Sarà la pittoresca e romantica campagna del Kent ad ospitare le viti di Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Meunier con cui la rinomata maison francese Taittinger intende produrre sparkling wine di qualità sull’isola britannica. Uno champagne all’inglese, insomma, vera bestialità enologica fino a qualche decennio fa, ma a breve realtà che si preannuncia fra le più interessanti. L’azienda punta a produrre 300mila bottiglie a partire dal 2020 col nome evocativo di Domaine Evremond: Charles de Saint-Evremond fu infatti il poeta francese che introdusse lo champagne alla corte del re Carlo II d’Inghilterra, nel XVII secolo. Non si tratta di fantascienza, dunque, ma di un concreto progetto enologico legato, evidentemente, ai drastici cambiamenti climatici degli ultimi anni, durante i quali le campagne del sud dell’Inghilterra sono diventate terreno di conquista per chiunque punti a produrre bollicine di qualità. Ovviamente quel vino non si chiamerà champagne, ma diventerà l’avanguardia di un fenomeno che, perdurando le mutazioni del clima – come peraltro si prevede – per i prossimi due decenni almeno, si preannuncia consistente. In Champagne si continueranno comunque a produrre le nobilissime bollicine che hanno fatto la fortuna della Francia enoica, ma sarà dall’Inghilterra che arriveranno i prodotti in grado di lanciare il guanto di sfida della qualità.
E gli stessi francesi hanno voluto giocare d’anticipo, investendo in modo massiccio sui terreni inglesi: «L’Inghilterra del sud – ha dichiarato Pierre Emmanuel Taittinger, presidente dell’omonima azienda vinicola francese – si presta straordinariamente bene a produrre uno spumante davvero innovativo, che non sarà champagne, ma non potrà nemmeno essere paragonato ad
alcuna altra bollicina del mondo. Prevediamo possa offrire agli appassionati specificità uniche ed autonome, tali da metterlo in competizione con le migliori produzioni planetarie».
Le viti saranno orientate verso sud e saranno piantate ad un’altezza non superiore agli 80 metri, in modo da permettere ai grappoli di acquisire il massimo delle opportunità che ha da offrire un territorio diventato ora climaticamente compatibile.
Le campagne interessate saranno quelle di Chilham, nei pressi di Canterbury, città peraltro gemellata con la francese Reims dove si trova la sede della Taittinger. I maligni non credono al miracolo climatico e sostengono invece che si tratti di una mera faccenda economica: se un ettaro di terreno in Champagne costa intorno agli 1,2 milioni di euro, secondo stime recenti e piuttosto attendibili, lo stesso ettaro oltremanica viene a costare poco più di 33mila euro. Produrre “champagne inglese” sarebbe allora una sfida finanziaria più che enologica, fermo restando che comunque, alla fine, nelle bottiglie deve finire un prodotto in grado di farsi vendere ed apprezzare.
Non si può negare però che negli ultimi anni una serie sempre più consistente di aziende agricole abbia iniziato a dedicarsi con grande abnegazione alla produzione di uve da destinare alle bollicine.
Da pochissimo tempo la Forty Hall Vineyard, cooperativa sociale gestita da volontari, ha intrapreso la strada della vinificazione: si tratta della prima cantina di Londra a lanciarsi in questa impresa, ma non sembri una follia o una curiosità per iniziati. Se inizialmente si punta ad una produzione limitata a qualche centinaio di bottiglie, le viti piantate nei dintorni della capitale potrebbero garantire una quantità di uva tale da puntare alle 10mila bottiglie l’anno. Per non parlare di Rathfinny, che nel Sussex coltiva ormai da anni ben 162 ettari di Pinot e Chardonnay con cui dà vita a sparkling sempre più apprezzati non solo dagli appassionati britannici, ma anche da quelli di tutto il mondo, vista la messe di riconoscimenti ottenuta in molti dei più importanti concorsi a cui la casa vinicola inglese ha partecipato.
E che dire di Coates & Seely, diventata nel giro di un lustro una delle maison più apprezzate nella produzione di uno spumante che non ha nulla da invidiare ai più noti sparkling di Francia e Italia? Oppure di Chapel Down, che nel Kent e nel Sussex ha coltivato viti capaci di sfidare per gusto e personalità i più ingombranti vicini francesi?
O di Gusbourne, il cui Brut Reserve ha avuto accoglienze trionfali alle ultime manifestazioni vinicole? È ormai da 15 anni che in Inghilterra si lavora per un ingresso trionfale nel mondo degli spumanti: le aziende impegnate in questa impresa sono già più di 400, tutte dedite alla cura di Pinot e Chardonnay, le uve più adatte a quei terreni e a quel clima. Cinque milioni le bottiglie prodotte ogni anno, un’inezia se confrontate ai cinque miliardi di Italia e Francia. Tuttavia si prevede una crescita esponenziale: i climatologi sono giunti a calcolare che l’aumento della temperatura media di un grado centigrado favorisce una progressione delle vigne verso nord di quasi 200 chilometri. Se i concorrenti tremano, soprattutto i vicini d’oltremanica, gli appassionati invece esultano: una nuova gamma di profumi e di sapori si sta aggiungendo a quelle da tempo consolidate, frutto di un lavoro di straordinaria qualità che, bruciando tempi e tappe, sta portando l’Inghilterra a proporsi come una terra enoica a tutti gli effetti.
Una vocazione tardiva, è vero, ma il cambiamento climatico a cui sono sottoposti soprattutto i Paesi del nord Europa sta regalando alle brughiere del sud una nuova, interessantissima ragione di vita. Nel giro di qualche anno birra e sidro diventeranno anticaglie al cui ricordo si brinderà stappando una bottiglia di ottimo spumante inglese. Se n’è accorta persino la regina che, nel dubbio, ha piantato alcune viti di Pinot e Chardonnay persino nei meravigliosi giardini della sua residenza di Windsor.