chiamiamo per nome, non ‘stagista’. Beh, è la stessa cosa.” Risponde così Max, quando qualcuno chiede come mai nella cucina di uno dei 2 stelle Michelin più leggendari d’Italia, la brigata intera lo chiama “Max”. Massimiliano Mascia, classe 1983, è un uomo attento, generoso e affabile: sa osservare e ascoltare con grande empatia, per poi agire molto velocemente. La sua caparbietà e il suo sguardo attento e curioso gli hanno permesso vincere una delle sfide più difficili dell’ultimo decennio: accompagnare il mitico ristorante San Domenico di Imola nella realtà del 21esimo secolo.
Max cresce al San Domenico fin da adolescente: è un luogo che sa di casa, dove le sue giornate sono accompagnate dal profumo del pane fresco pronto per essere sfornato e dove assapora per la prima volta i grandi piatti dello zio Valentino Marcattilii, che aiuta quotidianamente in cucina. Innamoratosi del mondo della ristorazione, Max è pronto per passare sette anni in viaggio, lavorando in alcune delle più grandi cucine del mondo come Ducasse a Parigi e al Plaza Athénée in Costa Azzurra. In questo periodo il giovane chef osserva, sperimenta e continua a crescere, tanto da ricevere dagli zii Natale e Valentino la piena fiducia: nel 2010 torna a Imola dove prende le redini del ristorante e della sua intera gestione a soli 27 anni.
La cucina del San Domenico: accogliente, deliziosa, naturalmente elegante
L’idea di Max è chiara fin da subito: il ristorante emblema dell’età d’oro dell’Italia, il luogo stellato ritrovo di grandi scrittori e attori, star americane, piloti di Formula Uno e grandi industriali, deve conservare i suoi valori e rimanere sé stesso, elegante, unico e caloroso.
Max porta avanti la grande storia del San Domenico alla quale aggiunge la sua magia, la sua generosità e il suo particolare senso della cura per il tempo, per le stagioni e per tutte le persone che partecipano quotidianamente alla vita del ristorante, creando il suo equilibrio perfetto: gli appassionati ragazzi e ragazze della sala e della cucina, i piccoli produttori che si occupano delle materie prime e, naturalmente, i suoi ospiti. Attento e altruista, Max accoglie assieme alla sala i suoi clienti: vuole conoscere le loro storie per curare al meglio ogni dettaglio della loro esperienza al San Domenico, renderli parteci dell’atmosfera calda e ospitale del ristorante non appena varcano la sua soglia.
Il San Domenico attraverso i piatti che ne hanno scritto la storia
La storia del San Domenico non può prescindere da quella dei suoi piatti iconici, diventati dei cult nel mondo dell’alta cucina. Oggi il tocco ineguagliabile di Max Mascia si legge nella grande attenzione per la materia prima, per gli ingredienti stagionali e il territorio, in grado di dare nuova luce a ricette storiche e mai dimenticate.
Tra le ricette che hanno fatto la storia del San Domenico è impossibile non citare l’”Uovo in raviolo” con parmigiano reggiano dolce, tartufo e burro nocciola, nato dalle mani di Bergese e Marcattilii e mai uscito dal menù del ristorante; un piatto che è perfetto connubio tra l’amore per la grande tradizione emiliana della pasta fresca e l’attenzione per i prodotti della terra più semplici, ma che abilmente rielaborati danno vita a momenti di pura emozione gustativa. Max ha saputo adattarlo ai palati e i gusti cambiati negli anni, evolvendo il piatto che oggi segue l’andamento delle stagioni e viene proposto con differenti varietà di tartufo a seconda del periodo dell’anno.
Il forte legame con il territorio ha contribuito a dare vita anche al menu che il San Domenico ha proposto in occasione dei suoi cinquant’anni, quando i clienti hanno potuto assaggiare tra gli amuse-bouche i tortellini fritti, biscotti di Parmigiano con mousse di mortadella, toast mignon, arrostino di coniglio al rosmarino con crema e insalatina di funghi dell’Appenino Tosco-Romagnolo.
