Giornalisti e critici possono determinare, in parte, la fortuna di un ristorante. Perciò è meglio conoscerli bene e soprattutto conoscerne gusti, manie e abitudini. Per evitare recensioni negative o, ancora peggio, un silenzio assordante sul nostro locale. La categoria, bisogna dirlo subito, è da prendere con le molle. Questi signori, tutti ottimi professionisti, sono pieni di idiosincrasie, di odi et amo per questo o quel piatto. Matti, simpatici, ma anche pericolosi come crotali. Una cottura sballata e via, la frittata è fatta. Tanto che qualche ristoratore ha cominciato a pensarla diversamente, sui critici.Ecco un paio di testimonianze al vetriolo sull' argomento. Non ce ne vogliano i critici interessati, perché chissà quante volte è capitato anche ai colleghi di altre testate…
Guide, guinzagli e ripicche“Sto per far mettere fuori dall'ingresso del mio ristorante un cartello su cui c'è scritto 'Vietato l'ingresso ai cani senza guinzaglio e ai giornalisti dell'Espresso e della guida”. La singolare dichiarazione è di Maurizio Signorini, proprietario del ristorante Azzurra di Riccione. La decisione è dovuta a una serie di articoli molto negativi pubblicati dal settimanale, che hanno dato fastidio a Signorini, noto per essere un bravo professionista ma non un grande amante delle pubblicazioni critiche del settore. “Hanno parlato male del nostro cibo, scrivendo anche cose che non sono assolutamente vere a proposito degli ingredienti che usiamo e sul servizio. E' chiaro che ci siamo rimasti male, ma è tutto il sistema che non funziona”.
Il suo è un disagio piuttosto profondo, e che colpisce sempre piú esercenti. La riflessione è seria: conviene essere citati dalle guide? La pubblicità è l'anima del commercio, ma la risposta non è così scontata.“Da un paio di anni ho chiesto di non essere piú citato dal Gambero Rosso e da altre pubblicazioni simili – spiega Signorini – e questo naturalmente accadrà anche per l'Espresso. Il nostro ristorante è sempre pieno, e i grandi numeri secondo un vecchio pregiudizio delle guide, significano scarsa qualità. Ma noi non abbiamo bisogno che questo o quell'ispettore vengano a dare giudizi su un lavoro che noi facciamo con passione da molti anni. Anche perché molti non sono così competenti, e sicuramente non sanno che la qualità delle nostre materie prime è assoluta e che la cucina che facciamo è semplice, ma fatta come si deve. A noi interessa che la gente ci dica che da noi si sta bene, e di questo abbiamo la conferma. Perché, nonostante mi pare in giro ci sia abbastanza crisi, nell'ultimo anno abbiamo aumentato il fatturato. E non certo grazie alle guide”.
Ma perché Signorini la pensa così? “Per vari motivi. Prima di tutto, non sempre i giudizi vengono dati con professionalità: se qualcuno parla bene di noi, è possibile che la pubblicazione 'avversaria', di contro, ci tratti male. Solo per distinguersi dal 'nemico'. E di questi esempi se ne contano centinaia. Accade spesso”.Uno per tutti, il ristorante Palma di Alassio. Silvio Viglietti, il proprietario, ricorda: “Siamo entrati nella guida dell'Espresso nel 1979. Siamo arrivati ad avere tre cappelli e 19/20, quando c'era Umberto Federico D'Amato. Poi purtroppo D'Amato è morto e la guida dell'Espresso l'ha presa Edoardo Raspelli, con cui non c'è mai stato un feeling e per antipatia personale nei miei confronti ci ha distrutto, togliendoci sette punti in quattro anni e portandoci a dodici. E siamo diventati peggio di un'osteria. Per fortuna quando Raspelli è caduto, è venuto Vizzari che ci ha aumentato immediatamente di tre punti, portandoci a 15/20”.
