Il mondo cambia a velocità supersonica, e bisogna tenersi pronti ad accettare qualunque novità, anche la più sorprendente. Ma di rado certi radicali cambiamenti spuntano dal nulla: quasi sempre sono il frutto finale di una lenta evoluzione, rimasta sotto traccia, che improvvisamente accelera e si mostra in tutta la sua evidenza. Prendiamo l’atteggiamento dei Francesi nei confronti della nostra gastronomia. Si intuiva già, da una serie di segnali, che negli ultimi anni le cose erano molto cambiate. Dietro il sussiego, dietro il tradizionale complesso di superiorità, faceva capolino sempre più spesso l’ammirazione, se non talvolta l’invidia. Hanno cominciato i grandi Chef, mostrando meraviglia per la qualità suprema di alcuni nostri prodotti, poi si sono aggiunti altri addetti ai lavori, e infine i consumatori più attenti e intelligenti, i quali – senza proclami e con la disinvoltura tipica di chi non si preoccupa altro che del proprio piacere – hanno cominciato a guardare con occhi diversi la nostra proposta alimentare. Oggi ormai in Francia l’apprezzamento per il prodotto italiano è una cosa del tutto normale e scontata. Certo, ufficialmente si continua a considerare l’Italia una specie di sorella minore, ma nella pratica quotidiana dei transalpini il made in Italy (non solo nel campo alimentare) guadagna uno spazio sempre maggiore. Insomma: si fa ma non si dice… Quando però anche le fonti più autorevoli cominciano a prendere atto della realtà, ecco che persistere nella proverbiale arroganza appare fuori luogo e fuori tempo. Quando su un giornale come Le Monde si legge (vedi articolo del marzo scorso) che “i prodotti alimentari italiani piacciono e soprattutto uniscono un savoir faire ancestrale con una creatività senza pari”, che “l’Italia è il secondo fornitore della Francia, dopo la Germania, il primo per l’agroalimentare… Nel 2009 ogni francese ha speso in media 500 euro per acquistare prodotti e servizi italiani. Un’infatuazione in crescita costante da una decina d’anni […] Le drogherie italiane fioriscono nei centri urbani e su Internet. Nei supermercati, i prodotti al 100% italiani sono i più venduti […]. Quanto alla ristorazione italiana, continua a fare progressi e se la passa sempre meglio della media del settore. Anche lì, nuovi locali e nuovi concetti: ristoranti-drogherie, trattorie new look, pasta bar e case del gelato…”, beh, quando una testata così prestigiosa usa certe espressioni, anche il francese più ottusamente sciovinista deve soffermarsi a riflettere.
Uno dei fenomeni più eclatanti che sembrano fare da indicatore di questo ormai acquisito mutamento, è la diffusione del consumo di pizza tra i nostri cugini d’Oltralpe. Secondo una ricerca francese, resa nota durante il ‘Pasta & Pizza Expo’ di Parigi, la quantità di pizza mangiata in quel Paese sarebbe ormai doppia rispetto a quella dell’Italia, e ad un passo dal maggior consumatore mondiale, che notoriamente sono gli USA. Questo dato, se da una parte fa piacere e conferma il trend di cui dicevamo, contiene anche qualche elemento non del tutto positivo, che coraggiosamente dobbiamo prendere in esame. Sì, c’è anche un risvolto della medaglia, ed ignorarlo non conviene. Siamo proprio sicuri che il boom della pizza in Francia sia un omaggio alla cultura gastronomica italiana, e non piuttosto la definitiva accettazione di un modello alimentare improntato alla rapidità e praticità di consumo? Siccome in Francia non si vedono con simpatia le grandi catene di fast food ‘all’americana’, si sceglie allora il surrogato più indolore, quello che appare (giustamente) meno anonimo e seriale rispetto ai famosi panini che si mangiano dal Sudafrica alla Lapponia. Ma il dato innegabile che la pizza abbia più storia, più tradizione, più ‘anima’, e sia in origine un vero cibo mediterraneo, non impedisce che ne venga fatto un uso similare a quello di altri moderni cibi di massa. Infatti vediamo che le modalità di consumo francesi, almeno le più diffuse, alla fine somigliano maggiormente a quelle statunitensi più che alle nostre: la pizza usata come pretesto per ingurgitare ‘roba’ commestibile quale che sia, in improbabili accozzaglie. Anche se vengono spacciate per alte manifestazioni di fantasia e inventiva, certe recentissime formulazioni dell’antico cibo partenopeo come, per esempio, la pizza con il foie gras, sono decisamente discutibili, e in alcuni casi obbrobriose. Sarà anche vero, come si sente dire, che la qualità media delle pizze francesi è cresciuta, tuttavia le libertà che si prendono da quelle parti, come quelle che si prendono in America (e quelle che qualcuno purtroppo si prende anche in Italia), sfociano spesso nell’abuso. La pizza è un miracolo di semplicità ed equilibrio, caratteri che occorre sempre e comunque rispettare anche quando si introducono innovazioni. C’è innovazione e innovazione: i nostri lettori lo sanno, perché qui ce ne siamo occupati più volte. Sono passati solo pochi mesi da quando l’Unione Europea ha assegnato alla pizza napoletana il marchio STG (Specialità Tradizionale Garantita), con il suo severo disciplinare: allora abbiamo cantato vittoria e ci siamo inorgogliti. Adesso però dobbiamo avere un briciolo di coerenza, e non lasciarci abbagliare dalle cifre che arrivano dalla Francia o da altrove. Insomma, pensiamoci bene: ci conviene rallegrarci perché tutti mangiano pizza, o preoccuparci per ‘come’ la mangiano?
Di Elsa Mazzolini