Le tappe di un uomo geniale. Non a caso il suo nuovo ristorante, a Pescia, si chiama “Atman”, che in sanscrito significa “essenza dell’essere umano”, cioè “spirito”.
Dal mitico ristorante “Il Trigabolo” di Argenta, che significò per lui e per alcuni altri pionieri del gusto lo spartiacque fra cucina convenzionale e cucina “consapevole”, si impose anche il motto “Saperi e Sapori” attraverso il quale Igles Corelli volle sancire che: “il mestiere del cuoco deve essere un’attività creativa per cui, anziché limitarsi alla pura esecuzione di ricette codificate, l’autore deve esplicare la propria fantasia creativa nelle varie preparazioni da mangiare, dato che la cucina, pur su fondamenti tradizionali di cui è necessario essere in possesso, può evolversi continuamente poiché le combinazioni alimentari possono essere infinite, come le musiche che possono scaturire dalle basilari sette note”, in questo sintonizzato con il grande innovatore spagnolo Ferran Adrià il quale sostiene che: “Solo dopo aver mandato a memoria i sacri testi della cucina tradizionale, ci si può sbizzarrire con la fantasia, pur sperimentando e criticando le proprie preparazioni finchè non si è convinti che possano ragionevolmente piacere”.
Da “Il Trigabolo” Igles Corelli approdò poi nella palustre Ostellato (Ferrara) dove fondò “La Locanda delle tamerici” continuando la pratica di una cucina tanto rispettosa dei prodotti del territorio quanto eclettica negli accostamenti.
Infine, ora è poco tempo, si è trasferito in Toscana, a Pescia, città dei fiori, dei rinomati asparagi e dei prelibati fagioli di Sorona, e ora anche della sua prima stella Michelin, già assegnata per il 2012 a soli pochi mesi dall’apertura.
Questa volta il ristorante si chiama“Atman”, che in sanscrito (l’originaria lingua indo-europea), vuol dire “essenza dell’essere umano”, cioè lo SPIRITO, il che, a ben vedere, rimanda alla concezione corelliana di una cucina di sapori tale da soddisfare, oltre che il palato, anche l’intelletto. Sempre a proposito del paradigma dei “ sapori e saperi” di cui tiene sempre conto, Igles Corelli ha fra i suoi impegni anche quello di impartire lezioni di arte della cucina, specialmente dedicata ai giovani, attraverso la conduzione di “La scuola – Cucina di classe”, all’insegna del “Gambero Rosso” in onda su Sky, e opera pure nel complesso “Les Chefs Blancs” (in via della Giustiniana, 995 a Roma) – dove ha la direzione didattica di corsi professionali riguardanti tutti i settori della gastronomia.
Naturalmente questo realizzato chef, per impartire i suoi insegnamenti, può anche attingere ai molti libri di ricette che egli stesso ha compilato e ai tanti testi pubblicati su diverse riviste a cui collabora. Da notare che è anche specializzato nell’abbinamento fra piatti della più diversa estrazione con ogni tipo di birra.
Il Corelli pensiero
Se chiediamo a Igles Corelli dove va la cucina, qual è la sua evoluzione nei tempi correnti, ne riceviamo risposte ricche di significativi contenuti: “C’è da mettere in evidenza – egli dice – l’attuale, grande diffusione di libri di cucina, specialmente quelli derivati dalle quotidiane trasmissioni televisive. Spesso si tratta di ricettari che non dicono nulla di nuovo, ma che dimostrano l’interesse del pubblico per questi argomenti, che sono anche fonte di diletto, pretesti ricreativi e palliativi consolatori”.
“Del resto in Italia i testi di gastronomia non sono mai mancati: da Apicio dell’antica Roma, al rinascimentale Scappi, fino al moderno Pellegrino Artusi col suo “La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene”, menzionando anche Ada Boni col monumentale “Il talismano della felicità”, tutte le pubblicazioni integrano via via e codificano la “summa” della cucina tradizionale italiana con tutte le sue radici regionali. Indubbiamente – considera Igles Corelli – la cucina italiana è la più ricca e variegata del mondo, e lo è proprio perché composta da un mosaico di usi praticati di provincia in provincia. Così, per fare solo alcuni esempi, abbiamo la bistecca alla fiorentina, le lasagne alla bolognese, il cacciucco alla livornese, la cotoletta alla milanese, il fegato alla veneziana, il baccalà, o stoccafisso alla vicentina, i vincisgrassi marchigiani, il pesto alla genovese arrivando perfino ai dolci come il panforte di Siena, il pandoro di Verona, il buccellato di Lucca, i brigidini di Lamporecchio. Ciascun piatto sottolinea a tal punto certi radicalismi campanilistici che non potremmo mai trovare la romanesca coda alla vaccinara e nemmeno i rigatoni con la pajata a Milano, né a Roma la meneghina preparazione dei rostin negàa (arrosticini affogati).
