Io non do punteggi mai. Nessuno score.
Per giustificare un punteggio serve il commento.
Torniamo tutti ad essere più democratici.
La fortuna dei vini italiani all’estero? Le I.g.t.
Chi è Charlie Arturaola? Difficile raccontarlo tutto d’un fiato: un’enciclopedia non basterebbe. Per molti è un mito vivente, un rappresentante di spicco nel mondo vino, un genio passionale, un uomo ammirato per la sua competenza e semplicità giunto a noi per altri sentieri.
Charlie è un uomo rigoroso che per diverse generazioni ha occupato spazio e volume nel complesso sistema vino.
È considerato uno dei dieci palati più influenti della storia moderna del vino americano.
Nel 2012 a Londra ha ricevuto il premio International Wine & Spirit Competition Comunicator Award, il riconoscimento internazionale più importante per questo settore.
Nato a Montevideo in Uruguay da una famiglia di origine Basca, s’innamora del vino – quello sfuso in damigiana – che tutti i giorni si beveva a tavola e non mancava mai.
La sua è un’esperienza incredibile maturata prima nel settore dell’hôtellerie, poi nella ristorazione statunitense: Puerto Rico, Repubblica Dominicana, Inghilterra, Stati Uniti, Italia, Francia e chi più ne ha più ne metta, Charlie ha vissuto in qualsiasi Paese che abbia a che fare con il vino.
Dal 1995 le sue carte dei vini sono sempre state considerate tra le migliori d’America.
L’intervista
Charlie, quanto è cambiato questo settore da quando hai iniziato a lavorarci? La tua lunga esperienza ti ha permesso di attraversare intere generazioni di professionisti e appassionati. Come trovi le nuove leve?
Si esatto, sono trenta anni che vivo intensamente il mondo del vino; in questi anni sono cambiate tante cose e tante altre sono destinate a cambiare nuovamente.
L’angolo di osservazione non è più quello di prima e in alcuni casi manca il rispetto.
Il rispetto è un doveroso riguardo nei confronti della storia e della tradizione, perché stiamo parlando di aziende e territori, non di numeri. Spesso mi accorgo che i giovani palati di adesso, quando si presentano in cantina, irrispettosamente parlano solo di tannini, acidità, sapidità ma non sono attratti della storia: per loro non è fondamentale.
Ho notato ultimamente, nei miei ripetuti viaggi qui in Italia e più precisamente a Milano, belle donne, giovani amanti del vino, pseudo-esperti che parlano solo di bollicine come se le avessero inventate loro.
La lettura del vino è differente e cambia da Paese a Paese. Quali sono le principali differenze che hai osservato nei tuoi continui spostamenti?
Hai perfettamente ragione, ad esempio in Francia sono molto romantici, si parla di terra, di famiglia e di tradizione. In Italia troviamo più cuore, più calore.
La Spagna è molto tecnica, in alcuni casi troppo, come il Brasile peraltro.
In America invece studiamo il vino troppo sui libri, più diventiamo Master of Wine, Master Sommelier e più ci allontaniamo dalle bottiglie di vino, dall’esperienza diretta e questo è un errore gravissimo.
Spesso mi faccio una domanda: ma questi esperti preparatissimi quanto aiutano a vendere il vino? Sono importanti per il commercio o lo complicano? Lo ripeto: così ci allontaniamo dalle bottiglie, andiamo verso un precipizio, una strada senza via d’uscita.
Senza la storia si perde la passione, si lascia per strada.
Sai quanti personaggi ho conosciuto lungo il mio percorso? Tantissimi. Grandi degustatori che si riempivano la bocca e adesso cosa fanno? Niente, sono a casa a cucinare con la moglie, non hanno fatto carriera perché il vino non si degusta con il computer, ma attraverso la storia e la passione per la terra.
Anche tu sei riconosciuto come grandissimo esperto di vino, sei anche più preparato di un Master of Wine. Stai in qualche modo rinnegando il tuo passato?
