Avevo deciso di non occuparmi dell’olio di palma – argomento già da tempo dibattuto sui giornali ma, soprattutto, sulle pagine di Facebook – confidando sulle capacità di scelta dei consumatori.
Ma la massiccia campagna pubblicitaria (10 milioni di euro!) messa in atto dall’Unione Italiana Olio di Palma Sostenibile (dove “sostenibile” è una evidente contraddizione in termini, essendo tale solo per la grande industria, che lo paga molto meno degli oli sani) mi ha fatto capire che ognuno di noi dovrebbe quantomeno provare a reagire nei confronti di una comunicazione manipolata.
Scrivere sui giornali che la coltivazione di questo olio tropicale “consente di utilizzare dalle 5 alle 11 volte meno superficie agricola di qualsiasi altro olio vegetale” il che “contribuisce a preservare la natura”, glissando artatamente non solo sul tema della sistematica distruzione delle foreste pluviali e sul conseguente rischio di estinzione di migliaia di specie animali, ma anche sui danni che questi grassi saturi provocano soprattutto nei bambini tramite merendine, biscotti e dolcetti vari, significa fornire informazioni false o distorte per motivazioni di puro interesse economico.
Fortunatamente Carrefour, Esselunga, Barilla, Plasmon, Colussi, Gentilini e alcune altre aziende hanno perfettamente colto il segnale derivato da un progressivo aumento di consumatori che evitano di acquistare prodotti contenenti olio di palma (50% di grassi saturi), palmito (80%), olio di cocco (87%), grassi idrogenati e hanno immesso sul mercato oltre 500 prodotti a base di olio d’oliva, di girasole, di cartamo, di mais, di sesamo, di arachidi, di soia. Hanno quindi optato per la sostenibilità vera, quella che tutela sia l’ambiente che l’uomo.
Questo significa che ogni rivoluzione è possibile.
E mentre l’Indonesia, invocando il pretesto di un attentato agli interessi dello Stato, minaccia l’espulsione di Leonardo di Caprio e di ogni turista che, come lui, posti su Facebook messaggi di difesa della foresta pluviale, noi dovremmo diventare più consapevoli della forza che un’opposizione di massa può dimostrare contro le speculazioni sulla pelle della gente.
Bisogna boicottare. Opporsi ideologicamente.
Ogni possibile estensione di questo concetto per costruire una società veramente sostenibile, è lecita.
La pratica del boicottaggio pacifico ma sistematico da parte dei consumatori vale quindi anche per contrastare la politica di quei Paesi che, come l’Egitto, praticano la tortura o l’omicidio di Stato o la palese limitazione della libertà individuale: basta cancellarli collettivamente dalle nostre mete turistiche privandoli di una fonte cospicua di denaro e qualcosa, di sicuro, cambierà.
Gli interessi di Stato, come si evince dalle minacce dell’Indonesia, sono soprattutto quelli economici.
Basta colpirli.