Può però succedere che i capitolini carciofi alla giudia vengano esportati in tutt’Italia, ma allora assumono il nome di carciofi fritti; la napoletana pizza, si sa, è diventata universale, ma non le crescentine e tigelle (pasta fritta) che rimangono emiliane, mentre la romagnola piadina è diventata nazionale tanto che non c’è ormai posto dove non ci sia una piadineria. Così i pizzoccheri della Valtellina fatti di grano saraceno (che non è una graminacea, non è un frumento, ma una pianta erbacea della famglia delle chenopodiacee, come la bietola) una volta erano di esclusivo uso locale e ora si trovano in tutti i supermercati, come le orecchiette pugliesi e gli gnocchetti sardi, che se la giocano con il pane carasau.
“Una vera ricchezza, come certo non possono vantare altre nazioni che si devono accontentare solo di piatti nazionalpopolari come in Spagna la paella, in Germania i wurstel in Grecia la mussaka, in Ungheria il gulash, in Inghilterra il porrige, in Messico le tortillas, ma che non hanno una lunga lista articolata come quella che si può mettere insieme in Italia.”
Come si vede Igles Corelli, sempre in linea con le sue basi assiomatiche, è molto attento a quanto il nostro patrimonio enogastronomico può essere antologico, alle nomenclature, agli epiteti, ai neologismi che una volta non immaginavamo nemmeno, ma che spiegano la genesi di certe abitudini alimentari dei nostri giorni, per gusti, per servizi offerti nei locali pubblici. Abbiamo così la Prosciutteria, la Frulleria, o Frullateria, mentre le vecchie Fiaschetterie o Bottigliere sono diventate la più aggiornata Enoteca e, per le specifiche bevande e a parte l’obsoleta Birreria, ci sono la Wiskiteka, la Rummeria e perfino la Vodkeria.
Infine chiediamo a Igles Corelli se – come in altri settori – anche la cucina è soggetta alle mode.
“Indubbiamente – dice – ci sono piatti, non si sa da chi inventati, che durano poco, come il famigerato risotto con le fragole, le penne vodka e limone, i tortellini con panna e prosciutto. Ancor oggi ci sono tendenze che potremmo definire modaiole, come la voga del crudo, di derivazione orientale, specialmente per il pesce, e l’abitudine attuale di sporzionare i piatti direttamente in cucina, come ha imposto la novelle cuisine.
Io continuo a proporre, come non molti altri fanno, la selvaggina, tanto che il compianto Luigi Veronelli ebbe a dire: “Da che conosco Igles la sua fama specifica per la lavorazione della selvaggina è indiscutibile”, ma non c’è ingrediente che non mi offre ispirazione purchè sia di primissima qualità, come il pesce appena uscito dal mare. Anche con la pasta mi misuro volentieri perché rappresenta il simbolo stesso della cucina italiana”.
Ricavato da un vecchio magazzino di mesticheria, nella struttura di un antico monastero, il ristorante ha assunto uno stile “minimal-chic” che si evidenzia nei piatti di stile compiuto, sintesi convincente di una maturità professionale per fortuna ancora giovane e curiosa. Gli ambienti, mossi da un’architettura che li fa vivere su piani diversi, denotano analoghe scelte decise, pulite eppure piene di calore.
Bella la sala da pranzo con cucina a vista, lo store dei prodotti eccellenti scelti da Igles, il suggestivo terrazzo che nella bella stagione consente di pranzare guardando la pittoresca “Piazzetta del Grano”, cioè il mercato. Il “saputo e sapiente” gestore, insieme al socio Paolo Rossi, si avvale della collaborazione di una affiatata schiera di collaboratori in cucina e in sala, mentre la sommelier Marta Da Ponte A Quarto cura la ricchissima cantina.
Da segnalare le offerte di “colazioni di lavoro, da lunedì al sabato per due piatti al prezzo di 20 Euro.