“Il servizio di sala è morto, viva il servizio” intitolava il numero scorso de La Madia. Allora, che si fa, rilanciamo il servizio?
“Nella ristorazione del presente e del futuro non vedo il mestiere del cameriere”. Lapidaria, la posizione di Davide Oldani. Non si tratta di una provocazione, ma di un pensiero coerente al suo modo di intendere la ristorazione, che trova nel D’O, la trattoria low cost (ma high quality) di Cornaredo, la sua espressione pratica.
“Anni fa il cameriere era uno dei pilastri in un ristorante di buona qualità. Doveva finire di impiattare. Adesso il piatto arriva in tavola finito- spiega Oldani-. Ecco perchè sono sommelier e cuoco, oggi, le vere colonne di questo mestiere.
A queste due figure, bisogna affiancare la professione del lavapiatti, che ha la sua importanza.
Da noi il termine “cameriere” non esiste: siamo noi stessi a prendere le ordinazioni e a servire i tavoli, non tanto per essere snob o originali, quanto piuttosto perchè tutti dobbiamo conoscere l’intera catena del lavoro ed essere interscambiabili”.
Il ruolo di portare i piatti in tavola, dunque, secondo Oldani, spetta allo stesso cuoco. Perchè?
“Perchè chi lavora in cucina è bene che si confronti con la realtà della sala, che trasmetta all’ospite la sua parte di conoscenza e di esperienza. E poi è un modo per mettere la propria faccia davanti al cliente”.
Nel libro “Cuoco andata e ritorno. Viaggi, sogni, ricette di un uomo che voleva cucinare” (Edizioni Touring), Oldani scrive che “l’ospite del mio ristorante deve sentirsi come nella casa di un amico, o di qualcuno che potrebbe diventarlo”. E Oldani spiega bene come ottenere questo. Ovvero, creando un sistema che inizia al momento della prenotazione telefonica e termina alla conclusione del pasto.
Quando il cliente arriva al D’O, la porta d’ingresso è chiusa, perchè l’ospite va accolto come si conviene: gli si va subito incontro, lo si saluta, lo si mette a suo agio. Fondamentali sono i tempi della serata. Nel suo libro Oldani è molto preciso: dal benvenuto alla presa della comanda dovrebbero passare circa dieci minuti e dalla comanda al primo piatto non più di quindici minuti. Nel frattempo saranno arrivate in tavola le bevande. Ogni piatto successivo dovrà arrivare otto minuti dopo il precedente, tranne il dolce, per il quale bisogna lasciar trascorrere un paio di minuti in più. Riassumendo, quindi, la degustazione di una cena composta da quattro piatti si concluderà in meno di sessanta minuti. “Per me il piacere di una sosta dipende molto dal ritmo del servizio. Soprattutto il tempo che si trascorre in attesa della prima portata deve essere ridotto all’essenziale. La maggior parte delle persone vuole mangiare in questi tempi, non ha intenzione di star seduta a tavola tre ore. E poi noi adottiamo un altro espediente per creare la giusta atmosfera al D’O. Ovvero, prendiamo le comande a voce, senza scrivere nulla. È un piccolo particolare, ma fa capire subito all’ospite che per noi è importante, che lo stiamo ascoltando davvero”.
È una filosofia chiara, che si rispecchia anche nell’allestimento del tavolo, contraddistinto da una semplicità estrema: al bando sottopiatti, piatti e piattini, la classica sfilata di bicchieri e posate. La mise en place del D’O è essenziale: all’arrivo, per ogni commensale, due posate (forchetta e coltello), un tovagliolo, un calice basso per l’acqua e un altro per il vino.
test d’ingresso nelle scuole alberghiere per misurare il palato
Nell’articolo sul servizio dello scorso mese avevamo affrontato anche il tema della formazione. Questa la posizione di Oldani. “Prima di scegliere una carriera in cucina, propongo di capire se e in che misura si è dotati di palato. Il palato non lo si acquisisce con il tempo o l’esperienza. Dico di più. È quasi certamente l’unico fattore essenziale, in questa professione, che non si può imparare. Proporrei quindi un test d’ingresso alle scuole alberghiere, per determinare chi ha il requisito fondamentale per svolgere questo mestiere”.
Abbattere i costi
“Questa apparecchiatura comporta minore formalità, più agio per l’ospite, concentra tutta l’attenzione sul piatto che arriva in tavola. E alleggerisce il lavoro dei lavapiatti, fa spendere meno soldi per i detersivi, con un conseguente contenimento dei costi”. A paradigma di questa filosofia, si prenda l’invenzione della posata passepartout, creata da Oldani per il suo locale. Un po’ cucchiaio, un po’ forchetta, un po’ coltello: strumento per vivere in rilassatezza l’esperienza gastronomica e maniera per ridurre di due terzi le posate da lavare…
Essenzialità, informalità e piacevolezza, attenzione tutta concentrata sul cibo: questa la filosofia del D’O.
Cucina Pop
“Hanno definito la mia cucina pop. È una definizione che faccio mia. Il mio intento è di proporre una buona cucina a prezzi accessibili, un’esperienza gastronomica per il palato alla portata di tutte le tasche. Una cucina del levare e non dell’aggiungere. Rispecchia la mia filosofia di vita e sta diventando un movimento”.
L’abbattimento dei prezzi (la proposta del mezzogiorno, che comprende primo, secondo, un bicchiere di vino e caffè costa 11,50 euro, il menu degustazione di quattro portate 32 euro) è determinato da due fattori: la scelta di utilizzare materie prime meno costose, ma anche un ridimensionamento – pensato- di tutto quello che è al di fuori del piatto, servizio compreso.
“Il prezzo finale di un piatto è dato dalla somma dei costi delle materie prime cucinate e dalle spese per mantenere il livello di un certo locale. Perchè non specifichiamo l’incidenza di queste due voci? Perchè non mettiamo il prezzo delle materie prime?
In tal modo l’ospite verrebbe messo a conoscenza di quanto spende per il cibo e quanto per tutto il resto. Sarebbe una scelta più consapevole. Poi, sia chiaro: se uno lavora l’astice deve farlo pagare di più; io lavoro la cipolla e posso, anzi devo, farla pagare di meno. Sono orgoglioso di questa scelta, molto low profile: sto bene io, stanno bene le persone che lavorano con me, sono soddisfatti i clienti che vengono a cena da me”.
Il sommelier?
deve stare attento
a non far bere troppo vino
Anche sul vino, Oldani ha una posizione originale.
“Intanto, per la mia visione della cucina, il vino non è fondamentale nell’esperienza gastronomica. Un piatto perfetto non ha bisogno dell’accompagnamento né del vino né dell’acqua: ha in sé la sua completezza, compresa anche la parte liquida necessaria per la deglutizione”.
Poi, bisogna tener conto della realtà italiana.
“La figura del sommelier è importante, aiuta a vendere il vino, e sulla vendita del vino in parte vive un locale. Ma dobbiamo tenere conto delle leggi in vigore e delle abitudini italiane: raramente, in un tavolo, c’è una persona designata a guidare che non beve alcolici durante la cena. Quando vedo che un tavolo sta consumando troppo vino, sono il primo a consigliare di limitare l’alcol. Lo faccio per senso di responsabilità, e devo dire che molte persone apprezzano”.