Le favole spesso e volentieri iniziano con un “c’era una volta”… Bene, c’era una volta Parker; oggi non c’è più, è andato in pensione.
E allora, voi direte?
Che c’entra con i produttori di vino italiani che destinano le loro fortune ad un mercato differente da quello di origine?
C’entra, perché con l’uscita di scena di Bob, quanto conteranno i punteggi in futuro?
Per qualche autorevole osservatore sarebbe partito il tremendo conto alla rovescia per l’estinzione del modello dei 100 punti, ideato 40 anni fa da Robert Parker per il suo Wine Advocate e poi diventato metro di punteggio di tutte le maggiori riviste: un’idea geniale copiata e mai più riadattata, forse, ai tempi moderni.
Qualche tempo fa lessi un articolo di Siegel che su Meininger’s Wine Business International scrive: “Do scores still work?” (I punteggi funzionano ancora?).
Forse sì, forse no; Parker i vini non li punteggerà più, ma si godrà per molti anni a venire i vini della sua cantina (credo ben fornita), ma senza di lui è realmente iniziato un declino?
Riformulo il mio pensiero: senza Parker i punteggi (oggi i tanti eredi hanno raccolto il suo metodo di lavoro) permetteranno ai produttori di essere ancora così famosi oltre oceano o si dedicheranno di più al trascurato giardino di casa?
Torniamo al succo del nostro articolo.
Piccolo è bello, piccolo è introvabile, piccolo ha più qualità, piccolo porta al collezionismo; questa tipologia di cantine “gioiello” ha spopolato tra la fine degli anni ’90 e i primi dieci anni del nuovo millennio.
Insomma, vini per pochi a prezzi altissimi, pagati subito e introvabili in Italia dove sono stati prodotti.
Dunque? Non conviene onorare i confini di casa per far godere la propria nazione con questi vini?
Destinare all’Italia almeno un 50% della produzione?
Essere profeti in patria, essere italiani è un dovere, non un’opportunità.
Abbiamo scritto, qualche numero fa, proprio qui sulla Madia, di un nuovo punto di bevuta.
Abbiamo raccontato di nuove generazioni che berranno vini che raccontano di una terra, di uno stile adattato ovviamente a un nuovo palato, sicuramente più evoluto anche in termini di confronto e grande comunicazione, dove storytelling e marketing sono il futuro; si leggeranno i punteggi, ma non saranno più la discriminante di scelta per le generazioni a venire.
Il compito del nostro produttore è educare il palato degli italiani allo stile italiano.
Il nostro Made in Italy – anche nel vestire – ci fa riconoscere in mezzo alla folla perché siano stati educati a rappresentarlo.
Ma se non educhiamo i nostri palati attraverso le nostre eccellenze enologiche, non soddisfiamo la sete di Italia dei nostri futuri palati con le bottiglie più preziose, in quanto in fuga verso altri confini, come i cervelli verso altri laboratori, come possiamo raccontare di noi stessi?
Fate rimanere l’Italia in Italia: in futuro, di sicuro, ne beneficeremo tutti. Questo è certo.