Non possiamo farci niente, è impossibile competere. Ho cercato con attenzione e insistenza, ma non ho trovato ancora ad oggi nessuno chardonnay che possa gareggiare con i cinque mostri sacri.
Ok va bene, ovviamente sono a conoscenza del fatto che un certo Corton Charlemagne sull’altra montagna – quella di Corton, forse il più bel vigneto di Borgogna stilisticamente parlando – é grande quanto loro. E’ vero, ci sta, ma sempre in Francia siamo.
Ma partiamo per gradi: Montrachet è il nome di un Grand Cru (definizione che affonda le sue radici nella tradizione dei Monaci Cistercensi che più di mille anni fa separarono con muretti a secco le migliori parcelle di terreno, quelle atte a divenire il vino migliore) della Cote de Beaune, certamente il più prestigioso Grand Cru bianco di Borgogna. Quel pugno di ettari è in grado di dare i migliori vini bianchi del mondo. I comuni sono quelli di Puligny e Chassagne e cubano meno di mille anime tra tutti e due.
E’ una famiglia numerosa quella dei Montrachet: oltre al fratello maggiore, cioè “il” Montrachet (circa 8 ha), ci sono i fratellini più piccoli ma altrettanto buoni Chevalier-Montrachet (7ha), Bâtard-Montrachet (12 ha), Bienvenues-Bâtard-Montrachet (3,5 ha), Criots-Bâtard-Montrachet (1,5 ha), chi più in su, chi più in giù di qualche metro, ma la perfezione è questione di centimetri, ovviamente.
La superficie totale in produzione è di 7,99 ettari, di cui 4,01 ettari ricadono sul territorio comunale di Puligny e 3,98 ettari sul territorio comunale di Chassagne. Per estrema precisione, sulle mappe la parte che versa su Puligny si chiama Montrachet e quella su Chassagne Le Montrachet.
Ma perché questi vini bianchi sono considerati i più buoni e i più longevi del mondo? E perché hanno caratteristiche completamente differenti da tutti gli altri chardonnay?
Per tanti fattori, ma principalmente per due: la geologia (ma anche il clima e l’esposizione) e l’acidità.
Geologicamente i suoli risalgono al Giurassico, dunque a più di 175 milioni di anni fa. L’altitudine è compresa tra i 250 e i 270 metri, perfetta per mantenere calore ed avere freschezza. Il suolo è principalmente calcareo, con uno strato abbondante di ciottoli attraversato da una banda di marna rossastra.
Ma, soprattutto, parliamo di un suolo altamente drenante, caratteristica fondamentale e quasi unica nel suo genere.
Poi arriviamo all’acidità. La spiccata acidità che quasi tutti i vini bianchi francesi hanno, ma soprattutto quelli di questa area geografica (lo Chablis, per esempio, altro grandissimo chardonnay francese, vive di altre logiche dettate anche da un clima più rigido e terreni differenti), è figlia del fortunato substrato geologico come raccontavamo prima.
Questi vini hanno la possibilità di svolgere completamente il processo chimico-fisico naturale della malolattica – è una vera e propria seconda fermentazione, successiva alla fermentazione alcolica, che dipende dai batteri naturalmente presenti nel vino che agiscono sull’acido malico trasformandolo in acido lattico – senza appiattirsi mantenendo un’elevata acidità e un grande punto di bevuta.
E’ anche grazie a questa fermentazione che, al naso, questi vini diventano perfettamente riconoscibili, infatti questa trasformazione spesso genere note vanigliate, tostate, casearie spesso assimilabili al burro.
Solitamente questo processo non è ben gradito da parte dei vini bianchi in cui l’acidità conferisce freschezza e preserva le note fruttate. Infatti questa seconda fermentazione tende ad appiattire il vino, rendendolo meno fragrante e consistente a meno che non si parli, appunto, di vini di altissima acidità.
Organoletticamente il Montrachet è dominato da sentori di burro d’alpeggio e croissant, frutta secca, spezie e miele. Ha corpo, crema e armonia oltre ad una grande eleganza. In bocca è asciutto, sontuoso e profondo. La texture è cremosa e oleosa.
I grandi produttori che hanno fatto la storia di questi Cru sono sicuramente Ramonet, Sauzet, Domaine de La Romanée Conti, Comtes Lafon, Domaine Leflaive, Domaine LeRoy, Bouchard Pere et Fils, Jadot, Jacques Prieur, Carillon e pochi altri.
Ora, la domanda che mi faccio è sempre la stessa da anni. Perché cerchiamo, ma non solo in Italia, di copiare quello che non può essere copiato? Prendiamo spunti, studiamo e cerchiamo di imparare da chi è più bravo, ma costruiamo una nostra strada, perché le strade italiane non saranno mai uguali a quelle francesi.