Secondo punto: un ristorante viene visitato da un ispettore e riceve una buona recensione. E questo attira l'attenzione di curiosi e appassionati che seguono fedelmente i giudizi delle guide. Ma l'anno dopo il giudizio non è altrettanto lusinghiero. Perché è cambiato l'ispettore, o perché questi è capitato in una serata sfortunata o per mille altri motivi. Il voto cala, e di conseguenza calano anche le presenze sensibili al sistema-guide. “è esattamente così – conferma Signorini – è molto rischioso mettersi nelle mani delle guide. Perché comunque il destino del tuo ristorante può cambiare e non dipende da te, ma da qualcuno che ti viene a giudicare senza magari neanche conoscerti bene. Noi facciamo una ricerca di prodotti che va dai mari del Nord alla Bretagna, senza trascurare i piccoli produttori, ad esempio, delle ostriche di Cattolica. Non mi va che poi qualcuno parli male di noi perché queste cose non le sa”.“Un ultimo elemento – evidenzia il ristoratore – riguarda la scarsa personalità dei critici. Se uno dei piú importanti valuta positivamente un locale, allora ci sarà tutta una pletora di seguaci che ne tesserà le lodi, senza neanche visitarlo, magari. Un paio di sere fa sono stato a mangiare in un posto, non faccio nomi, con piú di una stella Michelin. Mai mangiato così male, quasi tutti i piatti erano pessimi. E la cameriera era in jeans, anche se il posto è serioso. Vorrei capire cosa ne penserebbero i critici che lodano costantemente questo ristorante”.
Marco BOLASCOChi è
giornalista storico del Gambero rosso, nonostante la giovane età è già direttore della relativa guida dei ristoranti: l'immaginazione al potere. Falso magro perennemente in jeans, moderatamente goloso, fortunato nella vita ma disponibile e aperto, intelligente senza essere intellettualoide.Amici & Nemici
Stefano Bonilli; Stefano Bonilli (non è un errore, il leader maximo e il suo delfino discutono sovente). Marco stesso è simpaticamente aperto all'autocritica e ambirebbe ad una qualità totale (amico e nemico di se stesso?).La fissazione
La quantità di innovazione, politica e gastronomica. Marco è un noto simpatizzante di Rifondazione Comunista (i suoi genitori sono catto-comunisti conosciutisi nei boy scouts), ma la rivoluzione la vuol fare anche a tavola. Adora la Catalogna (non solo i ristoranti catalani). Appena può, prende un volo low cost e ci va. Lì gli si stampa sul viso un sorriso di beatitudine che sparisce solo al momento della partenza.Cosa lo manda in bestia
La cucina da relais et châteaux, l'editoria tutta carta e niente arrosto, la gastro-chiacchiera e il birignao del giornalismo a buon mercato.Come critica
Partisan sotto mentite spoglie diplomatiche, in cucina ha gusti decisi, sa dire di sì e di no, ma non sempre è bene farlo in pubblico. Notevole la sua conoscenza dei prodotti e la familiarità up-to-date con i mostri sacri del settore; buona la memoria storica della cucina, affinata a tu per tu con Bob Noto. Who, where, when, what, why della gastronomia planetaria.Per conquistarlo
Apprezzare le sue doti intellettuali, anche se confessa “certe riviste mi annoiano, non riesco mai a finire di leggerle…”. Nello sforzo speculativo la fronte si corruga: Marco sa parlare di cucina con passione e non, senza gravità o grevità.Occhio a
Non essere piú bravo di lui. È quasi sempre calmissimo e non alza mai la voce, ma se si incazza è meglio stargli alla larga.
Luigi CREMONAChi è
Freelance classico, firma articoli sulla guida del Touring Club Italia, Monsieur, Spirito Divino, La Madia, Pasticceria internazionale, Bargiornale.Amici & nemici
Molto diplomatico: “Stimo sia Raspelli che Paolo Marchi. Il primo è bravo tecnicamente, il secondo ha una grande scrittura. Paolini è bravissimo perché è anche uomo di marketing, Vizzari ha grande esperienza ed è bravissimo sul vino”.La fissazione
“Mi piace scoprire cose nuove, sono curioso. Guardo molto all'ambiente, per poi passare ai piatti. Questi devono essere pochi, perché è un segno di qualità, di solito. E al giusto prezzo. La cantina deve essere buona ma non esagerata”.Cosa lo manda in bestia
“Non mi piacciono il servizio troppo elaborato, voglio il giusto numero di posate e bicchieri sulla tavola. Non amo le carte di sali, pepi, acque minerali… tanto fumo e niente arrosto”.Come critica
Luigi gira moltissimo per l'Italia, potrebbe spuntare all'improvviso in qualsiasi ristorante.Per conquistarlo
“Il mio ideale è Massimo Bottura, un cuoco molto creativo ma che è in grado di fare anche un piatto di cappelletti straordinari”. E con le zucchine e le melanzane quasi crude alla griglia. Oppure con la frutta quasi acerba, meglio se appena colta (personalmente dal ristoratore) dall'albero.Occhio a…
Andare a cena con Luigi Cremona. Ha il simpatico vizio (ma qualcuno pure se la prende) di assaggiare ciò che lo stuzzica dal piatto del vicino. Perciò attenzione, tenetelo lontano dalle vostre ostriche.
