È incredibile come non ci siano, ormai, giorni in cui, da qualche parte, non si parli di cibo o non vengano lanciati messaggi su “quanto è buono quello” o su “quanto fa male quell’altro”. Ma la cosa incredibile è che questo è quello che noi costantemente cerchiamo: conferme, nuove scoperte, nuovi proclami. Siamo sempre alla ricerca che qualcuno dica qualcosa che ci rassicuri o ci allarmi, ci stupisca o ci irriti. In questi ultimi anni l’impatto mediatico che il cibo ha avuto nelle nostre giornate è aumentato in modo incredibile: fatto sta che, ormai, il cibo è diventato uno strumento mediatico importantissimo, che trascende le normali considerazioni nutrizionali. A volte è diventato un fatto puramente estetico e nient’altro. E noi siamo talmente sommersi da tanta imponenza mediatica che stiamo completamente perdendo il senso e la misura del rapporto con il cibo.
Ecco perché ormai andiamo alla ricerca di qualcosa che il cibo non ci dà e non riusciamo a recuperare tutto quello che di buono può darci. Sul Corriere della Sera di pochi giorni fa è uscito un articolo dal titolo “Record di Nobel ai Paesi che mangiano cioccolata”. Nell’articolo si legge che “dove il consumo pro capite scende sotto i cinque chilogrammi l’anno, il numero dei riconoscimenti si riduce”. Fantastico! Sono certo che, dopo aver letto questo articolo, il consumo del cioccolato è sicuramente cresciuto, incitando all’acquisto quanti pensano che per mangiare un po’ di cioccolato abbiamo bisogno di una giustificazione, un alibi, che ora è quella che il cioccolato ci fa sicuramente diventare più intelligenti! Ma purtroppo i nostri consumi sono totalmente condizionati da evidenze che poco hanno a che vedere con l’essenza del cibo stesso. E si arriva all’assurdo!
C’è un signore che gira il mondo mettendo a tavola (per miseri 120 euro a persona!) un menu che coniuga l’utilizzo di materie prime naturali con profumi chimici (le “portate olfattive”, come lui le chiama!). E’ uno dei massimi esperti di fragranze, giornalista, scrittore e risponde al nome di Chandler Burr. È stato anche recentemente in Italia, al St. Regis Grand Hotel di Roma, dove ha proposto “concentrée d’orange verte” abbinato a “capesante norvegesi marinate al Campari con arancio caramellato, limone e lime grattugiato”, per finire con un “Jardin Mediterranee” abbinato a “frangipane di marzapane ai fichi e uvetta e gelato al cocco”. Come potete vedere la sperimentazione arriva ormai a dei livelli talmente imbarazzanti, da non farci più comprendere cosa sia il cibo.
Questa è solo la punta di un iceberg talmente grosso che sta portando a fondo tutta la nostra cultura alimentare. Cosa siamo diventati? Siamo ormai talmente attratti dall’estetismo, dal sensazionalismo, dal proporre più l’apparenza che la sostanza, che non abbiamo più la capacità di distinguere sapori, aromi, odori genuini. Forse dovremmo cominciare a trattare il cibo per quello che realmente è e non per quello che vogliamo che diventi o per quello che pensiamo che ci faccia diventare (più intelligenti?). Proviamo a ricordare il profumo dell’odiato-amato minestrone della nonna, l’intenso odore del formaggio di malga o delle mele rubate da un albero del Trentino! Proviamo a ricordare tutto questo e cominciamo a chiederci se siamo in grado di riconoscere i finti perini dell’ipermercato o le mele super-rossissime delle bancarelle di città. Poveri di profumi e di sapori… E siamo talmente privi di educazione a sentire e ad ascoltare il cibo, che ora, per mangiarlo, dobbiamo abbinarlo a dei profumi finti, come il “concentrée d’orange verte”!
E badate che una giornalista di Newsweek ha definito la cena di Burr “un’estasi gastronomica”! Noi cerchiamo i pomodori super-rossi perché pensiamo che siano più buoni, senza sapere che i pomodori più buoni e saporiti sono quelli che sono verdi vicino al gambo (infatti la maturazione uniforme impedisce un adeguato rilascio di zuccheri e carotenoidi, dando vita ad un pomodoro semplicemente anonimo). Senza parlare di come ci facciamo irretire da sapori e odori costruiti a tavolino, appositamente per “catturare” il nostro palato.
L’operazione che ci porta a scegliere cosa mangiare o cosa rifiutare si è fatta sempre più ardua proprio per la presenza di un armamentario chimico che imita sapori, profumi e genuinità anche dove non esistono. E, purtroppo, le industrie sanno bene che quanto più piacevole e unica sarà l’esperienza della sinfonia sensoriale provata dal consumatore, tanto più facile sarà il desiderio di ripeterla. Fortunatamente, nella sua “estasi gastronomica” Chandler Burr ha proposto, insieme ai suoi profumi chimici, piatti di qualità, con materie prime ottime.
Ma il dado è tratto: se la strada è quella di abbinare i profumi, farsi trascinare dalla chimica, a patto che sia gradevole, un domani, al posto delle capesante norvegesi ci potremo ritrovare con una “compressione di merluzzo norvegese avvolta da gelatina al limone”, che altro non è che una… banale pillola! Se ci mettiamo dentro anche che, al giorno d’oggi, la maggior parte dei bambini a Milano non sanno che le uova nascono dalle galline e che le patate crescono sotto terra, possiamo veramente prevedere tempi bui per la nostra educazione alimentare… fino a quando non arriverà un nuovo articolo che ci dirà che se vogliamo avere un quoziente intellettivo più alto dobbiamo solo mangiare la marmellata di mirtillo; e noi ovviamente, lì, ci tranquillizzeremo e penseremo che, in fin dei conti, mangiamo proprio bene: ieri abbiamo mangiato il cioccolato e già ci sentivamo più intelligenti; per digerire abbiamo bevuto un po’ di coca cola e oggi abbiamo mangiato della marmellata di mirtillo!
Cosa cerchiamo di più?