L’Expo di Milano, pur sventolando lo slogan “Nutrire il pianeta”, si è aperto in realtà con qualche macroscopica incongruenza di fondo. Ne sia un esempio la Carta etica di intenti per affermare il diritto al cibo, sconfiggere le disuguaglianze e annullare gli sprechi alimentari, che stride però con il vistoso cappello pesantemente calcato sulla testa di Expo da quella serie di multinazionali che, di fatto, controllano la sovranità alimentare nel mondo imponendo modelli di coltivazioni massive, impregnate di pesticidi e ogm, che tolgono terra e potere contrattuale ai contadini, ai pescatori e ai piccoli produttori, specialmente nelle zone più deboli del pianeta.
E’ un modello economico che genera esclusione e povertà e che crea 850 milioni di affamati nel mondo dietro al paradosso dell’abbondanza, dato che produce per 2 miliardi di persone in più rispetto al necessario. Ma già anche quel milione di metri quadrati sottratti all’agricoltura lombarda, sepolti sotto una coltre sterminata di cemento, la dice lunga sulla reale visione di sviluppo sostenibile. Così come la dice lunga il miliardo e mezzo di euro spesi per un luna park babelico che avrà solo 6 mesi di vita.
Altra incongruenza quella di continuare a farsi vanto del mito del Made in Italy, quando non esiste una tracciabilità certa delle nostre produzioni: abbiamo latte in polvere (!) senza provenienza dichiarata per le mozzarelle; olio marocchino di dubbia qualità per tagliare il nostro evo; cosce per prosciutti senza carta d’identità, che diventano dop italiana grazie alla legge che lo permette; carni di vitello sbiancate o gonfiate con ormoni e antibiotici perché i controlli che ne appurerebbero la presenza non sono ammessi dai disciplinari vigenti; polli, conigli e persino pesci alimentati con mangimi prodotti anche con scarti di produzioni industriali o di altri animali. E via di questo passo.
E comunque, prima di vantarsi di volere “nutrire il pianeta”, basterebbe che Expo si fosse concentrato sul “nutrire i visitatori” con prezzi abbordabili: una piadina a 12 Euro, una birra piccola alla spina a 5,50 Euro, l’acqua a 3 Euro e mezzo, dopo un ingresso a 39 Euro, costituiscono un’altra evidente contraddizione rispetto alle dichiarazioni di intenti della propaganda demagogica.
Per essere credibili bisognerebbe essere più ecumenici e popolari qui e ora, invece che sbandierare i proclami del poi, che si smentiscono subito sia nella forma che nella sostanza.