Assolutamente no, ma negli ultimi dieci anni mi sono ricreduto, ho cambiato mestiere e mi sono reinventato.
Il mio scopo adesso è indicare a chi non ha i soldi per bere i grandi Cru di Francia o i migliori vini del mondo, come può bere molto bene spendendo il giusto.
Trovare il miglior vino possibile per tutte le tasche; non interessa la provenienza, il vitigno o il luogo di produzione.
Il mondo ha bisogno di confronto, tutti possono imparare da tutti.
Anni fa in America erano commercializzate poche tipologie di vino e non necessariamente prodotte negli States: riesling, pinot nero, merlot, cabernet, chardonnay e sauvignon blanc.
Adesso tutto è cambiato: c’è più confronto con altre varietà, un’apertura maggiore che porta a una contaminazione; è arrivato il malbec, ci sono il tempranillo, il sangiovese e tante altre varietà.
Prima neanche si conoscevano in America questi vitigni, adesso è tutto molto più globalizzato.
Sai cosa mi rende felice? Trovare a Miami, in un American bar, un sangiovese al bicchiere.
Questo perché ci si aggiorna, si ricercano i vini adatti al momento storico o al tipo di cucina proposta. È importante essere curiosi.
A proposito di cucina, oggi è molto difficile trovare una lista di vini che incontri i favori del cliente e che sia studiata per armonizzare la cucina dello chef. Non trovi?
Conosco molti chef di tutto il mondo, avendo viaggiato tantissimo.
La vera sfida è questa: saper creare una carta dei vini in equilibrio con la cucina.
Uno degli abbinamenti più riusciti che ho sperimentato nella mia vita è stato al Master Food and Wine di Möet & Chandon in Argentina.
Due importanti cuochi messicani mi chiedono:
“Charlie, cosa facciamo con il nostro Mole?” (Il Mole è un cioccolato messicano fortissimo, molto strutturato oltre che piccante, ed era abbinato in quell’occasione a una carne di maiale).
“Con quale vino lo serviamo?”.
Dico loro di non preoccuparsi, abbiamo le bollicine rosé che secondo me sono perfette. Ovviamente mi prendono per pazzo, ma li tranquillizzo.
E’ stato uno degli abbinamenti più azzardati ma riusciti della mia vita.
Cosa suggerisci a un giovane appassionato che si avvicina al vino? Quale deve essere l’approccio corretto, secondo te, quando incominciano a scoprire un vino nel bicchiere?
Consiglio di non studiare un territorio o una singola azienda.
Prima scegliete un vitigno, cercate di capire dove meglio si adatta, e poi approfondite.
Ad esempio il cabernet sauvignon è una tra le varietà più importanti, una delle mie preferite perché è interessante come si sviluppa nelle varie zone del mondo.
Sei riconosciuto a livello internazionale come uno dei massimi esperti quando si parla di vino e tra i più grandi degustatori di sempre, anche alla cieca.
In Italia abbiamo Luca Gardini come principale interprete, che ha partecipato al tuo ultimo film “The Duel of Wine” proprio come tuo sfidante. Cosa vuoi suggerire a tutti gli appassionati che vorrebbero seguire le tue orme?
Bella domanda, per risponderti ti raccontato una storia.
Era una sera tranquilla durante un Food and Wine Festival ed arriva un amico di mia moglie. In mano aveva un bicchiere con dentro del vino bianco, me lo passa e mi chiede se riesco a riconoscerlo.
Guardo, annuso e dico: “Siamo in Borgogna, ovviamente parliamo di uno chardonnay, non so se è un Mersault o un Puligny-Montrachet, ma penso sia il secondo”.
Prosegue lui: “Di che annata?”.
Rispondo io: “Mah, credo sia un 2008”.
Lui mi guarda e senza dire niente se ne va borbottando qualcosa: avevo riconosciuto il vitigno, la zona e l’annata.