Fiammetta FADDAChi è
Critico gastronomico di Panorama, su cui tiene una bella rubrica settimanale. E' stata per sette anni direttore di Grand Gourmet.Amici & Nemici
“Luigi Cremona è uno scout impareggiabile, Vizzari è l'unico critico a conoscere bene la Francia, cosa molto importante. Paolini è il miglior conoscitore di prodotti, e mi piace la soggettività del suo motto 'A me mi piace'. Paolo Marchi è un fanciullone goloso, forse troppo appassionato di cucina iper-tecnologica, che io trovo a rischio omologazione. Bolasco è affidabile, Bonilli dà qualità e contenuti al Gambero Rosso, Camillo Langone è un civettone e una penna straordinaria. Il duo Raspelli-Massobrio non fornisce un servizio: piuttosto si possono definire critici dei critici”.La fissazione
“Il mio lavoro parte dal piatto, dalla mano del cuoco. Di cui invece non mi interessa la personalità. Poi sollevo lo sguardo sul locale. La cosa che mi interessa di piú è la piacevolezza del servizio, sempre piú difficile da trovare”.Cosa la manda in bestia
“La supponenza nell'accueil, quando arriva la domanda 'ha prenotato?' e il ristorante è vuoto. Mi dà fastidio il menu detto a voce, accettabile solo nella trattoria di campagna. E non sopporto la moda di trovare donne molto eleganti a fare le padrone di casa e ad accogliere i clienti, squadrandoli dall'alto in basso”.Per conquistarla
“Mi piacciono i ristoranti che coccolano le donne. Se il cameriere porta il vino, deve chiedere l'approvazione sia del signore che della signora. Devo dire che in Francia sono piú bravi rispetto a noi. A livello di cucina, ho un palato molto maschile. Mi piacciono i sapori decisi, cacciagione frollata, frattaglie e così via”.Occhio a…
Fiammetta Fadda si dice dispettosa. Si finge sprovveduta per vedere dove arriva la conoscenza del maitre o del ristoratore. “In un ristorante milanese, la carta dei vini presentava un barolo con l'etichetta di un barbaresco. Un errore marchiano. Allora ho chiesto di portarmi quella bottiglia e, se ce l'avevano, anche una cassa da dodici. Naturalmente, dopo un po', il cameriere è tornato chiedendo venia per l'errore nella compilazione della carta…”.
Paolo MarchiChi è
Firma le rubriche “Affari di Gola” e “Cibi Divini” su “Il Giornale”. Pubblica la newsletter “Identità Golose”, pubblica libri e, saltuariamente, collabora con varie testate. Cura anche il congresso “Identità Golose”, il piú importante meeting di cucina sul suolo italiano.Amici & Nemici
Non parlategli (bene) di Raspelli. No, meglio di no. Va molto d'accordo con Luigi Cremona e con l'enogiornalista Andrea Grignaffini.La fissazione
Sono tante. “Il primo dettaglio quando vado in un ristorante? Guardo le unghie dei camerieri. Se sono sporche, chissà cosa succede in cucina… Se guardiamo la cucina, invece, le idee sono tutto. Un cuoco può presentare anche un piatto a base di banana o kiwi, l'importante è che ci sia dietro una filosofia. Anche la mise en place deve essere logica, legata a questa. Faccio un esempio: tutto quello che fanno Adrià o Blumenthal contiene del nuovo, delle idee. La loro cucina è pensata”.Cosa lo manda in bestia
Marchi guarda molto al personale. Si diceva delle mani dei camerieri, ma anche il fumo è importante. “Il personale che fuma mi dà un segnale negativo, di sciatteria. L'igiene del bagno è un altro elemento che tengo in considerazione. Sono indizi sull'effettiva qualità del locale”.Come critica
Marchi è forse tra i piú internazionali dei critici italiani, e ama girare per il mondo in cerca di nuove tendenze, cucine e personaggi. E' anche un talent scout del made in Italy, e tutti i giovani talenti prima o poi finiscono alla sua corte.Questo aspetto positivo si rispecchia anche sulla critica: difficile che Marchi parli male di qualcuno, piuttosto preferisce il silenzio. Di solito apprezza l'impegno in mancanza di capacità, e comunque è bene in grado di scindere nel suo giudizio tra il ristorante con velleità di eccellenza dalla trattoria di collina.
