Più facile dire quello che non è. Non è una locanda, come suggerirebbe il nome, non è un fast food, come suggerirebbe la facile posizione all’ angolo della piazza e del frequentatissimo lungomare, non è nemmeno un ristorante, come forse quelli che non ci sono stati vorrebbero trovare. Il nome giusto, sarebbe stato “da Raffaele”, ma questi titoli sono ormai troppo “out” e “demodé” per l’alta ristorazione. Però renderebbe l’idea: siamo da Raffaele, in un ambiente semplice ma assai personalizzato, dove la maggior parte degli oggetti è stata pensata e realizzata in casa da lui stesso. Ed è Raffaele che accoglie, consiglia, prepara la cena, (e anche il conto alla fine), e ringrazia ogni ospite quando va via (normale cortesia che però non capita poi tutti i giorni). Come dire, Raffaele è immanente. Il locale e il cibo possono produrre impatti diversi tra cliente e cliente (anche perché, come vedremo non si trovano qui piatti banali), ma sicuramente tutti si ricorderanno l’esperienza, e questo, crediamo, è il suo merito maggiore, soprattutto da queste parti dove i menù sono praticamente fotocopiati l’uno con l’altro.
La sua filosofia ha come intento fondamentale il divertimento di chi si siede ad uno dei suoi tavoli e in realtà il primo a divertirsi è lui, sollecitato com’è dalla necessità costante di stimoli nuovi e di cambiamento. Ci dice sornione che quando lavorava in locali non suoi, assecondava questo bisogno cambiando spesso ristorante; ora che invece la Locanda Liuzzi è proprio sua, cambia il più frequentemente possibile tutto quello che può all’interno del ristorante, dalla disposizione della mobilia al menu.
Già la scelta della location denota uno spirito libero, quasi anarchico, per nulla scalfito dai dubbi sollevati dal pensare comune. Cattolica non è una piazza facile: in inverno non fa eccezione rispetto alle altre località rivierasche e perloppiù sonnecchia in attesa della bella stagione, che, quando arriva, lo fa con tutta l’invadenza possibile, annunciata dai clacson e dalle marmitte modificate dei motorini. Eppure la locanda si è subito trovata a proprio agio in quel locale che spesso in passato aveva cambiato gestione, incastrato com’è fra fastfood e bar alla moda e, anzi, si è ritagliata il proprio spazio imponendosi poco a poco, senza bisogno di neon multicolori o di attira-folla all’esterno.
Il vero richiamo è infatti l’interno della locanda, che Liuzzi ha arredato praticamente da solo in modo del tutto inusuale. Le tende sono fatte con le posate, i coprilampadina sono tazze da tè rovesciate ed è proprio Raffaele che le ha costruite tutte, e fatica a star dietro agli ordini che gli arrivano continuamente dai clienti stessi.
Stessa indole creativa emerge dalla preparazione dei piatti, che sono velati tuttavia da una vena romantica, quasi nostalgica, che fa sì che alle presentazioni invitanti e divertenti faccia da contraltare l’attaccamento per la Puglia e l’infanzia lì trascorsa. Ecco allora che la cucina delle donne della famiglia e la pasticceria dello zio fanno capolino fra un’elaborazione e l’altra, marchiando a fuoco un modo di intendere la ristorazione che gioca costantemente fra passato e futuro. Prima di tutto ci viene proposto il bon bon di scampi con spuma di foie gras e riduzione di campari, servito a foggia di caramella su un cucchiaio e da mangiare in un unico boccone.
Questo inizio è caratterizzato dalla sequenza di quattro sensazioni, una diversa dall’altra, ma in perfetto equilibrio fra loro: per prima cosa colpisce l’impatto del dolce dello scampo e del foie gras, che viene immediatamente contrastato dalla tendenza amara del campari, per poi chiudere con la croccantezza e la percezione di saporito dei cracker sul fondo del cucchiaio.
Mentre in questo caso l’impegno del cliente è ridotto al portarsi la posata alla bocca una sola volta, nel caso del secondo piatto proposto, la ricciola fai-da-te, è necessaria una certa maestria, dal momento che la portata è servita in un’infusiera in vetro, con le fettine di ricciola poggiate sul filtro e, al posto dell’acqua, dei trucioli di legno di ciliegio che, bruciando, affumicano il pesce direttamente sulla tavola.
È il cliente stesso che stabilisce a suo gusto quanto la ricciola deve essere affumicata, prima di immergerla in una porzione di squacquerone di San Patrignano posto sulla tavola accanto all’infusiera: il formaggio, ben lontano dal coprire il sapore del pesce, ne esalta invece l’affumicatura fresca che emerge con tutte le note del legno di ciliegio. Ed ecco in sequenza un altro piatto inusuale: il cannellone farcito di rombo chiodato con pomodori secchi, basilico e capperi, su bietola saltata in padella all’aglio e guazzetto di bufala pugliese profumato al caffè.
All’impatto croccante del cannellone fritto in tempura, segue immediatamente la morbidezza dei sapori mediterranei che si amalgamano in bocca: qui abbiamo la netta sensazione che Raffaele si sia lasciato cullare dalla nostalgia del passato, creando un piatto che rimanda immediatamente al sapore del panzerotto pugliese. Ma forse è il dolce il piatto da cui emerge con più intensità il legame di Raffaele Liuzzi con la sua infanzia: una millefoglie di melanzane con mousse di fichi secchi e salsa allo yogurt.
Ci racconta che l’idea del piatto gli è venuta ricordando quando bambino, in estate, ogni due ore la madre gli faceva girare le melanzane e i fichi messi al sole a seccare, in modo che non venissero assaliti dalla muffa.
E proprio la melanzana tagliata a fette sottilissime ed essiccata è la base portante del dolce, perchè essendo spugnosa, assorbe con facilità sia la spuma di fichi (su cui è poggiata a mo’ di petali di rosa) che la salsa di yogurt, senza conservare nulla del proprio sapore originario, se non il piacevole pizzicore dato dai semini. Passione, genialità, amore per il rischio: questo troveretà il cliente curioso e spericolato da Raffaele, chef a volte altalenante, mai deludente.
locanda liuzzi
Via Fiume, 63
Cattolica (RN)
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