Il naso è fondamentale, ogni zona ha caratteristiche ben precise che s’imprimono nella memoria olfattiva.
Anche a me capita di avere dubbi sui vini che degusto, ma cerco di fidarmi sempre della mia prima impressione perché è quella che conta, non bisogna cercare altro.
Sono diventato uno dei dieci migliori palati d’America anche grazie al mio intuito, mi fido molto di me stesso.
Ricordo un curioso episodio durante uno dei più grandi concorsi degli Stati Uniti, l’American Sommelier Competition al Waldorf Astoria di New York nel 2002.
Servono un vino e mi sento dire: “Questo lascialo a Charlie perché lui sa cosa è”.
Lo assaggio e lo riconosco subito senza neanche pensarci: non era un vino ma era un liquore basco. Da giovane mi ero ubriacato più volte con quel liquore (ride) e ovviamente la memoria gustativa si è immediatamente attivata ricordandomi gli aromi e i sapori. Il palato è un computer va istruito e alimentato, non dico quotidianamente ma quasi. E’ un triangolo: vista, naso e bocca.
Un altro consiglio molto importante è questo: quando dovete assaggiare molti vini, cercate di iniziare e finire presto. Io dopo l’una del pomeriggio non assaggio più perché sono saturo e stanco. Se manca l’attenzione e la lucidità è inutile degustare.
Non deve essere semplice confrontarsi con degustatori di tutto il mondo come spesso ti capita perché cambia lo stile, l’approccio e il modo di interpretare il vino.
Io cerco di avere grandi competenze e la cultura di quello che bevo per poter in qualche modo essere da tramite.
E’ importante capire la cultura dei popoli che producono vino e di quelli che lo consumano, per questo cerco sempre di confrontarmi con tutti, se posso. Mi piace comprendere il punto di vista di un giapponese, di un tedesco o di un francese, per esempio.
Non è possibile, comunque, degustare con persone che giudicano superficialmente i vini: hai percepito bene il tannino, l’acidità è bilanciata? Bene allora è già una virtù.
Quando arrivano questi grandi assaggiatori – magari profumati di Patchouli – spesso mi faccio delle domande.
Il concorso mondiale di Bruxelles secondo me è una delle competizioni più democratiche che conosca.
Prima si presentavano i Masters of Wine con il computer, adesso non è più consentito perché non è l’approccio giusto. Mettere insieme cinquanta nazionalità permette di imparare gli uni dagli altri e di avere un confronto corretto e educativo.
A Bruxelles non sono invitati solo sommelier perché non può essere logico: è necessario un panel che comprenda tutte le categorie interessate (commercianti, sommelier, giornalisti, buyer, ecc…).
Raccontami come vede Charlie Arturaola il futuro del vino.
Mi ricordo un giorno a New York, più precisamente all’Hilton di Manhattan, dove erano presenti per un tasting più di 750 aziende italiane fuori dalle distribuzioni americane.
Ho pensato subito: Ma quante sono? Sono più le aziende non importate e distribuite di quelle che sono dentro.
Questo ovviamente lascia ben sperare perché c’è spazio per tutti.
Adesso purtroppo è una guerra, una guerra dei prezzi.
Ho visto per la prima volta cadere il prezzo di Santa Margherita che in America era a circa 25 dollari e reggeva da più di venti anni (il Pinot Grigio ancora tiene).
Oggi è possibile bere molto bene se sai dove guardarti intorno.
Per esempio, il Portogallo che insieme all’Italia è il Paese con più uve autoctone, offre al mercato vini molto buoni a un ottimo rapporto qualità-prezzo.
Ricordi il boom della Campania e della Sicilia ai tempi? Incredibile.
Le I.G.T. sono state una denominazione fondamentale per far conoscere i vitigni italiani all’estero, però ha squalificato la D.O.C e la D.O.C.G perché permette di coltivare le uve tipiche di una regione in qualsiasi altra zona, però a livello numerico ha fatto conoscere meglio l’Italia nel mondo.
