La Puglia sa regalare immagini meravigliose in qualsiasi stagione dell’anno. Se poi succede che l’inverno “spari” una giornata che non sai se definire uno strascico dell’ultima estate o un assaggio della prossima, le sensazioni che ti passano davanti agli occhi mescolate al profumo del mare diventano qualcosa di indelebile.
E’ quello che è accaduto il giorno in cui abbiamo pranzato presso l’Aqua, il ristorante del Le Dune Suite Hotel di Porto Cesareo, dove lavora un cuoco giovane, molto in gamba.
Ci accomodiamo, accompagnati da Giovanni Pizzolante, direttore del locale e dell’hotel, che ci accoglie all’ingresso. Il ristorante gode di un affaccio privilegiato su una delle splendide spiagge di questa meravigliosa cittadina salentina, e davanti a noi c’è lo spettacolo della natura, perfettamente fruibile dalle ampie vetrate della luminosa veranda.
Porto Cesareo, poco più avanti rispetto all’hotel, aspetta un po’ sonnacchiosa l’arrivo della nuova bella stagione, cha da maggio a ottobre la riempie di turisti provenienti dall’Italia e dall’estero.
Pizzolante commenta: “Ciò che abbiamo davanti agli occhi è un patrimonio che non possiamo permetterci di non valorizzare”. Ha ragione. Parte la cucina e, sin da subito, accompagna questo meraviglioso spettacolo.
L’entrèe è molto particolare: una crema cotta di ricci, tartare di canocchie, lime e prezzemolo, scenograficamente servita su sassi di mare fumanti di ghiaccio secco. Perfetta la divisione dei sapori, dai quali emerge delicatamente la tartare di canocchia, accompagnata dalla setosità della crema di riccio, dalla calibrata spinta acida del lime e dal profumo del prezzemolo, che regalano al piatto quella freschezza inevitabilmente persa con la cottura. Ottimo, se questo è l’inizio…
Cosimo Russo, chef executive dell’Aqua, nonostante la giovane età rivela la qualità della sua preparazione professionale: si è formato alla scuola di uno dei grandi della cucina italiana, lo chef Sergio Mei, presso il Four Seasons di Milano. Dal suo maestro, Cosimo ha carpito concretezza e sensibilità verso la materia prima, che riesce a trattare con mano leggera ma ispirata.
L’antipasto uovo, capocollo di Martina Franca, mugnoli, anguilla al vincotto e pane di Laterza è la conferma della capacità di tenere i sapori ben distinti fra loro; una gradevolissima zuppetta che colpisce subito per il profumo quasi di vaniglia che sale dal piatto, certamente dato da quella punta di vincotto, piacevole perché dosato con precisione millimetrica.
La scelta vincente è stata quella di fermare la cottura dell’uovo nel momento in cui era morbido ma non liquido, evitando, così, che il tuorlo, approcciato con il cucchiaio, rompendosi potesse amalgamare tutti i sapori. Molto interessante.
Si prosegue con un risotto Carnaroli di Sibari mantecato al limone verde con anemoni croccanti e crudo di gamberi viola di Gallipoli, in cui la positiva influenza del maestro Mei si sente tutta. Gli anemoni croccanti contrastano la cremosità perfetta, mentre l’acidità del limone verde accompagna la dolcezza del crudo di gamberi. Piatto molto ben fatto, cottura del riso azzeccata al centesimo di secondo, grande equilibrio.
A seguire, il baccalà con sponsale fondente, pomodoro d’inverno, patate viola e olive infornate è piatto rassicurante, gradevole rivisitazione dei classici abbinamenti che abitualmente accompagnano la cottura del baccalà.
In chiusura, ecco un’altra sorpresa di grande effetto: il pomodoro farcito di grano stumpato dolce, cupeta e latte di pecora cagliato, servito in versione predessert.
Il grano stumpato (pestato) era una delle pietanze dei contadini, i quali facevano la perlatura utilizzando il tipico mortaio in pietra, lo stompu, appunto. Il suo condimento era il sugo di pomodoro e la ricotta forte, tipica di queste zone, ma la rivisitazione di questo antico piatto salato in chiave dolce è veramente da applausi, bella da vedere, non stucchevole, equilibratissima nei sapori poco usuali. Un dolce non troppo dolce, molto, molto apprezzabile, che meriterebbe di essere servito come dessert. Originale e fantasioso, piatto da fuoriclasse.
Il tramonto, partito dai toni dell’arancio acceso, del giallo, del rosa intenso, sfuma prima verso tonalità più tenui e poi vira decisamente, a sole calante, verso il blu e il grigio, spettacolo che, da queste parti, si ripete molto spesso e, per vederlo, non bisogna avere particolare fortuna. E’ lo spettacolo che la Puglia offre a chi sa cogliere le sue innumerevoli sfaccettature e che qui, in Salento, sa esprimersi ai massimi livelli.
Dal piacevole colloquio con Cosimo Russo, il trentunenne chef tarantino autore della bella sequenza dei piatti sopradescritti, si evince il carattere: semplice dal sorriso aperto, sincero. Cosimo racconta la sua esperienza al Four Seasons di Milano, evidenzia ciò che ha imparato dal grande Sergio Mei, cioè rigore, concretezza e saper dare motivazione e soddisfazione alla propria brigata, senza mai isterismi, ma con mano ferma.
Difficile pensare a Cosimo come ad un sergente di ferro e in effetti non lo è. Troppo gioviale per esserlo, ma la stoffa del campione c’è tutta.
Il tempo di un caffè e la chiacchiera con il cuoco si sposta in cucina, dove sono appena arrivate le ostriche imperiali che vuole assolutamente farci assaggiare.
Dopo il caffè? Perché no? Prima una, poi due, poi… Ma qui inizierebbe un altro racconto…