La gente scappa dall’Italia. Lo hanno già fatto 94.000 persone solo lo scorso anno.
Oltre ai giovani in cerca di lavoro e a quelli che il lavoro l’hanno perso in un’età in cui è difficile ritrovarlo, sono coppie o intere famiglie a decidere che l’Italia non è più un Paese dove è bello vivere.
La gente scappa maggiormente da Bologna, Roma, Milano, Palermo, Venezia, Firenze, Torino, Bari e Napoli, in percentuali sempre più alte rispetto al passato.
Oltre ai giovani che alle fabbriche e alle scrivanie preferiscono oggi quei campi da cui i nonni erano scappati ieri per andare nelle fabbriche e dietro le scrivanie, fuggono dalle città per andare a vivere in
periferia e nei piccoli paesi intere famiglie o persone che cercano un lavoro in contesti meno alienanti delle metropoli.
A mettere in fuga la gente sono il costo della vita, il deterioramento dei rapporti umani e lo scadimento di molti servizi essenziali, in megalopoli sempre più degradate sia a livello urbanistico che morale.
In provincia le relazioni sociali sono ancora abbastanza facili, i bisogni individuali maggiormente sostenibili, i costi della vita più accessibili. La crisi ha messo dunque a nudo tutti i limiti, le criticità, le incongruenze di un modo di vivere nelle grandi città che per molti risulta sempre meno civile.
Il popolo bue, trattato come tale da sistemi politici più attenti ai propri esosi equilibri che alla crescente sofferenza della gente, cerca piccole e grandi vie di fuga.
Quindi la gente scappa per darsi una possibilità. Intanto la politica scappa, ancora e sempre, dalle proprie responsabilità.