Non so se e quanto la notizia della prematura scomparsa, a 53 anni, di Santi Santamaria sarà presa in considerazione dalla stampa specializzata italiana.
Ho visto qualche blog e qualche sintetico ritaglio di quotidiano. Almeno nell’immediato.Ma dubito che da noi si parlerà ancora molto di lui. E a torto.
Era un grandissimo in Spagna, meno noto in Italia. Ma scomodo. Controcorrente. Rompi.
In concomitanza con l’uscita del suo libro “La cocina al desnudo” (La cucina a nudo) nel quale attaccava in modo diretto la cucina artificiosa e artificiale di Ferran Adrià e la filosofia “molecolare” in senso lato accusate di essere addirittura nocive per la salute, si era verificato un tentativo maldestramente pilotato da parte di alcuni chef e opinion leader per raccogliere una serie di firme nel mondo della ristorazione, aventi lo scopo di isolarlo come blasfemo e antiavanguardista. Triste che molti di loro, al funerale celebratosi a Sant Celoni, abbiano approfittato sfacciatamente del palcoscenico mediatico per mettersi in mostra, fingendo quella tardiva solidarietà professionale che in realtà non avevano.
Santi professava e praticava la tradizione come unica e suprema espressione possibile dell’alta ristorazione. A me piaceva. Mi piaceva la sua cucina tanto agile ed elegante quanto esagerati e ingombranti erano il suo corpaccione e la sua vena polemica. Gli avevo dedicato nel tempo due copertine e un paio di servizi, definendolo guerriero irriducibile, nella convinzione che i guerrieri ideologici sono necessari e vitali in ogni società democratica e moderna, perché sono gli scomodi e i rompiballe a permetterci di pensare, di metterci in discussione, indipendentemente dal fatto che abbiano ragione o meno.
Santi giudicava la mia una testata credibile, libera e indipendente, ma era certo che fosse utopistico pensare ad una informazione gastronomica onesta, avulsa da interessi e condizionamenti economici.
Aveva perciò scelto con cura gli otto giornalisti europei per i quali prodursi in una fantastica jam session culinaria di ispirazione catalana a Palazzo Sasso di Ravello, durante una infuocata due giorni ideologico/gastronomica a Stravaganza Mediterranea di Enzo Caldarelli su tema della probabile fine di un’epoca gastronomica. Quella volta, dopo essere stato pesantemente insultato da Albert Adrià – proprio il fratello di chi aveva creato, secondo Santi, una cucina lontana dal territorio e dalle culture del Mediterraneo – si era chiuso nella sua suite, sul patio della quale aveva fatto installare una cucina volante dove si era prodotto per noi otto fortunati in una serie di esecuzioni da scolpire nella memoria, spalleggiato da quello che considerava il suo epigono italiano, Rocco Iannone.
Con lui e n’è andato, secondo me, il più strenuo difensore della grandissima saggezza del buon prodotto, dell’essere locale in grado di diventare universale.
Lui, figlio di contadini, geniale autodidatta, lontano mentalmente dal circo mediatico in cui vedeva trasformata la gastronomia, proprio grazie al feroce attacco di quel circo che ha tentato di isolarlo era diventato l’unico vero poeta e paladino di una cucina libera per un mondo migliore.
Le tue battaglie, guerriero, sono finite troppo presto.
Di Elsa Mazzolini