Chiedete del ristorante Damiani e Rossi a Porto San Giorgio e il vostro cicerone controllerà il calendario: gli stabilimenti infatti sono due, tanto da costringere lo chef Aurelio e sua moglie Rossella ad un pendolarismo fra mondi, cucine e ispirazioni. Dapprincipio è venuta la trattoria, aperta nel 1995 e ospitata in una vecchia casa colonica sulle colline sopra Porto San Giorgio: una trentina di coperti in un ambiente rustico elegante, molti piatti di terra e qualche sparuta proposta di pesce. Poi c’è lo chalet inaugurato nel 2006 in un vecchio stabilimento balneare, prossimo a una radicale ristrutturazione. Esterni in legno, vetrate con vista mare, colori naturali: sono 150 metri quadrati di cui 70 adibiti a cucina, per un totale di 35 coperti, che salgono a 60 con gli ambiti tavoli sulla spiaggia. Il menu (se esistesse) sarebbe tutto pesce.
Ai fornelli e al mercato c’è sempre lui, instancabile e appassionato. I locali infatti si passano il testimone col volgere della bella stagione: nuovi stimoli per due cucine che non vogliono confondere le carte. “A dispetto di tutta la tecnologia che c’è in giro, sono un cuoco da padella”, dice Aurelio; “è lo strumento di una cucina spontanea, magari l’esito non è sempre lo stesso, può essere sopra o sotto lo standard ma dà sempre emozioni. Poi sono un maniaco della stagionalità, per gli ortaggi come per il pesce. Anche se sono in atto variazioni rilevanti: non ho mai visto tante mazzancolle di questa stagione, devono essere i cambiamenti climatici. Fare la spesa la mattina al mercato, fino alle 11, è il momento che preferisco: mi piace chiacchierare con i fornitori, scegliere la merce, ripensare i piatti. Perché da me non c’è carta: su questo sono tassativo. Un giorno puoi trovare un piatto, poi magari l’indomani non c’è più e ricompare dopo una settimana”.
Sempre molto friendly i prezzi: 35 euro per la trattoria, 40 per lo chalet. E stiamo parlando del menu degustazione, prescelto della maggior parte dei clienti, che comprende 3 antipasti, 2 assaggi di primi, 1 secondo e 1 dessert. La palestra di Aurelio è la casa, anche se a volte i famigliari si arrabbiano: “Magari preferirebbero uno spaghetto con il pomodoro, mentre io ho sempre voglia di sperimentare cose nuove”.
In sala la sorella Silvia, in cucina la moglie Ornella, quando i due figli adolescenti le lasciano un attimo di tregua. Ma al fianco di Aurelio sono transitati tanti giovani cuochi di talento, che hanno finito per aprire o dirigere locali propri nelle Marche.
Come ti sei avvicinato alla cucina?
Sono nato in un paese dell’entroterra ascolano da una famiglia di contadini: mia madre ancora coltiva l’orto per i ristoranti. Lei e mia nonna erano due cuoche formidabili, di quelle che si mettevano a cucinare fin dal mattino sul fornello a carbone. Le loro ricette mi sono tornate spesso in mente: i vincisgrassi, i frascarelli, una polentina di frumento con il riso, oppure i tagliolini senza uova, conditi con la pancetta e una spruzzata di aceto. La ristorazione l’ho conosciuta lavorando come cameriere in un bar, dopo le medie. Così ho deciso di riprendere gli studi all’istituto alberghiero di San Benedetto del Tronto: si stava benissimo, perché era un convitto in cui gli allievi cucinavano sia pranzo che a cena. Poi ho trascorso due anni a Londra in un ristorante italiano, più che altro per la musica: come dimenticare il concerto dei Rolling Stones ad Hide Park?
Tu sei considerato un apripista della nuova cucina marchigiana: quando hai iniziato, i grandi big come Cedroni, Pompili e Uliassi dovevano ancora arrivare.
Il mio primo locale, Iemo al fogaro’, l’ho aperto nel 1977, quando da queste parti non c’era proprio niente. Ricordo che passò da me Veronelli, che a quei tempi era agli inizi anche lui, e mi disse: “Bravo, continua così”. Rimase contento di una cucina nuova per l’epoca, ad esempio il risotto col rosmarino aveva un grande successo. Così mi sono impegnato sempre più e ho iniziato a interessarmi alla nouvelle cuisine; ricordo ancora gli articoli che Gualtiero Marchesi scriveva su Grand Gourmet. Mangiare in via Bonvesin de la Riva mi ha cambiato, tanto che mi considero un suo allievo ideale, anche se sono praticamente autodidatta. Tornato a casa ho cominciato a ripensare tutti i piatti del territorio, rivisitandoli come faceva lui.
Oggi però la tua cucina è legata più che altro al mare.
Sono irrequieto per natura, erano gli anni dell’alleggerimento e la clientela cominciava a cambiare. Così, quando nel 1984 mi hanno proposto le cucine della Capannina, ho detto subito di sì e sono passato al pesce, anche se ho dovuto imparare e prepararlo da solo. È stato un decennio all’insegna dell’innovazione e del successo. Ricordo piatti come i maccheroncini di Campofilone con calamaretti, pomodoro fresco e basilico, un condimento praticamente a crudo scaldato con il calore della pasta: Marchesi l’avrebbe definita un’insalata. Dopo dieci anni nel 1995 sono tornato alla carne con la trattoria Damiani e Rossi; ma dall’anno scorso in estate mi trasferisco nello chalet sul mare, vicino alla pinetina.
Come definiresti la tua cucina oggi?
Direi che è classica, perché dopo tutti questi cambiamenti, quella che una volta era considerata innovazione è diventata normale. Il pesce mi ha insegnato a cucinare la carne in modo diverso, con più esattezza e immediatezza in cottura; ma non mi piace mescolare tecniche e ingredienti. Prendiamo il mio brodetto, che preferisco definire guazzetto: sono gli stessi ingredienti della ricetta tipica di questa zona, pomodori verdi, aceto, pesce misto, ma anziché cuocerli a lungo, ottenendo una salsa interessante con un pesce disidratato e sfaldato, riunisco tutto a freddo, copro col coperchio e dopo 5 minuti il piatto è pronto.
Chalet La Pinetina
Lungomare Gramsci concessione n° 64
Porto San Giorgio • Tel. 0734/674401
Sempre aperto • 1 giugno-15 settembre
Trattoria Damiani e Rossi
Via della Misericordia, 7
Porto San Giorgio • Tel. 0734/674401
Chiuso lunedì e martedì • Il resto dell’anno
damianierossi@libero.it