Ci vorrebbe una dieta che rifà le porzioni tra i magri del pianeta e noi ricchi ciccioni. Non è il senso di colpa è il nostro girovita a dirci che la polpa è maldistribuita. (Michele Serra).
Maldistribuita la polpa lo è da sempre, da che mondo è mondo, e non servono i tanti clochard morti di freddo e di stenti mentre i tanti abbienti cenavano l’ultimo dell’anno a 2.500 euro procapite, a dimostrare che in un Paese per definizione civile la sperequazione è diventata intollerabile. Ma finché la ricchezza dell’Italia si concentrerà nelle mani dell’1% della popolazione e il restante 99% si contenderà le briciole, finché chi mantiene privilegi ingiusti potrà decidere con quale miseria deve vivere il popolo degli anziani, dei disoccupati, dei giovani, delle famiglie ormai ridotte alla fame, lo Stato e la società tutta non dovrebbero dormire sonni tranquilli.
Le fila sempre più massicce degli esclusi potrebbero infatti uscire dalla rassegnazione per debellare una classe politica che ormai rappresenta solo se stessa.
Nella mia utopistica filosofia dell’inclusione auspico che monti una coscienza collettiva capace di determinare una più equa redistribuzione della ricchezza. Sono convinta che, banalmente, se si trovano miliardi per salvare le banche, si possano trovare risorse per tutelare la dignità di quei nuovi poveri che proprio potrebbero rimettere in moto il Paese grazie al loro accesso al mercato dei consumi.
Non mi convince affatto l’elogio della povertà cantato da gente piena di soldi o la povertà elevata a ideologia nazionale.
La povertà non ha nulla di poetico e ciò che è veramente essenziale non dovrebbe essere stabilito da chi non rinuncia a nulla per sé.