C’è chi per educazione o per insegnamenti di marketing risponde con pazienza anche alle critiche più fantasiose ed improbabili, chi invece decide di non rispondere affatto per non impantanarsi in una melma insidiosa, e chi proprio non ci sta a farsi impallinare su Tripadvisor da qualche mitomane che si sente importante nello sparare commenti spesso surreali, rispondendo con offese ad offese. C’è poi chi, proprio perché Trip dà voce a chiunque, malintenzionati compresi, lo tollera ritenendolo un male ormai inevitabile, tappandosi il naso come davanti ad un vespasiano dove ognuno può lasciare la propria puteolente traccia in vigliacco anonimato. Di certo, visto che tutti conosciamo i discutibili meccanismi che regolano questo gigantesco portale, appare strano vedere sui siti e nelle vetrine di ristoranti, anche di qualità, l’esposizione orgogliosa di quel certificato di eccellenza inviato indistintamente da Tripadvisor a tutti i locali, anche i più infimi, alla fine di ogni anno.
Quando ho chiesto ironicamente sulla pagina Facebook di un mio amico ristoratore cosa avesse fatto di male per meritarsi tale attestato, qualcuno si è inserito polemicamente dicendo che non potevo “permettermi”, da giornalista, di offendere la categoria dei ristoratori che da Tripadvisor traggono beneficio. Perché la sostanza è infatti questa: a fronte di molti ristoratori palesemente danneggiati nel tempo da false recensioni, ce ne sono moltissimi altri che, anche barando pur di aumentare il rating, riescono a ottenere vantaggi in termini di visibilità e crescita della clientela.
Sul business della reputazione on-line, Trip ha ingigantito a dismisura il suo potere, quindi ignorarlo è impossibile. Il colosso dovrebbe solo gestirsi con maggiore trasparenza anche perché ne guadagnerebbe in autorevolezza e credibilità.
Come dimostra la nostra inchiesta pubblicata sul numero di aprile de La Madia Travelfood.