L’amore per la pasta, in particolare per la forma del raviolo come fosse un vero e proprio scrigno, e quello per i sapori delle antiche ricette familiari custodite nel cuore di Max, ben si esprimono nel Raviolo di cotechino, brodo e verza e nel Raviolo di faraona e verza con salsa al Marsala: i profumi delle materie prime come la verza o la faraona sono quelli che assaporava in casa e in famiglia e che oggi rielabora abilmente per le sale del San Domenico. Tra le grandi icone è da citare poi il Risotto mantecato con cipolla tostata, ristretto di sugo d’arrosto caramellato allo zucchero di canna, un piatto ideato da Valentino e che ogni anno allieta le tavole invernali, come anche il Pasticcio di fegato d’oca in terrina, con gelatina al Porto e brioche tostata, delicato ed elaborato, racconta la cucina che il giovane chef condivideva negli anni Settanta con Bergese e che viene ancora oggi servito all’interno delle raffinate collezioni di porcellana.
L’esaltazione dei sapori naturali delle materie prime è il fulcro della cucina del San Domenico in particolare durante il periodo estivo: selezionata l’eccellente qualità dei prodotti, Max ne esalta l’autenticità e il gusto con pochi ingredienti creando piatti sempre amati come il Crudo di scampi all’acqua di pomodoro e caviale o la Ricciola vaporizzata al gin tonic, ricette che intrigano e appassionano. Nelle Ostriche al lime, brodo di prosciutto e parmigiano reggiano e negli Scampi e Caviale Siberian Royal con emulsione di patate all’olio extra vergine di oliva si assapora come la mano dello chef sia in grado di spingere le materie prime a dare il meglio di sé, rielaborandole con un tocco colto e delicato.
Accanto ai piatti nati dalla creatività di Max oggi nel menù del San Domenico non mancano i ricorrenti omaggi allo chef dei re, come per la carta dei dessert in cui è sempre presente la Torta Fiorentina “Nino Bergese” in salsa profiterole e sorbetto di pera Williams, dolce a strati di cioccolato realizzato appositamente per il compleanno di Umberto di Savoia nel 1926.
La cantina del San Domenico: 500 anni di storia e 15mila bottiglie
La cantina è un vero e proprio caveaux costruito oltre cinquecento anni fa e che oggi contiene quasi 2400 etichette e oltre 15mila bottiglie, veri e propri tesori dell’enologia nazionale e internazionale di annate rare e preziose, i più grandi cru d’Italia e di Francia accanto a distillati di pregio, in grado di stupire appassionati ed esperti. L’ambiente ideale di sommelier sapienti e audaci come Francesco Cioria, che dal 2014, dopo un percorso internazionale, propone ogni giorno le migliori selezioni ai propri clienti, assecondando ed esaltando i meravigliosi piatti della cucina. All’interno della cantina è riservato anche un angolo speciale per gli ospiti del San Domenico: un tavolo in rovere, costruito su misura da sapienti artigiani e apparecchiato con raffinati tessuti di Missoni, può essere riservato per celebrare occasioni speciali, ma anche per degustazioni di vini e verticali di vecchie annate.
L’Equipe del San Domenico: brigata, sala e cantina
La sala del San Domenico ha oggi conservato e rinnovato la sua storica accoglienza: è giovane, colta e premurosa, in grado di rendere unica l’esperienza dei suoi ospiti, che si sentono subito parte della storia del ristorante. A condurre la sala è oggi Giacomo, figlio di Natale, che è tornato a Imola dopo alcuni anni di esperienze tra i migliori ristoranti italiani ed esteri come il Marea, due stelle Michelin di New York, il Lasarte, tre stelle Michelin di Barcellona e l’Enoteca Pinchiorri, tristellato di Firenze.
