7 mila euro di costi per ogni azienda agricola Oggi è la “buronospora” la malattia più temuta dai vitivinicoltori. Quell’infezione di carte e codicilli che rischia di gettare sul lastrico i meno avveduti. E non perché si attacchi alle uve e le guasti irrimediabilmente coi suoi veleni. Ma perché inesorabile prosciuga energie e portafogli di chiunque decida di fare del vino la sua ragione di vita. A denunciarlo a chiare lettere, ultima in ordine di tempo, è stata Fedagri, che ha lanciato un forte grido di allarme chiedendo a chi gestisce norme e regolamenti di intervenire prima che sia troppo tardi. Il costo della burocrazia che grava su una cantina cooperativa di medie dimensioni è superiore ai 7 euro per ettolitro, il doppio rispetto alla Francia ed il triplo rispetto alla Spagna. Numeri impietosi, che certificano una volta di più come puntare ad una sana e serena concorrenza per i produttori italiani stia diventando pura utopia. «Per produrre e commercializzare 35mila ettolitri di vino a denominazione – ha dichiarato Luigi Soini, direttore della Cantina Produttori di Cormons, in Friuli – siamo costretti a spendere oltre 250mila euro per ottemperare alle regole. Un peso che per la nostra cantina equivale al 2,6% delle vendite: come dire che le prime 100mila bottiglie vendute servono esclusivamente a coprire i costi della burocrazia». Una iattura, questa, che non colpisce ovviamente solo le cantine cooperative, ma indistintamente tutti i produttori. Da mesi viaggia sul web la video denuncia di Paolo Cianferoni, patron di Caparsa, nota cantina del Chianti, che non lascia nulla all’immaginazione: sono 19, elencati uno dopo l’altro con straordinario effetto kafkiano, gli organismi che a un qualche titolo effettuano controlli nella sua azienda: «Ormai siamo arrivati ad un vero e proprio paradosso – dice Cianferoni – una persona a lavorare e dieci a scrivere quello che fa. I piccoli coltivatori rischiano di scomparire oppressi da questa spesso inutile burocrazia».
Occorre sburocratizzare il settore
Ed è stata proprio la “buronospora” a costringere di recente Coldiretti Piemonte a presentare al Presidente della Regione Roberto Cota e all’Assessore all’Agricoltura Claudio Sacchetto il “Decalogo per la semplificazione e la sburocratizzazione nel settore vitivinicolo. Dieci semplici azioni da mettere in atto per agevolare il compito dei produttori, oggi più concentrati a compilare moduli che a curare i loro vini: «La burocrazia – ha dichiarato il presidente della Coldiretti piemontese Paolo Rovellotti – mette in pericolo la sopravvivenza delle oltre 20mila aziende agricole regionali: per produrre una bottiglia di vino servono due chili di carta».
Sulla medesima lunghezza d’onda anche Assoenologi: «Un tecnico di cantina – ha denunciato qualche tempo fa il direttore generale Giuseppe Martelli – è oggi costretto a dedicare un quarto del suo tempo lavorativo alla burocrazia, un impegno inammissibile, visto che finisce per generare costi supplementari enormi». Secondo Assoenologi gli uffici con cui una cantina è costretta ad avere rapporti “obbligatori” non sono 19, come denunciato da Cianferoni, ma addirittura 21. Con l’aggravante che, nell’era dell’informatizzazione, molti di essi non sono ancora in grado di interfacciarsi tra loro e finiscono spesso per costringere i produttori ad ottemperare ai medesimi obblighi. Una palla al piede pesantissima, che ostacola considerevolmente l’accesso dei nostri vini su un mercato regolato da una concorrenza che in altri paesi altrettanto vocati non viene limitata da norme così vessatorie.
Fedagri contro la sovrapposizione degli enti di controllo
Ecco perché Fedagri ha deciso di passare al contrattacco, non limitandosi alla protesta, per quanto circostanziata, ma proponendo in concreto una serie di correttivi che, se applicati, potrebbero diminuire non poco l’elenco dei tributi che i “burosauri” pretendono per consentire lo svolgimento dell’attività vitivinicola. Diciotto, per la precisione, le proposte che Fedagri ha consegnato ai Ministeri delle Politiche Agricole, della Salute e dell’Ambiente. Modifiche dei regolamenti, per la precisione, che potrebbero diminuire l’impatto della “buronospora” sulla produzione di vino nel nostro Paese. Impossibile entrare nello specifico se non si è un addetto ai lavori. «Giusto per capire – ha però spiegato Adriano Orsi, presidente del settore vitivinicolo di Fedagri – si tratterebbe in buona sostanza di razionalizzare il sistema dei controlli, oggi reso macchinoso e poco efficiente dalla sovrapposizione pressoché costante degli enti preposti. Francamente troviamo paradossale e incomprensibile il fatto che la burocrazia del settore vitivinicolo sia simile per complessità a quella del settore esplosivi: la semplificazione normativa, soprattutto nel nostro ambito, è diventata vitale per la sopravvivenza di molte aziende, anche cooperative». Ma è evidente che non si tratta di un problema limitato al mondo della cooperazione, anche se Fedagri parla per conto dei suoi 140mila soci. «Macché – ha proseguito Orsi – si tratta di un problema ormai generalizzato, che potrebbe però essere risolto davvero a costo zero. Basterebbe un po’ di buona volontà e i vantaggi verrebbero spalmati su tutti i produttori. Purtroppo però sappiamo come funzionano queste cose nel nostro Paese, per cui non ci facciamo illusioni su una rapida ricezione delle nostre proposte, nonostante la disponibilità manifestataci a più riprese dal mondo delle istituzioni. In realtà noi puntiamo a Bruxelles e sarebbe già un bel successo riuscire a diminuire il numero dei produttori e delle cantine sociali, in modo da riequilibrare il rapporto con i venditori, visto che oggi per una decina di grandi catene di acquisto esistono in Italia 34mila produttori. Il punto cruciale – ha continuato Orsi – sarà la promulgazione della Politica Agricola Comunitaria nel 2013: vedremo se le nostre istanze saranno recepite, nel qual caso ci presenteremo a Roma per sollecitarne l’applicazione».
7 mila euro di costi per ogni azienda agricola
E che questo cortocircuito burocratico possa essere stato causato dal comportamento poco cristallino – per usare un eufemismo – di qualche vignaiolo più furbetto, che ha cioè costretto lo Stato ad elaborare una struttura maniacale di controlli per evitare eventuali elusioni, è un’ipotesi che Orsi non vuole nemmeno sentire: «Se così fosse – ha ribattuto – questa complicazione normativa sarebbe limitata al mondo del vino. Invece non è così». E infatti, come ha ricordato qualche tempo fa Giordano Pascucci, membro della giunta della Confederazione Italiana Agricoltori, «arriva mediamente a 7mila euro l’onere finanziario che un’azienda agricola deve sostenere in Italia per ogni anno di attività, per un costo complessivo di 3 miliardi di euro, sufficienti a frenare la competitività del nostro settore sui mercati mondiali». Il virus, insomma, come spesso è accaduto negli ultimi anni, non si limita a imperversare in un unico ambito, ma allarga vieppiù le sue mire. Per debellare la “buronospora”, dunque, servirebbe soprattutto una bella iniezione di buon senso, miscelata con una dose consistente di disponibilità. Antidoti di cui purtroppo la classe dirigente del nostro Paese non sembra disporre in grandi dosi.