Green Park Resort, Villette nel Verde: la frode è già nei nomi, scelti artatamente per creare l’illusione di qualcosa che in realtà non esiste.
Nel primo caso si tratta di un palazzone addossato a brutti condomini anni ’60, che di verde intorno non ha più nulla, essendoselo mangiato con la propria massiccia colata di cemento; idem per il secondo caso, dove 3 villette a schiera, appiccicate tra loro, rosicano qualcosa del verde di una campagna di cui presto non resterà più traccia.
Sono questi alcuni esempi di sfruttamento del territorio nella mia città, Cesena, che brilla anche per un mega supermercato Conad strettamente incastonato tra il cimitero monumentale e il convento delle suore di clausura: uno scempio alle falde di una bellissima collina, in quella che una volta era considerata “area di rispetto”.
Lì accanto gli antichi orti conventuali sono in odore di parcheggio per 400 posti auto, quando ne esiste già nei dintorni una disponibilità di oltre 1000 non utilizzati e quando anche, confinante, è prevista la costruzione di un asilo nido (forse nel piano pedagogico è incluso un corso intensivo per abituare i piccoli alle polveri sottili e ai veleni dei tubi di scappamento).
E a satellite di tutta la città, una corolla di centri commerciali, aree artigianali, poli industriali con capannoni invenduti, nello squallore di un consumo bulimico del territorio privo di etica, di valori anche solo estetici, di responsabilità nei confronti delle future generazioni.
Ma a Cesena non va certo la maglia nera dello stupro ambientale: l’Italia vanta milioni di vergogne anche peggiori di queste.
La vocazione speculativa infatti si propaga ad ogni fonte di possibile guadagno. Tanto per fare un esempio nel nostro settore, mi sono imbattuta quest’estate nella cronaca di un quotidiano marchigiano che riportava – titoloni adiuvantes – i toni trionfalistici di un consigliere regionale davanti all’interesse di Mc Donald’s per le olive all’ascolana.
Francamente non vedo come si possa considerare positiva una siffatta disgrazia. Non vedo come l’omologazione che schiaccia ogni eccellenza possa essere considerata un beneficio per le mie amatissime Marche o come, ancora, una multinazionale che autoproduce gran parte delle proprie proposte gastronomiche possa favorire gli interessi delle piccole aziende produttrici locali. Quale appeal, infine, possa avere presso il pubblico un prodotto tradizionale che dispensa, addirittura, sapori diversi da laboratorio a laboratorio, una volta codificato in una ricetta e in ingredienti standardizzati (per dirla meglio, una volta sputtanato in ogni esercizio della vasta catena di fast-food, quando una delle sue attrattive principali è proprio la sua regionalità e tipicità).
Certo Metro, Esselunga, Coop propongono olive ascolane a marchio proprio, alcune delle quali anche gradevoli, ma ogni buongustaio sa che le migliori sono quelle artigianali locali.
Trovarle banalizzate in un fast-food mi fa quindi tristezza, mi fa triste assistere ad un furto fatto passare per beneficio e poi anche leggere in un altro giornale che quello stesso assessore marchigiano, gongolante, promette una convention Mc Donald’s ad Ascoli “che significherebbe anche un notevole flusso di dirigenti e delle loro famiglie”!
E mentre la potente Barossa Valley, nella pur globalizzata Australia, si schiera contro l’apertura di un Mc Donald’s opponendo i valori della cucina tradizionale a quelli di una cucina omologata e massificata, da noi è iniziata l’ennesima svendita! Venghino signori, venghino!
Di Elsa Mazzolini