C’è del nuovo a Pesaro, nella bonaccia balneare di questa fine estate. Due giovani cuochi, entrambi ben titolati, smuovono le acque chete. Stefano Ciotti, per cominciare, il cui curriculum è un catalogo di Don Giovanni: Gino Angelini, Nerio Raccagni, Vincenzo Cammerucci, Luigi Sartini della Taverna Righi, Gianfranco Vissani e perfino Alfonso Iaccarino. Già chef al Vicolo Santa Lucia di Cattolica, con ottime performance che gli hanno valso la stella Michelin, da un anno esatto officia sul lungomare di Pesaro, dentro un locale tutto suo concepito con la compagna Giorgia Stocchi e il designer Marco Morosini, quello del marchio Brandina.
Si chiama Nostrano, ovvero “che è proprio, caratteristico dei nostri luoghi”, come recita la Treccani. Il locale infatti è stato interamente rinnovato avvalendosi di maestranze locali: il fabbro e il falegname per i tavoli, il laboratorio di maiolica per l’illuminazione, il tessuto marinaro per le sedie. Il pesce è adriatico, come gran parte degli input di una cucina, che poi ama divagare in lungo e in lardo (sic). Le pizze, premiate a Urbino dei Laghi, non ci sono più; al loro posto una carta agile di 8 antipasti, 4 primi, 5 secondi e 5 dessert, assemblati nei menu Tuttopescenientepasta, composto di 5 corse a 45 euro, e Gran pasto a base di pesce o carni, che ne conta 7 a 80. La mano e la tecnica sono già evidenti negli appetizer, fra cui risalta la delicatissima frittatina alle erbe cotta al vapore nel contenitore di servizio, stile royale, con pomodori alla vaniglia, pistacchi di Bronte e Chartreuse, servita anche in antipasto. Un’impalpabile tessitura di dolcezze e amari appena sussurrati su una cremosità sontuosa. Ma lasciano il segno per un senso dell’equilibrio raro anche i calamari borsotti al testo, dalla testura perfetta, con tartufo estivo, Parmigiano, crema di pere e polvere di yogurt, un piatto che si tuffa in bocca con il coefficiente di rischio massimo e non solleva alcuno schizzo. Fra i primi i tortelli scomposti di burrata e pomodori al gratin, con la spolverata croccante di mollica sulla pasta e il tocco geniale del pepe verde sulla grassezza del latticino e per il vegetale della preparazione tipica. Per dessert un biscotto morbido e gelatina alle nocciole con gelato al rosmarino, che è una carne in absentia. Nel complesso uno chef dalle capacità rare alla sua prima prova da patron, con un format che va leggermente rivisto per incontrare un pubblico meno smaliziato. Direttamente nella categoria: ce ne fossero.
Più giovane ma decisamente arrembante Daniele Patti, che a soli 28 anni sfodera la grinta dell’imprenditore di razza. Ne ha già scritto su questi pixel Alessandro Rossi. Nato a Messina, è passato per la scuola di Gualtiero Marchesi e soprattutto Mauro Uliassi, che fa valere il suo magistero nei piatti. Finché 4 anni fa con l’altrettanto imberbe socio Matteo Ambrosini e la moglie Dunia non ha resuscitato con l’incoscienza della gioventù niente meno che il ristorante Lo Scudiero, storica stella Michelin della città, dove offre anche un servizio di caffetteria nel nuovo bar a piano terra e catering negli aristocratici giardini del palazzo. I suoi piatti mostrano una spiccata attenzione per il prodotto e una grandeur probabilmente ispirata ai luoghi, con interpolazioni pauperiste e disturbatrici di stampo uliassiano. Vedi lo scampo crudo che incontra Rossini nella spolverata di foie gras o l’astice alla Thermidor con erbe di campo, ma anche lo spumeggiante gratin ispirato a Rossini, che passa in rassegna gli eccessi più sguaiati della recente avanguardia, dal ghiaccio secco alle cuffiette musicali, alle spruzzate di profumo di mare, strappando il sorriso su un gusto riconoscibilissimo. Ottimo lo sgombro deliscato alla griglia con fichi e culatello di Zibello, sontuoso nelle sue reminiscenze artusiane, di cui va un po’ appuntita (come altrove) l’acidità. Il menu da 10 portate costa 85 euro, il Tutto pesce o carne da 7 48. Molto ricca la carta dei vini, che riposano nel ventre antico di Pesaro, i cui interminabili cunicoli verranno presto riportati alla luce del bonheur gastronomico. Ne sentiremo molto parlare.