Per conquistarlo“Vale la metafora della donna. Alla bellezza classica, magari un po' algida, preferisco la bruttina stagionata che però fa all'amore come una dea. Così è per i ristoranti”.
Qualsiasi dimostrazione di grande tecnica è apprezzata, e alla fine la domanda che si pone sempre è: quanti sacrifici vale un ristorante? Ovvero, quanti chilometri, quanto tempo, quanto denaro spendere per visitare un locale? Se alla fine vi dirà che ne è valsa la pena, è fatta. L'avrete conquistato.Occhio a…
I critici piú severi, a casa Marchi, sono… i suoi familiari. Paolo ha costruito un efficiente macchina da degustazione, a cui partecipano la moglie e i due figli. Se convincete loro – fra l'altro tutti ottimi palati – il gioco è fatto.
Paolo MASSOBRIOChi è
Giornalista enogastronomico piemontese, scrive su La Stampa, Il Tempo, Avvenire, ma anche su testate specializzate come “Terre del Vino” e per il settimanale “Vita”. Collabora anche con la trasmissione di Rai 3 “Linea Verd”e. Sue anche due guide interessanti, come il “Golosario”, dedicato alle leccornie italiane, e “L'ascolto del vino”, un bel manuale di degustazioni.Amici & Nemici
Il suo padre putativo è Raspelli. Il suo compagno di merende è Marco Gatti. Per il resto è uno che va d'accordo piú o meno con tutti.La fissazione
La serietà di Paolo Massobrio è al di sopra di ogni sospetto. Proprio per questo le idiosincrasie sono piú di una. Innanzi tutto, quando il vostro visita un ristorante, prenota sempre sotto falso nome. “Di solito uso quello di un parente, ma ormai iniziano a conoscere pure quelli” racconta.“Il passaggio successivo è lo sguardo sul locale nel suo insieme – aggiunge Massobrio – Se i tavoli, per esempio, sono troppo vicini, allora ho una brutta sensazione. Se il servizio è sciatto, mi chiedo come sarà la cucina?”. Un'altra mania? Guardare cosa succede agli altri tavoli. “Accade spesso che i ristoratori mi riconoscano. A quel punto è naturale dare un'occhiata a quello che succede negli altri tavoli. Devo vedere il servizio è uguale per tutti, o se ci sono preferenze, se la professionalità è solo di circostanza”.
Infine, bisogna pagare sempre il conto. “E' l'unico modo per poter scrivere liberamente, dire che un cialtrone è un cialtrone, se lo si vuole”.Cosa lo manda in bestia
Gli ingredienti dell'omologazione, buoni per tutti i piatti e tutte le stagioni: gamberetti, rucola, prezzemolo. Se non ci sono riferimenti al territorio, capita pure che il mite Paolo si alzi e se ne vada dal ristorante.“Non sopporto le trovate inutili, il cibo servito sui cucchiaini o le bruschette dissociate. Ma anche la tradizione quando si basa su regole stupide”.
Per conquistarlo“A me piace trovare i prodotti del territorio bene interpretati. Un brodo fatto con le bucce di patate di Colfiorito, un hamburger di bettelmat sono cose che mi emozionano. Cose semplici e di qualità, non importa se reinterpretate o frutto della tradizione. I piatti, in ogni caso, devono fare questo: creare emozioni. Tramite l'equilibrio o gli accostamenti”.
Come criticaIl suo spettro di critica è molto ampio: se un ristorante non gli piace, ne scrive peste e corna. Nelle sue guide, invece, entra solo il meglio: “Non avrebbe senso fare altro, la guida ha una funzione di servizio”.
Occhio a…Il papillon. Non lo scorda mai a casa e non lo sostituisce mai con la cravatta. E' anche il simbolo della sua rivista e del suo club. Un vezzo innoquo, o una civetteria per rendersi riconoscibile?
