“Fa che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo”, scriveva Ippocrate, fondatore della medicina scientifica, nel IV secolo a.C. Eppure da sempre, nel luogo della salute per antonomasia, l’ospedale, l’alimentazione ha assunto connotazioni basiche, quando non apertamente punitive. È il cosiddetto cibo “ospedaliero”, per l’appunto, evocativo di un’ingiustificata mortificazione dei sensi.
L’alta cucina, d’altro canto, è attenta ai temi del benessere almeno dai tempi della nouvelle cuisine e di Michel Guérard. Ed è stato proprio il grande chef d’oltralpe a firmare il primo progetto di collaborazione con una struttura ospedaliera, il CHU di Tolosa, nel 2010, dopo aver lanciato nel 2008 il concetto di “école de cuisine de santé”, dove possono formarsi anche i cuochi delle strutture ospedaliere. Mentre in Germania ci ha pensato Patrick Wodni, che ha addirittura lasciato il ristorante stellato Nobelhart & Schmutzig per prendere in mano la cucina dell’Havelhöhe di Berlino: grazie alle economie di scala, riesce a servire un pasto di ortaggi bio e carni al pascolo (ma solo 3 volte a settimana) al costo medio di 4,74 euro.
In genere gli ospedali dispongono di una cucina centralizzata oppure appaltano a privati, poi ci sono casi in cui la proprietà della struttura coincide con quella dell’azienda che la serve (è il caso di Giomi/Gioservice). Nelle gare d’appalto una giornata alimentare, comprensiva di tutti i pasti, di solito si assesta attorno ai 10-15 euro. Ed è una compatibilità stringente, come pure la formazione del personale, che un manipolo di chef di fama ha tentato di aggirare attraverso il know-how dell’alta ristorazione. Vediamo come.
IN – intelligenza nutrizionale. Il progetto “Reale” di Niko Romito
Si chiama “IN-Intelligenza Nutrizionale” il progetto concepito da Niko Romito in partnership con il Dipartimento di Scienza dell’Alimentazione e della Nutrizione Umana della Sapienza e il gruppo Giomi/Gioservice presso il Cristo Re e Villa Betania a Roma. Forse l’esperimento più approfondito e organico in materia, nonché il più longevo, messo a punto nel 2015-16 e operativo dal 2017. Prevede l’applicazione alla ristorazione collettiva di concetti e tecniche sviluppati al Reale, al fine di ottimizzare gusto e valori nutrizionali, senza perdere di vista le compatibilità di budget. “Lo definirei un progetto rivoluzionario, socialmente utile, reale perché sarà immediatamente applicato”, rivendica orgoglioso il grande chef abruzzese. “Le caratteristiche organolettiche e nutrizionali dei nuovi menu sviluppati, la standardizzazione e replicabilità delle ricette sono fondamentali, ma ciò che mi rende particolarmente felice è il pensiero che il paziente potrà affrontare l’esperienza ospedaliera in maniera diversa e che Intelligenza Nutrizionale diventerà parte integrante del suo percorso di cura, oltre che un prezioso strumento di educazione alimentare. Si tratta di un protocollo che include tecnologie, professionalità, gastronomia e formazione, contribuendo a definire una nuova figura del cuoco di mensa.
Tutto è nato da Lorenzo Miraglia (a lato nella foto con lo chef), proprietario del gruppo Giomi, che da cliente del Reale ha intravisto nel piatto un’insolita attenzione per il benessere e nel metodo di ricerca praticato da Romito, applicabile anche alla cucina industriale, nuove potenzialità per la ristorazione collettiva. Ma fin dal principio non si è trattato di semplici menu: nel mirino è finita la trasformazione anche gestionale dell’intera catena ristorativa. Sono tornati utili all’uopo la metodologia sviluppata per la produzione di semilavorati e la standardizzazione delle ricette, che sono state proposte con costi e materie prime invariati. Sfida questa non da poco. Fondamentale anche la valutazione ex post, affidata ad Analysis Group.