Ovviamente parlo di quello che è successo ai vini italiani nella parte di mondo che io ho vissuto, principalmente gli Stati Uniti.
Sappiamo tutti che la Spagna, la Francia e l’Italia sono i massimi produttori, ma sai chi potrebbe competere prossimamente con queste nazioni? La Nuova Zelanda. Vende per circa 579.000.000 di dollari producendo principalmente sauvigon blanc e pinot nero. Chi lo avrebbe mai detto?
Oggi è fondamentale un buon marketing ed è quello che manca secondo me all’Italia.
Per esempio “Benvenuto Brunello” è un momento molto utile perché si possono incontrare e assaggiare la maggior parte dei produttori e i vini di una denominazione. I mercati fruttuosi come la Russia, l’America, il Canada e la Scandinavia necessitano di una comunicazione incisiva e di un buon marketing da parte dei produttori, per capire soprattutto cosa possono offrire sotto il profilo qualitativo.
Le Guide del Vino? Quanto sono utili e quanto servono ancora?
Sono utili e credo anche nelle riviste, ma oramai è tutto online.
A me piace tutto quello che porta un messaggio nuovo, fresco e utile al consumatore finale; la comunicazione settoriale deve essere in qualche modo di supporto al business.
D’altro canto le guide sono troppe, guarda per esempio la guerra dei sommelier in Italia: troppe correnti e troppe associazioni.
Non è più importante mandare avanti il vino? La comunicazione deve supportare le vendite e non viceversa.
Se analizziamo attentamente il mercato degli spirits, dei drinks, dei cocktail e della birra, questi stanno rubando inevitabilmente spazio al vino e dobbiamo attrezzarci per riportare l’attenzione verso questo segmento.
Come dovrebbero muoversi le aziende produttrici sul mercato?
Le aziende devono essere più presenti: Parker, Wine Spectator, da voi il Gambero Rosso, tutto è fondamentale, ma per vendere il vino è necessario che le aziende si muovano: se non ti fai vedere, non vendi.
Il prosecco sta ottenendo un grande successo a livello planetario? Tutti inizieranno probabilmente a scimmiottarlo e se l’Italia non sarà in grado di proteggerlo, probabilmente sarà prodotto da un’altra nazione.
Le nuove logiche di comunicazione e il marketing sono e saranno molto importanti per il futuro del vino.
Cosa ne pensi dei social-media?
I social-media stanno aiutando molto la comunicazione del vino e l’industria, questo mi piace molto. Sono molto importanti ma in fondo sono un gioco, funzionano fino ad un certo punto.
A proposito di comunicazione, sei il personaggio più mediatico che conosca nel mondo del vino. Sei stato protagonista di ben due film: “El Camino del Vino” e “The Duel of Wine” che è stato presentato fuori concorso alla mostra del Cinema di Venezia. Inoltre sei il protagonista di un Wine Tv Show in Canada, entro fine anno parteciperai ad altri due show dedicati al vino su Latin America Food and Wine Networks.
Mi diverte moltissimo recitare. Dicono che ho la faccia giusta: non credevo di poter essere un buon attore invece me la cavo bene.
Il primo film è stato girato nel 2011, El Camino del Vino. Racconta una storia bizzarra, dove io perdo il palato e intraprendo un viaggio alla ricerca delle mie origini. Il secondo film s’intitola The Duel of Wine ed è il seguito. È un duello all’ultimo bicchiere, dove io di nascosto – considerando che tutti pensano che abbia perso veramente il palato – attraverso un auricolare suggerisco a un amico le degustazioni fino a fargli ottenere un grande successo. Alla fine, mascherato, decido di riconquistare il mio posto tra i grandi esperti di vino proprio in una sfida all’ultimo bicchiere con il vostro Luca Gardini, grandissimo palato.
Charlie un’ultima domanda: dai punteggi sui vini?
Io non do mai punteggi. Nessuno score. Per insegnare va giustificato il punteggio, serve il commento.