Davide PAOLINIChi è
Scrive su “Il Sole 24 Ore” e “Style”, dirige la guida de Il Sole 24 Ore e tiene una rubrica quotidiana su Radio 24. La versione lunga è il sabato mattina.Amici & Nemici
“Stimo piú di tutti Gianni Mura (critico del Venerdì di Repubblica, ndr)”.La fissazione
“Amo la materia prima piú che il cucinato, perciò mi piace quando il prodotto viene rispettato. In questo caso mi piacciono anche le invenzioni”. E' uno straordinario inventore di neologismi e linguaggi gastronomici: da buonpaese a gastronauta, sta rinnovando il lessico di una materia molto tradizionale come la gastronomia.Cosa lo manda in bestia
“Quando uno chef si autodefinisce creativo, allora già lì capisco che probabilmente sarà solo un cuoco pasticcione”.Come critica
Molto attento alle materie prime, se sono di qualità l'esame-Paolini è quasi passato.Sa essere molto severo, ma in qualche caso viene chiamato anche a fare il pompiere per Il Sole 24 Ore: vedere caso Gold a Milano, quando De Bortoli lo ha mandato a recuperare, dopo la critica dura di Camilla Baresani al ristorante di Dolce & Gabbana.
“Scrivo solo dei ristoranti che ritengo positivi. E non metto mai voti o valutazioni classificatorie: ne parlo e basta”.Per conquistarlo
“Intanto io non sono un critico, ma un gastronauta, ovvero viaggio alla scoperta di sapori autentici. Se un ristorante non mi piace, non ne parlo.E soprattutto non do voti. Ripeto, l'utilizzo intelligente dei prodotti buoni può dar vita a una cucina che mi piace molto”.
Occhio a…Paolini, come del resto molti suoi colleghi, non frequenta quasi mai le manifestazioni gastronomiche non organizzate da lui o dal suo entourage. Visita però 200 ristoranti all'anno, e ha un team di collaboratori molto efficiente. Perciò è possibile che al ristorante venga in un giorno normale, quando non ci sono eventi o degustazioni.
Andrea PETRINIChi è
Giornalista storico del Gambero Rosso e animatore con Luc Dubanchet della splendida avventura di “Omnivore”, collabora con Paolo Marchi per il congresso di “Identità golose” e per la relativa guida, di cui è in allestimento la prima edizione. Curatore di libri “carbonari” stampati a Singapore, vive e lavora a Parigi. Nel suo passato la militanza giornalistica in favore del teatro d'avanguardia (ha scritto il suo primo pezzo sui Magazzini Criminali per una rivista francese).Amici & Nemici
Se la spassa con Luc Dubanchet e i ribelli del gastro-scrivere; invece non ama i critici ancien régime e l'establishment della gastronomia. Ormai storico il suo litigio con Garcia Santos: pietra dello scandalo il sostegno al genio basco Andoni Luis Aduriz, assente dal congresso “Lo Mejor de la Gastronomia” per protesta. “Per questo sono stato escluso anch'io”, si è lamentato dalle colonne di un giornale.La fissazione: broccati, ghirigori, velluti, sciarpe di seta, il vestiario dannunziano del dandy de' noartri non passa inosservato e lascia presagire le ricercatezze del vernacolo. Lo immaginiamo a suo agio in uno scenario di piena decadenza gastronomica, in qualche palace parigino.
Cosa lo manda in bestiaNon essere notato, per i vestiti o per la penna. Nella piattezza culturale del circuito basta poco per tenersi a galla, e lui lo sa. Ancora piú importante la sua libertà letteraria: guai ad abbassare il tenore e il target, anche se il lettore non capisce e si lamenta qualche direttore. Insegnamenti libertari perfettamente recepiti dal suo pargolo pestifero, bricoleur scatenato nei ristoranti al seguito del padre. William, di circa 10 anni, consuma piatti d'avanguardia con nonchalance.
Come criticaI suoi articoli sono inconfondibili. Una rara competenza intrecciata a puro sperimentalismo letterario (i maligni dicono che “non sa scrivere”, i fan che “è un genio”, altri ancora che “ha la sindrome del genio incompreso”; ai posteri l'ardua sentenza). Piú limpido lo stile in francese che in italiano, ormai pressoché una seconda lingua; in generale l'estro di penna tende a prendere il sopravvento sul cuoco, il ristorante e la cucina. “Ogni critica genuina è pura autobiografia”, scrisse prima di lui il campione dei dandy di ogni tempo, Oscar Wilde.
