Era solo il 2016 quando il ristorante Central di Virgilio Martinez venne proclamato per la terza volta consecutiva il migliore dell’America Latina dalla Latin America’s 50 Best Restaurants. Soltanto a distanza di un anno, l’ultima edizione del 2017 ha incoronato un altro re e ancora una volta viene dal Perù: lo chef Mitsuharu Tsumura del ristorante Maido. E se è vero come è vero che la cordata dei talentuosi cuochi peruviani fa da capofila nella rivoluzione gastronomica latinoamericana innescata ormai qualche anno fa, è altrettanto certo che migliaia di viaggiatori volano ogni anno in questo meraviglioso paese del Sud America esclusivamente per essere travolti dal suo vortice enogastronomico.
Non è un caso che per il sesto anno consecutivo il Perù riceva il premio come “Migliore Destinazione Culinaria nel Mondo” nei prestigiosi WTA, gli Oscar del Turismo che si sono tenuti a Phu Quoc, in Vietnam. Così come il Machu Picchu, eletto “Migliore attrazione Turistica” con una crescita annuale del 6%. Evidentemente questo Paese riveste una curiosità e un interesse enorme da parte dei viaggiatori.
Qui è presente una biodiversità immensa. Con le sue tre regioni naturali (la costa, la sierra e la selva) contiene 84 dei 117 microclimi esistenti in natura e dà vita a circa il 10% di tutte le specie globali di piante e animali. Cosa vuol dire? Vita e linfa dell’umanità.
E forse le 3000 varietà di patata qui esistenti o le 800 specie di mais coltivate possono rendere l’idea. Un enorme tesoro sotto molteplici forme che nel corso degli anni, a partire dal 1500, i numerosissimi immigrati spagnoli, italiani, francesi, cinesi, giapponesi, in primis, hanno fatto proprio. La varie conquiste che si sono susseguite durante i secoli hanno portato con loro una catena di influenze in grado di modellare usi e costumi di un popolo, arrivando a creare ciò che è oggi il Perù. La ricchezza del luogo è stata plasmata e impersonificata nella cosiddetta cucina peruviana “fusion”, risultato di differenti saperi espressi attraverso ricette e pratiche straordinarie.
Qui dapprima si insediarono le abitudini e le pratiche culinarie spagnole; la cucina araba e africana aveva il suo spazio creato dagli schiavi che furono introdotti nel Paese a partire dal XVII secolo. Piatti come l’anticucho de corazón ne sono la più chiara espressione: la carne andava al padrone, gli scarti e le frattaglie agli schiavi. Anche il tacu-tacu è di eredità africana e ancor oggi è tra piatti simbolo: una miscela di fagioli cotti e riso, conditi generosamente con pasta di peperoncino giallo.
Li seguirono gli immigrati cinesi, e quasi in parallelo gli italiani: si dice che i nostri connazionali formassero la più grande colonia europea in Perù, portando i mercati locali a scoprire nuovi prodotti come il basilico, e a sperimentare preparazioni precedentemente sconosciute tra cui la pasta (famosi sono i tallarines verdes).
Ma la storia racconta anche che il 3 aprile 1899 la nave giapponese Sakura Maru arrivò a Callao, il più importante porto dello Stato, con 790 contadini a bordo, tutti disposti a lavorare nelle piantagioni di zucchero della costa. Fu il primo contatto peruviano con i cittadini giapponesi che si trasferirono anche in altre province dell’interno e iniziarono a dedicarsi al commercio, tra cui i ristoranti che dovettero offrire piatti adattati al gusto locale. Ecco quindi che appare per la prima volta il concetto di Nikkéi, la parola che designa gli emigranti giapponesi e i loro discendenti in ogni parte del mondo, il cui massimo esponente nella cucina peruviana è il già citato Mitsuharu Tsumura, detto Micha.
Questo cangiante panorama colmo di diversità e cultura è oggi la multifaccia del Perù, probabilmente il luogo dove più divertirsi restando seduti ad una tavola. Riuscire ad unire tutte le sue diverse anime sotto un unico tetto è compito arduo. Lo fa con successo ogni anno Mistura, l’evento che celebra la gastronomia peruviana. Organizzato da Apega, la Sociedad Peruana de Gastronomía fondata nel 2007 dal famoso chef Gastón Acurio ha portato la sua decima edizione a Rímac, il distretto antico e culturale di Lima, perfettamente adatto allo slogan di quest’anno: “con sabor a barrio” (sapore di quartiere).
