L’ondatina di mini liberalizzazioni che ha appena lambito fino ad ora le presunte lobby economiche, ma che delle vere e grandi lobby non si è occupata affatto, non torce un capello al settore della ristorazione, che i capelli se li è già strappati quasi tutti già da un po’.
Liberalizzato l’orario di apertura degli esercizi che somministrano alimenti, è piuttosto l’elevato numero di locali che già possono servire cibi a ogni ora del giorno e della notte a creare enormi problemi di concorrenza ad una categoria che solo nell’ultimo anno ha dovuto chiudere il 15% dei propri ristoranti, molti dei quali anche famosi.
E tutti gli aggravi dei costi – dalla luce al gas, a ogni genere alimentare aumentato a causa del caro benzina – non faranno che esasperare questa moría di locali.
Già liberalizzato, servirebbe dunque ora regolamentare di più il settore qualificandolo con una costante formazione in itinere per gli chef e una preparazione alle necessarie regole di management e di marketing per i ristoratori.
Ciò che in un mercato sofferente genera maggiore crisi, è proprio l’apporto di chi vi è entrato senza qualità professionali, creando confusione e sovrapposizione nell’offerta.
A questo eccesso di offerta spesso di basso livello hanno senz’altro contribuito con troppa disinvoltura soprattutto le associazioni di categoria che, pur di aumentare il numero dei soci e quindi dei propri contribuenti, non si sono mai preoccupate di partecipare alla pianificazione di una corretta ripartizione commerciale, da valutare in base alle effettive potenzialità dei territori. In un panorama dove la grande distribuzione fattura già poco meno della metà della spesa delle famiglie, hanno fatto sì che si arrivasse ad aprire un esercizio commerciale ogni 178 abitanti.
Tra queste piccole e grandi realtà economiche – edicole, bar, parrucchieri, boutique, artigiani ecc. – ci sono anche i ristoranti.
Come si può dunque pensare che con una diminuita capacità di spesa gli italiani possano rispondere ad un’offerta così massiccia?
Pensarci per tempo no?
Di Elsa Mazzolini