Per conquistarloDargli modo di mettersi in mostra. La cucina d'avanguardia mette le ali alla sua penna e gli detta le pagine migliori. Il suo idolo è la creatività, nel piatto e sulla carta.
Occhio a…Non afferrare al volo le sue citazioni sinestetiche tra musica e cucina, paragoni azzeccatissimi riservati ai super-intenditori di jazz et similia. Il suo gruppo musicale preferito sono gli XTC.
Edoardo RASPELLIChi è
Edoardo Raspelli è il decano dei critici italiani di cucina. Ha iniziato a fare il giornalista al “Corriere della Sera” nel 1973, ed è stato il primo critico gastronomico importante d'Italia, dopo una carriera spesa a fare giri di nera per le questure milanesi.“E sono anche l'unico che dà giudizi anche sugli alberghi” ci tiene a ricordare.
Ora scrive su “La Stampa”, oltre che su una lunga serie di testate di settore, ed è l'anima di “Mela Verde” su Rete 4.Amici & Nemici
L'amico dichiarato è il critico de Il Giornale, Paolo Marchi. Feeling forte invece con Massobrio. Il suo modello è stato Pier Maria Paoletti, inviato de “Il Giorno”, che spesso visitava ristoranti e ne parlava nei suoi articoli. Un critico della forchetta ante litteram.La fissazione
“Prima di tutto io sono un cronista di gastronomia, cioè uno che applica la tecnica giornalistica a un particolare settore della cultura. Perciò, piú che alle informazioni tecniche dei cuochi o dei produttori, sono interessato ai risultati”.Un punto di partenza. Ma poi c'è tutto un rituale, una pratica collaudata per arrivare a una critica il piú possibile efficace.
“Come regola di partenza, arrivo nei ristoranti quando non mi aspettano. Prenoto, sì, ma con un nome falso. Mi presento sempre, e – dico sempre – quando il servizio è già iniziato. E se mi riconoscono, e tanto prima o poi succede, sto molto piú attento a quello che succede negli altri tavoli rispetto al mio”.“Un'altra fissazione è quella di andare a osservare le condizioni del bagno, prima ma soprattutto dopo il servizio. Se queste sono inaccettabili, c'è da chiedersi come sarà la cucina”.
“Infine il conto. Lo pago sempre, anche se il ristoratore insiste per offrirlo. La mia risposta è semplice: perché fare risparmiare il giornale? Piuttosto offrimi il pranzo quando vengo a mangiare con la mia famiglia, quelle due volte l'anno”.Cosa lo manda in bestia
“Mi dà fastidio il menu non scritto, così come la carta dei vini raccontata solo a voce. Ma anche quella in ordine alfabetico, e non divisa per regioni o tipologie di vino”.“Non sopporto le pietanze presentate con l'articolo davanti, i diminutivi, il cibo presentato sui cucchiaini, il cazzeggio, gli assaggini: le mascelle ce le hanno fatte mica a caso, la masticazione è forse la parte piú bella dell'alimentazione”. “Mi danno fastidio, infine, gli chef che copiano e trovare la Gioconda su una parete del ristorante. A volte il cattivo gusto non ha limiti”.
Per conquistarlo“Mi colpiscono i profumi di cucina buona, non appena entro in un locale. Il pane appena fatto, il soffritto, una sensazione che sa di cucina di casa”.
“In realtà, per conquistarmi, basta poco. Al ristorante mangio tutto, apro un bianco o un rosso. Se le cose sono fatte come si deve, la critica sarà senz'altro buona. In Italia si mangia male raramente, ma l'infortunio può capitare. E comunque distinguo sempre fra ristoranti stellati o simili e trattorie”. Come critica
“Io sono entrato al “Corriere d'informazione” nel '71, da giovanissimo. Lì ho imparato a fare il giornalista, e ho imparato che mi interessano le storie. Sono in cerca delle atmosfere, di quanto basilico c'è in un piatto non me ne frega niente. Piuttosto racconto come è la strada per arrivare al ristorante, il silenzio fuori dalla locanda di montagna, l'incazzatura del proprietario con le guide”.Occhio a…
Raspelli, e non è una novità, sa essere piuttosto perfido quando un pasto non è di suo gusto. Ma anche le cattiverie hanno il loro lato positivo. Anche una critica negativa di Raspelli è una medaglia da appuntarsi al petto. Perché comunque comporterà una pletora di curiosi ben contenti di assaggiare quello che Raspelli ha definito immangiabile.
