Chi scrive ha la fortuna di confrontarsi con imprenditori che gli concedono fiducia e attenzione ogni singolo giorno e questo non perché sia chissà quale guru sceso dalla montagna, ma semplicemente perché gli attribuiscono una competenza specifica su un campo nel quale hanno carenze o zone d’ombra: il marketing per la ristorazione.
Partecipando attivamente a centinaia di campagne l’anno – alcune di successo, altre meno, altre ben lontane da tale definizione – e vedendone i retroscena, posso condividere un aspetto comune a qualsiasi situazione.
E cioè che QUALSIASI aspetto che riguardi l’attività imprenditoriale nel campo della ristorazione è frutto di compromessi.
Sono altresì convinto sia una costante anche in tutti gli altri ambiti imprenditoriali. Anzi, rilancio, qualsiasi aspetto che riguardi la natura umana è frutto di compromessi.
È il motivo per il quale quel piatto non sarà mai come lo si era pensato, quel tavolo non sarà del materiale che si era sempre sognato, quella serata non avrà mai incassato quanto avrebbe potuto e quell’evento non sarà mai organizzato con la maniacalità che si aveva in mente.
Nulla di ciò che è reale è uguale a come era stato immaginato, progettato, pensato.
Tutto è frutto di uno o più compromessi.
Questo perché tra il dire e il fare c’è di mezzo la realtà. E la realtà è fatta di budget, di tempistiche, di pareri altrui e di imprevisti che vanno rispettati e di cui va tenuto conto.
Quanto appena descritto è tanto ovvio quanto incompreso ai più. Perché chiunque di noi, quando non vede rispettate le proprie aspettative, si sente deluso. E se questa delusione non viene gestita nel modo corretto, cioè metabolizzando il fatto che è normale che ciò accada, ed è un qualcosa che non è sotto il nostro completo controllo, succedono i guai.
Succede che l’imprenditore non è mai soddisfatto, perennemente alla ricerca della perfezione, sempre tentato dall’immobilità e intrappolato in una costante caccia al colpevole. Ma soprattutto, con l’occhio puntato al concorrente. Quando succede, è facile convincersi che quello che si fa sia tutto terribile, mentre quello che fanno gli altri sia tutto perfetto.
Basterebbe invece godersi il risultato imperfetto delle proprie azioni ed essere fieri ed orgogliosi di essere umani a capo di team composti da umani e, in quanto tali, imperfetti.
Che non significa che ci si debba accontentare. Questo no. Significa che bisogna dare il massimo e puntare ad alzare l’asticella, sempre. Ma alle volte occorre anche fermarsi, sedersi, guardarsi attorno ed essere contenti di ciò che si è realizzato, consapevoli che “fatto ma non perfetto” è comunque meglio di “perfetto ma non fatto”.
Chi scrive ha la fortuna di ricoprire una posizione privilegiata: quella di colui che vede voi e tutti i vostri colleghi (o concorrenti, come desiderate) progettare e realizzare. Pensare e fare. Sognare e scontrarsi con la realtà.
Ecco, siete uguali. Siete nella stessa situazione.
Ed entrambi non siete completamente soddisfatti di ciò che avete realizzato, quando invece dovreste esserlo.
E magari dovreste brindare al rispettivo successo, ma qua, chi scrive lo sa, si pretenderebbe troppo.