L’euforia delle imminenti festività natalizie sta per rovesciare sulle nostre tavole una sensazionale quantità di bollicine (o bollicione, dipende dalla loro qualità): champagne prestigiosi e mediocri imitazioni caricaturali, Franciacorta d’autore e anonimi frizzanti da retrobottega, succosi Blanc de Noirs d’Oltrepò traboccanti di italica fierezza e parodistici vini vivaci spacciati per chissà cosa, intensi e preziosi Metodo Classico trentini e sulfuree sofisticazioni volgarmente gassificate.
Tutto sembra poter trovare il suo spazio al mercatino di Natale, purché sia effervescente: in genere la carbonica e un buon dosaggio zuccherino si prestano a mascherare le magagne di una pessima materia prima, il ritmo della prima e la pienezza del secondo gratificano i palati di bocca buona con una sensazione di scorrevolezza consolatoria che altera i convenzionali parametri gustativi.
Sappiate, però, che le bollicine di qualità sono invece rare, e saperle scegliere impone una buona confidenza con la tipologia e un supplemento di perizia degustativa. Gli spumanti più preziosi e pregiati si ottengono attraverso una lunga rifermentazione in bottiglia (Metodo Classico), anche se non mancano ottimi esemplari elaborati in autoclave: i migliori Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, ad esempio, pur appartenendo al mondo “di manica larga” dello Charmat, il più delle volte rappresentano “bollicine” affidabili e qualche volta addirittura eccellenti.
Ma è al Metodo Classico o Tradizionale (il metodo Ancestrale è simile, ma non prevede la sboccatura finale: assai raro e domestico, è ancora utilizzato per qualche bucolica cuvée contadina) che dedichiamo il nostro “effervescente” speciale di fine anno. La lenta presa di spuma e la lunghissima elevazione sul deposito feccioso garantiscono una serie di vantaggi dal punto di vista organolettico. Leggiamoli.
A) Lascia gradualmente penetrare l’anidride carbonica (rigorosamente naturale) nel tessuto, nella fibra del vino. In questo modo la presenza della stessa non è solo fisica, pungente, “volumizzante”, o rinfrescante, ma è anche – soprattutto – trainante, saporosa, caratterizzante, in una parola: “organolettica”. Modula con più finezza lo sviluppo del perlage (file di perline liberate per il brusco abbassamento di pressione causato dalla stappatura), amplifica l’intensità espressiva, migliora la trazione gustativa (si fa più setosa), modula la dinamica e l’articolazione dello sviluppo , incrementa la pressione in chiusura di bocca e alimenta – insieme al sale e all’acidità – la persistenza dopo la deglutizione.
B) L’elaborazione attraverso il metodo classico rende oltretutto più complessa (più sorprendente, meno convenzionale) la “palette” aromatica dello spumante, donando personalità, articolazione, dettaglio ai profumi (in genere più evoluti, sofisticati, inconsueti), più consistenza, stratificazione, profondità in ossigenazione (a bicchiere aperto questi vini crescono, gli altri in genere calano), maggiore potenziale di conservazione (tanto sulle fecce quanto a contatto col sughero).
C) La lunga sosta in bottiglia incrementa anche lo spessore del vino: il suo tessuto si nutre del deposito “proteico” delle fecce di rifermentazione e degli zuccheri residui aggiunti in fase di “tirage”. Così si ottengono spumanti più intensi, carnosi, materici, persuasivi, penetranti di quelli elaborati velocemente (in due, tre mesi) in autoclave.
D) La conseguenza dei punti A-B-C è che i Metodo Classico sono spumanti a forte vocazione gastronomica. La spinta assai disciplinata della carbonica dona un bonus di allungo, di elasticità, di sapore e di distensione al palato, la timbrica odorosa tutta in evoluzione serve alla causa di piatti più impegnativi e lo charme della persistenza (ora più salina, ora più minerale) appaga i palati in cerca di emozioni e di abbinamenti virtuosi.
Detto questo, sappiate che non basta leggere in etichetta Metodo Classico per essere certi della loro buona qualità.
Le basi mediocri rimangono tali, i vini scialbi, insipidi, senza polpa, frutto di rese scriteriate non migliorano attraverso l’elaborazione più nobile, semmai ne rimangono ulteriormente tramortiti: zavorrati dai lunghi tempi di maturazione, innervositi e asciugati dall’azione bilaterale di acidità e carbonica (perché non adeguatamente controbilanciati dalla polpa, dallo spessore), stretti e amari in chiusura per via dell’ossidazione. Con basi poco attrezzate, molto meglio “correggere” che costruire, “coprire” piuttosto che svelare. Meglio, dunque, spumantizzare in autoclave, accontentandosi di un vino semplice, se vuoi banale, ma quantomeno non intorpidito da sfiancanti – e inutili – elevazioni.