Sono quasi tre anni che Mariano Guardianelli e Camilla Corbelli hanno appeso l’insegna “Abocar” sul civico 13 di via Carlo Farini, a Rimini. Un nome che alla lettera significa “avvicinare”, nel senso del contagio del pubblico popolare alla cucina giovane e d’autore, complici prezzi men che bistronomici, e della contaminazione fra italianità e gusti latino americani. In surf sull’onda di un rinascimento gastronomico, che ha già lambito l’Italia presso indirizzi come il Contraste di Matias Perdomo.
Guardianelli però non è né uruguaiano né peruviano, né brasiliano, per citare alcuni degli epicentri del sommovimento in corso. I suoi natali sono argentini, benché il sangue sia italiano al 100% da parte di padre e di madre. Mentre l’albero dello stile è felicemente innestato: dopo l’alberghiero in patria c’è stata un’infilata di esperienze di tutto rispetto, fra cui risaltano i 6 mesi trascorsi al Celler de Can Roca a Girona, i passaggi da Jean-Luc Rabanel, sacerdote del vegetale, Enrico Crippa e David Toutain, esponente di primo piano della génération Passard. Finché innamoratosi di Camilla, cresciuta fra i fornelli del Lurido e attualmente in sala, non ha deciso di piantare le tende sul velluto della riviera.
Abocar è un indirizzo emozionante, per l’entusiasmo di questi ragazzi che con il sorriso sulle labbra e il diavolo in corpo ogni giorno mettono in tavola l’impossibile. Piatti ben concepiti e ben realizzati, ad alto tasso di lavoro e bassissimo tasso di profitto: il piccolo menu di pesce, con le sue 4 portate, costa 33 euro, come quello di carne; mentre il grande Abocar, udite udite, viene addirittura 43 euro per 7 corse. Il tutto annaffiato da una carta dei vini pensata con intelligenza e originalità, non enciclopedica ma strategica e ben posizionata anche sul fronte internazionale.
Gli appetizer sono una passerella di gusti e consistenze latine: il taco di pasta di pomodoro alla paprica con caprino all’ajì panca, lattuga e senape, la chip di tapioca e maionese di soia, la cialda di quinoa, semi di senape e patata al fieno, l’empanada con ricotta e menta; ottimi anche i pani fatti in casa a lievitazione naturale. A seguire antipasti che corrono a briglia sciolta, dove l’acidità, gusto prediletto dello chef e filo conduttore del menu, si impenna e talvolta si imbizzarrisce anche un po’. Il vegetale è protagonista: nel fazzoletto della casa crescono erbe trattate secondo il protocollo di Piazza Duomo, accanto a qualche piccola pianta.
La pancetta è marinata per 14 ore in acqua, sale e zucchero, cotta confit nello strutto per 10 ore e laccata agli agrumi, poi servita con creme di mais e di basilico, peperoncino giallo, pane di mais e polvere di ajì panca. Intensa e scalpitante: un’esplosione di America Latina. Più elegante il muggine marinato, pesce povero valorizzato nella testura e servito con purea di bietola verde alla colatura di alici e una salsa di teste e lische cotte al forno, passate nella pentola a pressione con latte di cocco, semi di coriandolo e peperoncino brasiliano, più una spruzzata di lime, coriandolo fresco e quinoa soffiata. Dove risalta la scuola francese delle salse, applicata a profumi latini.
Le campanelle di anatra sono abbrustolite al cannello, per un leggero gusto amaro e una consistenza croccante: la pasta è senz’uovo, l’anatra cotta (quasi) alla pechinese e condita con arancio sotto sale, più il latte di mandorle montato all’umeboshi. Con lo sguardo rivolto a Oriente. Ma è sui secondi che il talento di Mariano risalta, grazie alla matericità della tavola argentina, sgrezzata da un’eleganza francese.
Vedi l’animella cotta classicamente al burro in padella, innaffiando la superficie col cucchiaio, poi laccata con un fondo di vitello e servita con aglio nero di Voghiera, asparago sbollentato e crudo, ravanello baby dell’orto. Pièce, sauce, garniture. Oppure l’elegante merluzzo al vapore con uova di lompo secche per la sapidità e il croccante, una salsa di pilpil di teste affumicate stemperata al brodo delle lische infuso all’aglio orsino, un pesto di lattuga di mare, pecorino e aceto di pepe verde. Fra le carni il diaframma frollato in frigorifero e appena passato sulla piastra, tenerissimo e ferroso, con erbette glassate ai ricci di mare e ajì panca. Ferro e iodio, con un ricordo di chimichurri.