Non appena si entra nel cuore del San Domenico, è chiaro che la brigata è una grande e affiatata famiglia che vive di un lavoro di squadra instancabile: ognuno di loro viaggia, studia, rischia e cresce, sempre assieme agli altri, in un circolo virtuoso che si riflette in ogni dettaglio del ristorante. E il grande e storico San Domenico diventa subito cuore pulsante, vibrante, vivo e caloroso, come se fosse una trattoria nella piazzetta affollata di un paesino, di un sabato sera d’estate. Si sta bene, c’è felicità nell’aria mentre si degusta storia, sogno e cultura.
L’attenzione per i dettagli, il design curato e la ricerca artistica: al San Domenico si respira cultura
Del San Domenico Morini cura personalmente e con passione ogni singolo dettaglio: le pareti e i soffitti sono ricoperti di tela di lino decorato con lo stile preraffaelita di William Morris, le tovaglie sono di lino pesante fucsia e i venti tavoli totali vengono apparecchiati con sottopiatti in argento, candelieri, piatti di ceramica Richard Ginori e pregiati bicchieri in cristallo Riedel. Gli arredi sono di Thonet, Frau e Cassina, mentre alle pareti spiccano opere d’arte di alcuni dei più grandi artisti di arte contemporanea italiana da Alberto Burri a Mario Schifano, da Giuseppe Capogrossi a Piero Dorazio, con un occhio di riguardo per gli artisti imolesi come Mario Guido Dal Monte, Tonino Gottarelli, Andrea Raccagni e Germano Sartelli.
Uno luogo che evoca una sala da pranzo, quella di casa, ma di una casa bellissima; un’atmosfera calorosa e accogliente in netto contrasto con le ricerche sul design allora in corso. Un luogo da sogno, dove pasteggiare con gli amici più stretti, come in un circolo privato ed esclusivo.
San Domenico e l’Autodromo di Imola: una vita in Formula 1
La storia del San Domenico è strettamente intrecciata dell’Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola. Due icone italiane, uno per il mondo dell’alta cucina e uno per il mondo dei motori, che dagli anni ’70 hanno lavorato fianco a fianco scrivendo la storia di un Paese curioso, in continuo fermento e che si avvicinava con un interesse sempre maggiore ad un pubblico proveniente da tutto il mondo. Valentino è il primo a respirare a pieni polmoni l’aria internazionale di Imola, che dal 1980 al 2006 ha ospitato ben 27 Gran Premi di Formula 1 che hanno inevitabilmente fatto la storia anche del San Domenico. Durante ogni gara il ristorante ospitava personaggi di spicco da ogni parte del mondo, oltre a piloti e staff a cui consegnava i pranzi direttamente in Autodromo e per i quali riservava le sale per grandi feste private: in quei giorni tutto ruotava attorno al Gran Premio e due mondi apparentemente distanti, improvvisamente si univano e si guardavano con estremo interesse reciproco.
Con la complicità di evento di portata mondiale, il San Domenico si è fatto conoscere fin dal principio per la sua eleganza, diventando una colonna portante per tutti i momenti più significativi del Gran Premio e il ristorante dove festeggiare la vittoria o rinfrancarsi dopo una sconfitta. Il legame del San Domenico con le corse di Formula 1 all’autodromo imolese è ancora oggi molto stretto e Max Mascia è lo chef di riferimento in occasione di tutti gli appuntamenti più importanti del circuito.
L’ultima corsa di Gianluigi Morini
Nell’anno del cinquantesimo anniversario dalla nascita del suo sogno, Gianluigi Morini ha salutato per l’ultima volta il San Domenico il 9 dicembre 2020.
Natale, Valentino, Massimiliano, Giacomo e tutti i ragazzi del San Domenico hanno reso omaggio a Morini con queste parole “Con Morini nasce il ristorante che siamo onorati di portare avanti da 50 anni preservandone l’identità, lo spirito di avanguardia e il sogno di un luogo di condivisione e grande calore, quello di una famiglia che lui stesso ha voluto creare. Era e rimane un amico fraterno.
Ristorante San Domenico di Imola
Via Sacchi, 1, 40026 Imola BO
Telefono: 0542 29000