Guardo la mia storica collezione di piatti del Buon Ricordo e mi rendo conto che più della metà dei ristoranti raffigurati non esiste più.
Se poi sfoglio le vecchie guide, la percezione di questa perdita è ancora più marcata.
Certo, l’accresciuta concorrenza di migliaia di altri nuovi locali, la mancanza di continuità nelle gestioni familiari e ora la grande crisi che ha investito il nostro Paese hanno inciso su questa morìa.
Il lutto conseguente ad ogni perdita genera tristezza non solo per le ragioni anche affettive che legano ciascuno di noi a qualche attività ricettiva, ma in questo caso anche perché, al di là della diminuzione dei posti di lavoro, viene a rarefarsi la visibilità di tanti piccoli territori che devono proprio alla notorietà dei ristoranti, la loro stessa notorietà.
Ditemi quale popolarità avrebbero avuto Canneto sull’Oglio, Laigueglia, Costigliole D’Asti, Città di Castello, San Polo d’Enza, Montescano, se non ci fossero stati rispettivamente i Santini, il Vascello fantasma, Guido, Il Postale, Mamma Rosa, Le Robinie a farceli ricordare.
Eppure, di questo piccolo elenco buttato giù a caso, solo Santini ha resistito alla falce impietosa del tempo e delle intemperie esistenziali.
Non è un bel segnale.
Questa decadenza dei templi gastronomici seppure coincide con una crisi che ha stravolto abitudini e stili di vita, rappresenta il pericoloso sintomo di una progressiva perdita di valori e di identità territoriali.
Non solo ai musei, né alla memoria storica collettiva è demandato il compito di salvaguardare il mondo nel quale siamo cresciuti e dal quale abbiamo tratto la nostra forza e la nostra sicurezza; anche ristoranti e alberghi hanno contribuito in modo determinante a idratare quell’humus socio economico su cui coltivare il nostro futuro.
Bisogna dunque difendere i ristoranti virtuosi che lavorano con coscienza e pagano tutti i propri fornitori, aiutandoli a vivere e a sopravvivere.
Uno Stato che si rispetti, rispetta il lavoro di tanta gente perbene che fa onore al territorio in cui vive.
Invece purtroppo la tendenza è quella di vessare chi c’è, chi è visibile, chi lavora e investe sul proprio lavoro: lo si fa con controlli da gestapo, con la conta dei tovaglioli, con l’aumento di ogni tipo di utenza, con mille balzelli e regole che si possono applicare solo all’economia non sommersa.
L’Italia di m…, come patriotticamente la definisce il suo (dell’Italia) presidente del Consiglio, lo è per colpa di chi si è assicurato esose poltrone, di chi ha fatto solo i propri lucrosi interessi, di chi, trasversalmente, ha usato le casse dello Stato per aumentare il privilegio di pochi sulla pelle dei più deboli.
Ma ognuno di noi non è certo un martire esente da colpe.
La colpa va soprattutto alla nostra mancanza di senso civico, di responsabilità e di dignità.
Pur di mantenere il superfluo, ci siamo fatti scippare l’indispensabile. Pur di non pensare, ci siamo fatti abbindolare da false promesse di falso benessere.
Promesse fasulle che ci hanno tenuti lontani dai nostri reali bisogni.
Ci siamo fatti rubare il futuro mentre eravamo in casa storditi da una televisione lobotomizzante, colonizzati da un sistema politico drammaticamente dannoso.
Dunque, se l’Italia è diventata un paese di m…, cerchiamo di non essere proprio noi a tirare la catena del wc!
Di Elsa Mazzolini