La rassegna prende il suo nome dalle antiche “mistureras” che combinavano aromi e sapori, così come oggi ama definirsi il popolo peruviano, un meraviglioso incrocio di razze.
Gli chef più acclamati al mondo sono stati qui ospiti, da Ducasse a Bottura, da Adrià a Martinez e quest’anno anche il Presidente di Slow Food Internazionale Carlìn Petrini. Tra le varie aree di Mistura, il Grande Mercato è il luogo dove 300 piccoli coltivatori e produttori dalle diverse regioni della nazione si incontrano per mostrare le eccellenze del territorio: quinoa, peperoni, patate, peperoncini, pesce fresco, cacao, uve eccellenti, camu camu, lúcuma, maca, caffè, manioca, papaya, granadilla e tanti altri sapori e profumi.
Il tema “mangiare sano” è stato centrale durante la fiera ed è un argomento fortemente sostenuto dalla Generacion con Causa, un gruppo di giovani chef peruviani che hanno dato (la loro) vita ad un movimento la cui mission è consolidare le basi della cucina peruviana, mantenere le tradizioni e portarla ancor più in alto attraverso creatività e curiosità. Simbolo di questo gruppo è la causa (foto a lato), un piatto tipico a base di patate e ajis (tipo di peperoncino peruviano) delle Ande, con limone e olio europei, simboli di unione e pace tra i popoli. Sono più di 50 giovani di grande talento e rappresentano il futuro dell’identità culinaria del Perù.
Riguardo questo Paese si è raccontato tanto, i suoi luoghi mitici come le maestose Ande sono mete di pellegrinaggio, il ceviche della costa, il Pisco della regione vinicola di Ica e i più famosi ristoranti di Lima sono ormai strafamosi. Ma se pensate che oggi tutto sia stato raccontato, bèh, siete in errore perchè siamo nel tempo in cui l’Amazzonia peruviana sta cominciando a vivere una nuova vita. Il cosiddetto polmone del mondo è anche la grande dispensa che attira l’attenzione degli chef (Pedro Miguel Schiaffino – Madia n. 304 – Gennaio/Febbraio 2016 – con il ristorante di Lima Amaz ne ha fatto un credo) con la sua diversità, freschezza e gusto degli ingredienti, molti dei quali ancora inesplorati.
Prodotti come il cacao e il caffè hanno già mostrato il loro grande valore e si sono fatti strada nel mercato internazionale, mentre i frutti precedentemente classificati come esotici (cocona, camu camu, aguaje, pitajaya) sono sempre più presenti nei mercati di Lima e nei ristoranti dove prima non si conoscevano.
E poi c’è la sua cucina regionale che mostra con orgoglio i piatti della selva, come la chiamano i locali: tacacho con cesina (banana fritta con carne secca), juanes (riso con pollo avvolto in foglie di banano), il chorizo amazon, il patarashca (pesce avvolto in foglie e cotto alla brace), l’inchicapi (zuppa a base di arachidi macinate, mais e yucca con pollo) e il timbuche (brodo noto come “levantamuertos” a base di pesce e uovo sbattuto). Ma non finisce di certo qui, i mercati di Iquitos, la capitale della foresta Amazzonica peruviana, sembrano appartenere ad una realtà parallela fatta di usanze forti e radicata in un tessuto popolare che discende direttamente dai cosiddetti nativi (se vorrete incontrarli dovrete avere il coraggio di addentrarvi nell’impervia selva e il suggerimento è di farlo con il preparato tour operator italiano Perù Responsabile).
Quello di Belèn è il principale della città, dove ogni giorno dall’alba al tramonto si riversano migliaia di persone in cerca di affari. Un enorme labirinto dai mille vicoli straripanti di banchi: frutta amazzonica, yucca, strani pesci appena pescati nei fiumi, il più famoso e grande di tutta l’Amazzonia è il paiche. Qui c’è di tutto, centinaia di specie vegetali e animali, si incontrano anche caimani, tartarughe, scimmie, larve, trippe e frattaglie di ogni genere, roditori e caracoles giganti. Un patrimonio che ha sempre fatto parte di questi luoghi e che oggi ha stregato i più grandi cuochi impegnati a valorizzarlo nelle proprie cucine.