La prima fase è consistita nello studio dei menu precedenti, con particolare attenzione per la ripetizione di ingredienti anche in diverse funzioni. Quindi la reingegnerizzazione per composizione (quali parametri piacevolezza, varietà e consistenze), realizzazione (attraverso ricette protocollate e semilavorati prodotti in loco), fruizione (in termini di ottimizzazione del servizio, tenuta delle cotture e fruibilità da allettati), sostenibilità grazie alla riduzione degli scarti e del calo peso in cottura. La terza fase ha comportato la misurazione del potenziale antiossidante e antinfiammatorio, del contenuto di macro e micronutrienti nel cibo crudo e cotto. Ha portato all’elaborazione di un parametro specifico, che misurasse il contributo alla salute attraverso il rapporto fra valore antiossidante e valore proossidante, pari o superiore a 10. Quindi il test di somministrazione, l’elaborazione di un protocollo, la fase conclusiva di riprogettazione delle cucine e formazione del personale.
In pratica sono stati attuati il contenimento dei grassi, l’eliminazione di semilavorati industriali, la valorizzazione della stagionalità e delle usanze condivise, come gli gnocchi il giovedì e il pesce il venerdì, con un’attenzione particolare per l’elaborazione di alimenti preporzionati da rigenerare brevemente al momento. I risultati sono stati eclatanti: grazie ai protocolli di IN la perdita di sostanze antiossidanti è stata in media inferiore al 7%, la produzione di proossidanti prossima allo 0, di contro al 30 e al 20 dei metodi convenzionali. Ed è un set di procedure standard replicabile in qualsiasi cucina ospedaliera. “Il dato più significativo è il giudizio dei pazienti. Lo score che danno alla qualità del servizio è migliorato”, commenta dal canto suo il professor Lorenzo Maria Donini. “I dati di biochimica dimostrano che il trattamento delle derrate alimentari ne ha migliorato il profilo nutrizionale, senza cambiare personale, costi e materie prime. Siamo riusciti a smentire che negli ospedali si mangi male e proseguiamo su questa strada. Il prossimo obiettivo è passare ad altre strutture dello stesso gruppo e non, anche scolastiche, tramite gare d’appalto”.
Diamo gusto alla salute. Luca Marchini docet
È iniziata nel 2017 la collaborazione di Luca Marchini con il Carlo Poma di Mantova, che si è formalmente conclusa nello scorso mese di giugno. “Ma le linee guida stabilite con la responsabile sanitaria Consuelo Basile continuano a essere operative. All’inizio faticavo a capire la ristorazione collettiva. Mi chiedevo quale potesse essere il mio ruolo, dove venivano serviti mille pasti al giorno. Nelle loro intenzioni, si trattava semplicemente di migliorare la qualità del pasto, rendendolo un po’ più appetibile: dare da mangiare non bene, ma piacevolmente, in modo leggero e nutrizionalmente corretto. Per questo era necessario che passasse un concetto di cucina espressa, insieme all’ottimizzazione delle capacità degli operatori grazie alla riorganizzazione.
