Una realtà importante giocata fra la tradizione del Nebbiolo e la nuova giovinezza dell’Arnesi
Tra le colline allungate della Langa che si susseguono e si incrociano ripidamente, forano l’orizzonte i cucuzzoli del Roero. Formazioni sabbiose interferiscono qui tra i vari strati sedimentosi, nel condiviso terreno calcareo-argilloso, conservando le tracce di un mare perduto nel tempo.
Terre da Nebbiolo, vitigno eclettico, che ad ogni minima variazione del terroir s’imbarda e cabra come un aquilone in cielo, mantenendo sempre alte nel suo volo sia la gradevolezza che la curiosità.
In questa porzione della provincia granda di Cuneo, all’interno di un’unica denominazione, si parla quasi esclusivamente di Roero. Roero prodotto da uve Nebbiolo al 100% quando non reca nessun’altra specificazione (prima dell’introduzione della Doc nel 1985 era Nebbiolo d’Alba); Roero Arneis, invece, quando è vino bianco e profumato ricavato dal vitigno Arneis.
Vini diversissimi che, anche se prodotti in un unico spicchio di questa parte di Piemonte a sinistra del Tanaro, vogliono al contempo mantenere immutate le valenze del loro territorio, ma anche conservare la connotazione premiante dell’Arneis: quel vino emotivo di antica memoria che molti sommelier ricordano ancora oggi e che veniva semplicemente ed orgogliosamente proposto come vino da tavola fino a pochi anni fa.
Vini dalle stessa denominazione e con lo stesso nome che hanno preso strade completamente diverse tra loro e non si ricordano più di quando, qualche volta, si incontravano nella damigiana di Nebbiolo a cui qualcuno aggiungeva un mezzo litro di Arneis dolce per fare ripartire la fermentazione del Nebiulìn.
Camussa, lo chiamavano da queste parti: vino mussante vivace e brioso (quasi vin moussant, vista la vicinanza geografica e culturale con la Francia) che aveva nella rifermentazione il maggiore dei suoi pregi e che la faceva da padrone sul mercato piemontese e ligure. Carlo Alberto di Savoia, che pure si era comprato il Castello di Verduno dove produceva il Barolo, non seppe rinunciare al Nebiulìn e per poterselo produrre si comprò i poderi a Santa Vittoria d’Alba. Da dove, attraverso gli anni, la tradizione del gusto e le vicissitudini della storia, vennero poi fuori gli stabilimenti Cinzano. Suo figlio Vittorio Emanuele II, ultimo di Sardegna e primo dell’Italia unita, era invece sanguignamente incline al Barolo e fu verso Fontanafredda che sistemò sia le vigne che la signora Rosa Vercellana, molto più famosa come la Bella Rusin.
Mezzo litro per un’intera damigiana: la stessa proporzione tra Arneis e Roero che si incontrava nei vigneti fino ad una ventina di anni fa. Hanno fatto fatica i piemontesi, per cui il vino è sempre rosso, a comprendere le possibilità del vitigno che erano soliti trascurare in vigna. Vino emotivo e di anni lontani, si diceva prima, ma pur sempre un bianchetto da bere giovane se non addirittura da usare come uva da tavola. E con un nome che, nonostante ci sia chi afferma che già nel quindicesimo secolo qualcuno lo citasse come “Renexio” o “Renesio”, vuol proprio dire arneis, un arnese, come era solito ricordare con un sorriso compiacente Gino Veronelli.
Ora le proporzioni si sono invertite ed è l’Arneis a farla da padrone in vigna e sul mercato. Sembra proprio che questa parte di Piemonte, sempre rispettosa della filosofia delle piccole cose, abbia deciso di lavorare in grande e di offrire di sé un’immagine competitiva e decisamente moderna usando questo vino di bandiera come passepartout per un nuovo successo di critica e di pubblico.
Spero non si dimentichi che la sua identità dovrebbe rimanere nelle piccole produzioni di qualità, nel rispetto del territorio, nella dignità e nella concretezza della sua gente.