Enzo VIZZARIChi è
Scrive sull'Espresso. E dirige anche la prestigiosa guida dell'Espresso da 7 anni, anche se ha lavorato alle ultime 23 edizioni.Amici & Nemici
“Chi fa il critico dovrebbe fare solo il critico. Non organizzare festival e fare l'impresario”.La premessa è già significativa. Vizzari ha la massima stima di Paolo Scotto, Antonio Paolini, Andrea Grignaffini e Marco Trabucco. Poi ci sono, fra gli amici, Luigi Cremona, Marco Bolasco, Paolo Marchi, Stefano Bonilli, Fiammetta Fadda e Raffaella Prandi. “Davide Paolini è molto esperto, ma è uno che fa troppi mestieri. Camillo Langone non è un critico, ma mi diverte molto”.
Veniamo alle note dolenti: “Trovo insoppotabile Camilla Baresani, incompetente quanto spocchiosa. Non stimo per niente Massobrio, lo trovo un ridicolo esibizionista, che passa la vita a farsi fotografare accanto a presunti potenti. Capisce poco della materia, in compenso si agita molto e vive amicizie professionali-politico-confessionali-clientelari. Non nomino nemmeno i suoi portaborse perché sono patetiche macchiette. Per lui, il modello è Pecorelli piú che Veronelli. Raspelli è bravissimo, ma professionalmente è rimasto troppo provinciale ed è molto narcisista”.La fissazione
“Ne ho qualcuna, ma cerco di metterle da parte, per non pregiudicare l'obiettività del mio lavoro critico. Sarebbe grave se i miei gusti personali, o quelli dei miei collaboratori, influissero sul giudizio”.Cosa lo manda in bestia
“E' chiaro che, quando arrivo in un ristorante, ordine e pulizia saltano subito all'occhio. Così come l'odore: se è sgradevole non posso non notarlo. Ma è comunque possibile che la cucina sia eccellente al di là delle macchie sul muro o dell'igiene dei camerieri. La pasta scotta o il pesce che puzza sono dati oggettivi, non dipendono dall'interpretazione del critico. Ma sono patologie, non sfumature. La cosa che permette di capire se una cosa è fatta davvero male o bene è solo l'esperienza. Un piatto può avere difetti veniali, una spigola può avere subìto una cottura troppo lunga di tre minuti ma non per questo il mio giudizio è negativo. Perché magari capisco che dietro c'è un lavoro fatto come si deve e materie prime all'altezza”. Come critica
“Nella guida che curo, il voto riguarda esclusivamente la qualità della cucina. Poi c'è una scheda 'parlata' che racconta l'ambiente, la cantina, il servizio, se è un posto per coppie di fidanzati o per compagnie di mangioni e beoni. Il mio obiettivo è quello di fare un servizio per il lettore, non di fare classifiche dei ristoranti che interessano solo agli addetti ai lavori. In questo modo, chi ha la nostra guida può scegliere in base ai gusti e soprattutto ai prezzi, quando esce a cena”.“Io visito 180-190 locali ogni anno, in Italia ma anche all'estero. Come direttore, cerco di far sì che la coerenza complessiva della guida sia ai massimi livelli. E cerco l'apertura e la laicità rispetto a tutte le cucine che incontro. Tradizionale, creativa, etnica sono solo chiavi di interpretazione che servono al lettore per orientarsi”.
Per conquistarlo“Se dovessi portarmi tre piatti su un'isola deserta, sceglierei tajarin con tartufo, fois gras e una parmigiana di melanzane. Il primo è un piatto del cuore, arriva dal mio passato, perché sono piemontese. Il fois gras è invece internazionale, mentre la parmigiana è tipicamente mediterranea”. Pietanze che rappresentano i tre vettori delle cucine che Vizzari preferisce, anche se professa l'apertura mentale massima verso tutte le opzioni. “Una fetta di prosciutto Patanegra Joselito di 4 anni mi manda in estasi, anche se non è un prodotto di cucina”.
