Il carattere minerale oggi è ricercatissimo ed è un descrittore da pochi anni apparso nel mondo del vino.
La mineralità nel vino benché sia un termine ormai abusato e riconosciuto tra i principali sentori moderni della degustazione non trova un riscontro scientifico concreto tale da spiegarne l’origine.
Nessuno in passato ha mai utilizzato questo descrittore. Se consultiamo i grandi libri scritti da mostri sacri come Emile Peynaud oppure Jancis Robinson o di altri tornando ancora più indietro nel tempo, non troviamo un minimo riferimento al termine “gusto minerale del vino“.
Dobbiamo anche riconoscere che questo temine è utilizzato soprattutto in Italia; nelle scuole del vino anglosassoni, invece, è un termine che per ora (e forse anche in futuro) non si usa.
Il suolo è tutto nel vino, ma non conferisce qualità organolettiche come la mineralità nonostante lo stretto scambio con il terreno e con tutti gli elementi presenti nel suo metabolismo.
La geologia unita alle condizioni ambientali e all’adattamento della vite in un territorio a lei idoneo, consentono a questa pianta di esprimersi in maniera differente.
Differenze che a volte dipendono appunto dall’amalgama del terreno e dall’assorbimento o meno di minerali e sostanze nutrienti dal suolo, così come dall’approvvigionamento d’acqua.
Spesso questa sensazione, chiamata “minerale”, si percepisce in vini prodotti da uve di vigneti coltivati in terreni particolari, come quelli vulcanici, per esempio. Eppure nel vino le componenti minerali non sono così presenti.
Come già scritto sopra, le sostanze minerali non possono influire sul descrittore organolettico. Se è vero che una parte degli elementi minerali assorbiti dal suolo può arrivare all’acino, è anche vero che la quantità che si ritrova nel vino è decisamente trascurabile ai fini della percezione sensoriale.
Ma cos’è la mineralità in un vino? In teoria è una sensazione olfattiva riconducibile ad alcune pietre o ad alcuni minerali, anche se la maggior parte dei minerali sono considerati inodore.
La mineralità nel vino è da considerarsi una percezione tattile, difficile da codificare, assomiglia molto di più ad una sensazione sapida unita a freschezza e acidità piuttosto che salina e non va confusa assolutamente.
Molti studi presumono sia prodotta da certi composti solforati che si sviluppano in funzione della varietà e della sua maturazione.
Quindi la mineralità non ha alcun legame con il suolo? Sembra proprio di no.
La composizione del suolo, unitamente alle condizioni ambientali e climatiche, influisce direttamente sulle caratteristiche organolettiche, ma non sulla mineralità.
La mineralità si gusta in fondo. Partiamo da una considerazione: il vino è composto per circa l’80% da acqua e le acque, è risaputo, hanno una diversa mineralità che le caratterizza.
Se percepiamo questa mineralità, perché non dovremmo percepirla anche nel vino?
E’ un concetto che ci porta molto vicino alla salinità; più o meno sale nell’acqua lo si sente. Punto.
Siamo ancora in alto mare, ma devo ammettere onestamente che non sono così curioso di sapere se questo sentore può esistere nella realtà oppure è una suggestione.
Ma in fondo cosa cambia? Mediare la scienza con la nostra sensibilità è il punto di partenza, non di arrivo.
Personalmente la penso come il professore Alex Maltman dell’università di Cardiff che sostiene: “L’idea che la geologia del vigneto possa essere letteralmente assaggiata in un bicchiere è meccanicamente impossibile”.
Trovo questo concetto così poetico …