Luci della ribalta, telecamere accese, ciak si gira. Non è solo star system, la buona cucina. Che rinasce anzi ogni giorno dalla fatica e dai sacrifici di qualche sognatore diurno in un vicolo ombroso, per esempio via Entella a Chiavari. Ed è un piacere, a distanza di poche stagioni, passarvi a testimoniare di una metempsicosi imprevista. Quella di un ristorante volenteroso ma un po’ disordinato in tavola elegante, ad arredi praticamente invariati. Solo il dehors è stato rivisto, con le tovagliette sui tavoli; il resto è nelle mani e nella testa di Israel Feller.
Il prodotto è sempre stato la magnifica preda, per uno chef avvezzo come lui ad alzare ogni sera la cornetta e contattare i pescatori. Ma è la passione, tradotta in studio e frequentazione assidua di colleghi e maestri, ad avervi inoculato i bacilli della “fermentazione”. Figlio di un celebre pittore jugoslavo, che l’ha educato al culto del lavoro, finito presto a scodellare pasta al pesto, da 15 anni chef patron del Boccon Divino con il socio Oriano Daneri in sala, Israel è un autodidatta, tranne qualche corso all’Étoile, che batte in lungo e in largo l’Italia per carpire il feeling della contemporaneità, “non certo per copiare”: sul suo diario i nomi di Cristiano Tomei e Valentino Cassanelli, Marco Visciola e Andrea Sarri, ma anche Massimiliano Alajmo e i fratelli Roca (fra i tanti). Per poi tornare nella sua piccola cucina, dove si affaccenda con un aiuto e un lavapiatti, che oltretutto fanno ferie a rotazione, cosicché nel lavello possono impilarsi impazienti i piatti.
L’offerta si deposita su una lavagna con le proposte del giorno e in una carta stagionale, che comprende un menu “turistico” a 35 euro dove il pesce di allevamento, se presente, viene esplicitamente segnalato. La materia prima è quasi esclusivamente locale e lavorata da fresca, con l’eccezione ovviamente del pesce crudo. Nella carta dei vini la scelta è fra 200 etichette non convenzionali.
La tartara di gamberi rosa e pesca, un po’ troppo dolce e pastosa, con lo zenzero appena accennato che non arriva a bilanciare, è stata l’unica nota imperfetta di un pasto curato e originale nella sua semplicità, contraddistinto da una felice pulizia nei piatti, contemporanei, equilibrati e freschi. Cominciando dal cappon magro filologico, come è stato insegnato a Israel da una signora di 80 anni, Pina, cuoca del Piccolo ristorante di Chiavari, in cui lavorava anche Oriano. Dove il gambero è tiepido perché piacevolmente cotto al momento. “La nostra mise-en-place è minima, praticamente solo vegetale. Anche il pesce della tartara è mondato e battuto al momento dell’ordinazione”.
Unica eccezione al pescato di prossimità è la capasanta ben tostata in padella e servita con fonduta di porri alla mela verde e salsa di aglio nero. Più arditi i novelli, giovani moscardini croccanti che vengono cotti interi, poi svuotati. Le interiora frullate forniscono una salsa che è amaro marino e umami, contrastata dalle zucchine fermentate con la loro acidità vivificante. “Un piatto figlio della seppia sporca di Mauro Uliassi, che mi ha aperto a un nuovo registro gustativo”.
Ottimi anche i ravioli ripieni di pane, burro e acciughe, per una volta non cantabriche ma di Monterosso. Sono la crasi di due ricette: il classico crostino, con il pane di recupero del ristorante per lo scarto zero, e l’acciugata rossa e cruda a rinfrescare.
Il morone appena infornato è servito con crema di zucchine trombetta e caponata: pièce, sauce, garniture, acidità e grassezza. “Ma il piatto che in questo momento prediligo è la pesca sciroppata ma croccante con cremoso di ricotta al cioccolato bianco, infusione di latte e salvia, sorbetto e granita di pesca bianca e aceto. Per pulire la bocca a fine pasto”.