Il concetto di alta ristorazione è opinabile? E casomai, se ne può parlare solo relativamente ai locali stellati e celebrati dalle Guide? Di conseguenza, quali sono i parametri per giudicarla tale?
Nella lectio magistralis tenuta da Bottura a Bologna quando ricevette la laurea honoris causa, lo chef asserì che per la sua cucina “Il riferimento è la cultura… ed è quella che cerca di rendere visibile e commestibile le invisibili connessioni tra natura, tecnologia e arti”. Ma chi è in grado di cogliere questi aspetti?
In una intervista pubblicata mesi fa da Reporter Gourmet, lo chef Paolo Barrale dichiarava che “In Italia manca la clientela in grado di capire un determinato tipo di cucina e che riesca a stabilire se stai facendo una cosa buona o cattiva”.
Dunque il concetto di cui sopra è percepibile solo da pochi, perdippiù colti e danarosi? In parte sì.
È indubbio che esiste un problema culturale poiché, per capire il lavoro di un grande chef, ci vuole una conoscenza specifica e per frequentare certi locali ci vogliono tempo e soldi.
Tuttavia soldi, stelle e voti non sono il viatico sicuro per creare uno spartiacque attendibile in quanto, come sosteneva Marchesi, “La passione non si mette ai voti, così come la cultura”.
Chi dunque dovesse trovare arbitraria la scelta (ovviamente né ecumenica né esaustiva) che abbiamo fatto per disegnare un quadro dell’alta ristorazione, sappia che il parametro su cui ci siamo basati è unicamente quello della nostra esperienza e della nostra cultura nel settore. Così è…