Abbiamo iniziato dai prodotti, eliminando i fiocchi di patata per il purè e i dadi per il brodo, che ingombravano i magazzini, dimezzando i surgelati, diminuendo l’impiego di burro e abbreviando i tempi di preparazione del soffritto o di cottura degli ortaggi. Il capitolato obbliga a stare dentro certi prezzi, così abbiamo cominciato a preparare tutto in casa. Non c’erano più il cordon bleu o la polpetta pronta. E parlo di 120 chili di macinato. Il minestrone si faceva con le verdure aggiunte al momento giusto. Insieme alla nutrizionista Chiara Bassi abbiamo approfondito le combinazioni fra alimenti, quindi niente patate con i carboidrati, piselli con la carne o fagioli con le proteine. Il lavoro più grande è stato riorganizzare la cucina, cominciando dalle basi, i brodi di carne e di verdure. Poi c’era la mensa per 350 dipendenti. Lungo le corsie il personale ai carrelli doveva essere in grado di distribuire le quantità corrette e rispettare le catene del caldo e del freddo, senza aspettative eccessive. Ho cominciato a riorganizzare i momenti di uscita, per esempio la pasta non veniva più interamente cotta alla mezza e stipata negli armadi caldi, effetto minestrone, ma scolata ogni mezz’ora. Ci ho messo quasi 5 mesi per tirare fuori le prime ricette, tutte molto semplici. Passavo un paio di volte a settimana semplicemente per dialogare e farmi accettare, poi ho coinvolti tutti i cuochi e gli addetti nella ridefinizione del menu. Negli ultimi tempi ci siamo perfino ritrovati con la cucina chiusa per fare corsi di formazione: i brodi, le salse madri eccetera. Ma non ho mai trattato le diete speciali, che sono un apparato a parte. È stata un’esperienza coinvolgente, che tuttavia non ha influenzato il mio lavoro: all’Erba del Re sono sempre stato molto attento alla digeribilità e ai valori nutrizionali, ai prodotti e alle loro combinazioni. Tenendo presente che la gente in una serata speciale nutre un altro genere di aspettative”.
Cucinare per il benessere. La missione di Heinz Beck
Heinz Beck è lo chef che in Italia ha maggiormente approfondito le problematiche nutrizionali, della salute e del benessere nell’alta cucina, gomito a gomito con medici e ricercatori dal 2000 a oggi. Il suo non è stato un interessamento estemporaneo e mediatico, ma piuttosto una missione, talvolta anche una pista di ricerca e un metodo creativo, con ricadute sulla cucina della Pergola, sempre più attenta alla digeribilità e al benessere nelle tecniche e nella gestione dei prodotti. Al punto che nel marzo 2018 gli è stata conferita la laurea in Bioenergie naturali da parte dell’Università popolare di Arezzo.
Il 2019 è stato un anno particolarmente intenso sotto questo profilo. Nel mese di gennaio è uscito il calendario Le Ricette della Salute, promosso da Sanofi in collaborazione con Federfarma e distribuito ai farmacisti aderenti sul territorio nazionale, contenente 12 ricette salutari che possono essere facilmente eseguite in casa. Con la collaborazione scientifica dei professori Antonio Ceriello e Gabriele Riccardi, Beck ha quindi pubblicato il libro Diabete & Alimentazione, strumento di coscienza e conoscenza della malattia diabetica. Elenca menu che rispettano le regole nutrizionali suggerite dal nutrizionista nell’alimentazione quotidiana del paziente diabetico. Il libro è stato presentato alla Pergola e a Milano, durante un convegno organizzato da Salute Direzione Nord, spin-off della manifestazione Italia Salute Nord.
A novembre infine la Beck&Maltese Consulting ha inaugurato il Campus Principe di Napoli, in collaborazione con UniPegaso, di cui, oltre che docente, Heinz Beck è Direttore Scientifico. Si tratta della prima Università Gastronomica e Centro di Alta formazione e specializzazione universitaria, con focus sulla gastronomia e sul turismo. Sono diversi i corsi incentrati sul tema “salute”, fra cui Alta Cucina Italiana, Alimentazione Personalizzata (direttore scientifico il professor Mauro Minelli) e Cucinare per il benessere.
Per quanto riguarda le collaborazioni ospedaliere e non accademiche, c’è stato nel 2014 il progetto Gemelli@Fornelli, per l’assistenza post ospedalizzazione in tandem con il policlinico Gemelli di Roma. Con il professor Giacinto Abele Miggiano, in particolare, sono stati approfonditi diversi temi, dal rapporto fra alimentazione e salute del cuore alla dieta nelle diverse fasi della vita femminile; con il professor Adolfo Panfili l’oscillazione insulinica post pranzo, sempre nel tentativo di conciliare guarigione ed emozione. Il sito gemellifornelli.it fornisce tuttora un’assistenza interattiva sulle problematiche nutrizionali, con la possibilità di inviare domande specifiche al team di medici e cuochi. Nel giugno 2019, infine, Beck ha preso parte al progetto “Special Cook”, serie di laboratori di cucina per pazienti di oncologia pediatrica tenuti al Gemelli di Roma, dedicati alla memoria dello chef Alessandro Narducci.
