Caro Maestro,
non mi dire che ci credi. Non dirmi che credi davvero di poter tutelare una ricetta con un marchio, un brevetto, un diritto d’autore quando, nel Tuo “Codice Marchesi”, Tu stesso asserisci che “una ricetta non è mai unica, ci sono infinite sfumature possibili che pur senza stravolgerla, la rendono diversa”.
Sta proprio in ciò che hai detto, a mio modesto parere, la debolezza nel tuo progetto volto a tutelare la proprietà intellettuale in cucina.
Per carità, mi piacerebbe, ma Tu sai bene con quante scappatoie e cavilli in Italia si copia e si millanta impunemente!
Ti faccio un esempio personale. Anni fa ho lavorato per quasi un anno ad un mio evento che avevo deciso di condividere con una certa nota istituzione simil-benefica nazionale.
Bene. Ad un mese dall’inaugurazione, il mio “socio di fatto” mi telefonò per dirmi che l’evento diventava suo, semplicemente con un nome diverso da quello concordato. “Tanto – mi disse, forte delle sue coperture socio/politiche – basta che io cambi una virgola al tuo format, e quello diventerà il mio”. Era un avvocato, sapeva perfettamente cosa diceva e mi liquidò con due lire per il lavoro svolto e, di fatto, acquisito. Di lì partì il “suo” progetto.
Alla luce delle migliaia di fatti analoghi a questo, davanti alle mille passatine di ceci di Fulvio Pierangelini scopiazzate in ogni angolo d’Italia, davanti alle mille spesso maldestre imitazioni del Tuo Dripping di pesce by Pollock o addirittura alle varianti derivate dal Tuo mitico riso, oro e zafferano, Tu parli di proteggibilità dei piatti d’autore?
Sai bene che non esiste un codice della cucina italiana certificato, ma un patrimonio comune di usanze e ricette mutate nel tempo. Mi auguro che, come sempre, Tu abbia però ragione e che il copyright a tutela della proprietà intellettuale dei tuoi piatti o di quelli di chi, davvero, li sanno inventare, abbia una sua validità pratica.
Ma ci credo poco…