Di Elsa Mazzolini
Nel recente universale interesse per l’enogastronomia, ormai debordante, ipertrofico e, temo, prodromo della saturazione e del possibile rigetto, la decisione del “Corriere della Sera” di dedicare una collana alla “Grande cucina regionale” mi sembra comunque interessante e significativa, almeno sul piano della divulgazione.
Una delle ragioni della mia (trascurabile) valutazione positiva consiste nel fatto che il celebre quotidiano non si limita ad una asettica riproposizione delle glorie gastronomiche del passato, ma tenta una lettura critica dell’evoluzione cui la nostra cucina è andata soggetta negli ultimi vent’anni (loro dicono 30, ma qui mi sento di non essere proprio d’accordo) attraverso una scansione temporale che vede affiancarsi la tradizione al suo rinnovamento, fino poi all’innovazione tout court.
Ciò che comunque mi è piaciuto è il sottotitolo che il “Corriere” dà ad un articolo di Francesco Arrigoni: “Quando in cucina l’ingrediente fondamentale è la storia”. Sarà capzioso il collegamento, ma di tutto un ponderoso quanto fantascientifico romanzone di Michael Crichton – prolifico autore di best seller come Jurassic Park, ma anche della serie televisiva “E.R. Medici in prima linea”, tanto per intenderci – mi ha colpito il fatto che dei suoi surreali protagonisti giustifica un avventuroso viaggio nel medioevo da parte di un gruppo di scienziati con queste parole: ”…storia non è disinteressata registrazione di eventi ormai lontani, né materia di dispute erudite e inutili. La storia deve porsi come obiettivo il chiarimento del presente, delle ragioni che hanno reso il mondo tale e quale noi lo vediamo. La storia ci spiega le cose essenziali del nostro mondo e in che modo si sia giunti a crearle. Ci rivela i fondamenti e la validità dei nostri assunti assiologici. Ci suggerisce cosa trascurare o tralasciare…
Un grande potere, insomma. Il potere di plasmare una società nel suo insieme. Il futuro è nel passato… nelle mani di chi controllerà il passato”. (“Timeline”, 1999).
Cavoli! Le nostre nonne e le loro ricette che erano l’emblema e il collante piú resistente della famiglia, l’avevano capito. Al contrario, paradossalmente, in un’epoca dove l’uomo crede di poter governare (e devastare) il mondo e la natura, a qualcuno deve essere sfuggita questa intrigante possibilità che non è gestire il passato con il restauro artificiale di questi nostri borghetti tutti perfetti e pulitini, con le vecchiette che bisogna imbalsamarle perché non si propongano, liftate anche loro, a vendere salami e caciotte nostrane a peso d’oro. Il passato è ciò che è autentico, è ciò che, per dirla ancora con Nostro, “…è venuto prima delle grandi corporations che plasmano il presente ed è trascorso senza la loro intrusione e le loro manipolazioni. Il passato è vero, autentico. Ed è proprio questo che lo rende incredibilmente attuale”.
Noi abbiamo una cucina, quella italiana, che il passato ce l’ha, vero e autentico, ed è questa la sua forza, il suo potere. Ha priorità assolute, tempi di decantazione importanti, testimonial di rilievo. Vantaggi concreti. Ed ha dignità e valore tanto che sia riproposta in modo assolutamente classico, tanto che la si voglia aggiornare, trascurando e tralasciando ciò che non è piú necessario. Purtroppo però oggi sembra disdicevole ammettere una dipendenza da ciò che ci ha preceduto e l’ansia un po’ isterica di trasformare troppo o rottamare in fretta i ricordi, rischia di renderci il presente estraneo. Io credo che invece abbiamo molto bisogno di mantenerlo e dominarlo, sapendolo gestire, questo legame sottile con il nostro passato culinario, per costruire meglio un futuro duraturo e “sistenibile”, in grado di esaltare le nostre identità e di affascinare i viaggiatori in cerca di un luogo prezioso: l’enigma del tempo.
“Il mercato in piú rapida espansione è quello del turismo culturale. La gente non vuole visitare altri luoghi, bensì altre epoche”. Michael Crichton