Occhio a… Vizzari è allergico ai crostacei, ma solo quelli surgelati. Attenzione perciò…
Una cucina per giornalisti e non per il pubblicoPer prima cosa cerchiamo di spiegare chi sono. “Critico: sempre eminente. Si ritiene che conosca tutto, sappia tutto, abbia letto e visto ogni cosa. Quando non vi piace, chiamarlo Aristarco, oppure Eunuco”, è la definizione di Gustave Flaubert nel Dizionario dei luoghi comuni. Rincara Oscar Wilde nei suoi aforismi: “Il primo dovere di un critico d'arte è di tenere la bocca chiusa, in ogni momento e su qualsiasi argomento”. In campo enogastronomico il curriculum segue andamenti abbastanza regolari: generalmente parte da un parente in redazione e passa attraverso una congrua incubazione nel giornalismo sportivo, apprendistato indispensabile per sollevar pesi di papille e correr maratone di mandibole, senza dimenticare la ginnastica facciale a tu per tu col bicchiere di vino. Promoveatur ut amoveatur è spesso l'occulta regola del cambio. Ma ci sono anche i trapiantati dai mondi piú impensati, ingegneri e critici teatrali, produttori di utensili e pubblicitari, e persino qualche cuoco mancato.
Da cosa riconoscerli allora? L'apparenza può ingannare. Il critico enogastronomico è magrissimo o grassissimo, raramente nelle fasce intermedie. I primi, capitanati dal campione dei pesi piuma Rafael Garcia Santos, contano nelle loro schiere il dandy Andrea Petrini, l'ingegnere Luigi Cremona (e nel suo piccolissimo la sottoscritta). Amano il cibo intellettualmente rarefatto e giudicano le porzioni tipo nouvelle cuisine mortalmente esagerate, perché i piaceri complessi sono l'ultimo rifugio degli uomini semplici, come avrebbe detto Oscar Wilde. I secondi annoverano pesi massimi di cui preferiamo non far nomi: di loro si raccontano le gesta, come i pantagruelici mangiatori di cento cappelletti incensati dall Artusi. Sono gli idolatri del gusto e della cucina di sostanza, contro la cosmesi e i lambiccamenti concettuali, perché i piaceri semplici sono l'ultimo rifugio degli uomini complessi (come ha effettivamente scritto Oscar Wilde). Le donne sono un po' piú defilate, spesso direttrici di giornali (Elsa Mazzolini, Anna Morelli, Fiammetta Fadda…), raramente tengono in mano il registro per dar voti nel giudizio universale. Ma tutti si lasciano smascherare con la penna in pugno, nel proliferare di “note iodate”, “sensazioni mediterranee”, “bilanciamenti acidulé” e “collosità al palato”…Ogni critico enogastronomico ha le sue idiosincrasie personali. Capuleti e Montecchi divisi da barricate chiamate terroir o cucina molecolare, in assenza di nomi e cognomi ben determinati. Che sia piú bravo Uliassi o Cedroni, Dacosta oppure Andoni, c'è sempre un Carneade da scovare. Perché la scoperta di una stella è il sogno di ogni critico che si rispetti: il complesso di Pigmalione.
Fra i meriti della critica gastronomica (se ce ne sono), avere fondato una branca della cucina, la cucina per giornalisti, che, badate bene, non ha niente a che vedere coi vegetariani o coi celiaci. Generalmente è propensa alla neofilia e alla moda, perché il valore di scambio è il valore di cambio, l'innovazione un tanto al chilo riempie le colonne (e le saccocce) dei giornali e svuota i calamai dei pennivendoli.Il critico ideale per finire. Secondo il discussissimo Andoni Luis Aduriz, colui che si chiede a che potrebbe mai servire, fra pungoli creativi, velleità letterarie, “piccoli vantaggi” e parassitismo professionale. Ma il dilettantismo forse ha le ore contate, nel proliferare di lauree e master in materia gastro-alimentare. Davide Scabin ha in mente un'arma ancora piú letale: il temibile misura-critico. “Sono stufo di essere giudicato da qualcuno che magari non percepisce in modo corretto il sale. Per questo occorre un test per valutare la necessaria predisposizione palatale. Siete voi che stabilite cosa si mangerà nel futuro: anzi, facciamo un gioco. La prossima volta sono io che ti intervisto e poi vediamo”.
di Samuele Amadori
e Alessandra Meldolesi