La Pietro Leemann Vegetarian Consulting. La soluzione golosa e verde
“Nel 2017 ho avuto una bella collaborazione con l’ospedale Malpighi di Bologna. Il mio pensiero generale è che da una parte l’alimentazione curativa prevenga, ma che dall’altro possa anche contribuire alla guarigione. Spesso negli ospedali questo aspetto non viene abbastanza considerato, né il piacere del piatto buono, né lo studio sulla patologia del paziente. Nel 2018 poi ho fondato una società, la Pietro Leemann Vegetarian Consulting, che si occupa di consulenze nell’ambito della ristorazione collettiva, compresi gli ospedali, e d’albergo in questa chiave; al Joia ho una scuola, la Joia Academy, dove c’è la possibilità di formare in tal senso i cuochi, perché la costruzione di un menu vegetariano ha caratteristiche peculiari.
L’esperienza al Malpighi si è conclusa, ma Ferdinando Giannone sta proseguendo il progetto. Il suo obiettivo era misurare la qualità dei menu per diminuire la degenza e accelerare la guarigione. Cosa che si è effettivamente verificata. Un giorno ho preparato un menu vegetariano per tutti, degenti e personale medico, e i cuochi hanno iniziato a trasformare il loro modo di cucinare. Mi sono confrontato con lo staff e l’ho aiutato a sviluppare nuove idee. Un intervento perlopiù concettuale. Un pasto equilibrato, per esempio, dovrebbe essere composto di carboidrati mescolati a proteine vegetali e accompagnati da verdure bio, quindi occorre diminuire o togliere la carne e lo zucchero, perché sono dannosi.
Ma ogni paziente ha bisogno di una dieta ad hoc. Alla fine queste collaborazioni sono sempre complicate, perché si tratta di enti strutturati con proprie rigidità e le compatibilità economiche restringono ulteriormente gli spazi: il sistema salute costa tantissimo, ma al cibo lascia solo le briciole. Mentre proprio il cibo, abbreviando le degenze, potrebbe generare risparmi. Ero stato scelto perché la mia cucina è sempre stata molto attenta alla salute e alla sostenibilità. Una linea che il confronto serrato con Ferdinando, che è anche docente della Joia Academy, ha ulteriormente rafforzato. Ma il cibo sano dovrebbe essere anche goloso, associarlo a qualcosa di punitivo è sempre un errore”.
Mauro Uliassi e l’aiuto della cucina professionale
“Diverse volte sono stato interpellato da Rossana Berardi, primaria di oncologia di Ancona. Ha organizzato convegni cui mi ha invitato a parlare di quanto sia importante l’alimentazione per prevenire le malattie. Il mio è stato un contributo informativo, perché presto molta attenzione alla salubrità del cibo, negli anni ho calibrato la mia alimentazione e continuo a fare le mie letture. Veronesi per esempio sostiene che l’80% delle malattie dipendano da una cattiva alimentazione, che non significa solo junk food, ma anche cose magari buonissime, introdotte in quantità scorrette. Tutto deve essere selezionato nel quotidiano, per poi concedersi qualche piacere in libertà. La cucina professionale in questo senso è molto attenta e presenta indubbi vantaggi. Abbiamo cucinato a casa di un ragazzo affetto da distrofia di Duchenne: prima che mangiasse, tanti dati andavano misurati per evitare lo stress. La madre, che cucina con chissà quanto amore, faceva alzare i battiti cardiaci da 90 a 120, noi a 100. Perché l’alimentazione fatta da un professionista ha una diversa digeribilità. Nella ristorazione professionale si mangia tendenzialmente in modo più corretto, grazie alla selezione dei prodotti e al controllo delle temperature”.