26/08/2010
Tra gli “enti inutili” finiti sotto la scure dell’ultima manovra del Governo ci sono anche alcuni centri di ricerca del settore agroalimentare e agroindustriale. Tra questi spicca il nome della Stazione Sperimentale per l'Industria delle Conserve Alimentari (SSICA, sede centrale a Parma). I suoi attuali operatori passeranno armi e bagagli alle dipendenze della Camera di Commercio. Quali sono, o meglio, quali erano, i compiti di questo Istituto? “Promuovere il progresso tecnico e scientifico dell’industria conserviera italiana per i settori frutta, ortaggi, carni e pesce. Attraverso attività di ricerca, consulenza, formazione e divulgazione l’Istituto fornisce risposte ai problemi generali e specifici dell’industria conserviera”, come si può leggere (forse ancora per poco) sul sito internet dell’ente. Secondo la valutazione di chi ha deciso il taglio, evidentemente queste sono solo belle parole, bei propositi non corroborati da fatti concreti. Siccome non abbiamo alcun “partito preso”, proviamo a sposare, come punto di partenza per il nostro ragionamento, questo severo giudizio: la SSICA fino ad oggi ha lavorato poco e male. Cioè: lo strumento si è rivelato inadeguato alle proprie finalità. Bene, ciò detto, quali sono i passaggi successivi? Se si ammette che la ricerca scientifica in questo settore è importantissima, il buon senso vorrebbe che i centri di ricerca malfunzionanti venissero riformati, riorganizzati, magari sburocratizzati, snelliti, accorpati, resi più efficienti. L’obiettivo dovrebbe essere rendere sempre più qualificato, specializzato e sofisticato il lavoro dei ricercatori. Ci è difficile capire come la semplice cancellazione possa risolvere il problema. In effetti, seppure con qualche prevedibile difficoltà, un processo di ristrutturazione era già stato avviato da questo stesso Governo. Nell’aprile scorso è stato infatti approvato uno schema di decreto legislativo sul riordino delle Stazioni Sperimentali per l’Industria. Il provvedimento si trova attualmente all’esame della Commissione Parlamentare (l’approvazione era prevista entro luglio). Ma con la manovra cambia tutto, e il lavoro già fatto rischia di andare perduto. Si sostiene che le funzioni dell’ex-SSICA sono state assegnate alla Camera di Commercio per far sì che la ricerca sia più concretamente al servizio delle Aziende. L’intenzione sembra buona, ma la realtà è che le grandi industrie possiedono già propri avanzatissimi laboratori, il cui scopo è ovviamente il miglioramento dei prodotti aziendali, mentre lo Stato dovrebbe garantire una ricerca più neutra, che non va intesa nel senso di ‘astratta’: gli sviluppi della fisica e della biologia hanno dimostrato che la ricerca ‘pura’, ad altissimo livello, è solo apparentemente priva di utilità e di sbocchi concreti. Se il passaggio sotto l’egida della Camera di Commercio significasse la trasformazione di ciò che rimarrà della SSICA in un semplice servizio di assistenza e consulenza, deprivato del valore qualitativo che solo la ricerca d’eccellenza possiede, sarebbe una sconfitta e un impoverimento per tutti. Tanto più che le urgenze che l’oggi popone al settore vanno in direzione opposta: nell’agroindustria sempre più l’innovazione tecnologica e l’innalzamento degli standard qualitativi sono elementi decisivi per cavalcare l’onda del mercato globale. Per noi italiani è questione di vita o di morte, visto che questo è uno dei pochissimi comparti in cui riusciamo ancora a primeggiare. Appare sempre più chiaro che il nostro Made in Italy sopravviverà solo a condizione di trovare nuovi mercati di massa e, vista la crisi del mondo occidentale, si spera nell’ampliamento dei consumi nei Paesi emergenti, soprattutto nel continente asiatico. Si auspica che da lì arrivino per i nostri prodotti compratori sempre più curiosi, generosi, e (soprattutto) numerosi. Si sente dire, per esempio, che in Cina i ‘nuovi ricchi’ tra poco non saranno diecimila o centomila, ma decine di milioni: cosa proporremo a questo immenso bacino di potenziali acquirenti? Andremo ad offrire il “Carciofo rosa di Poggiogiulebbe” (nome inventato, per non offendere nessuno), una rarissima varietà in via di estinzione prodotta in cento-esemplari-cento da qualche eroico agricoltore? Ben altre sono le vie da seguire. Riformare e aiutare la nostra agroindustria per renderla più competitiva, ecco la priorità. Migliorare l’organizzazione, tagliare via lacci e lacciuoli (in primis l’influenza della criminalità organizzata), e parallelamente innalzare ancora la qualità media, perché i nostri prodotti sono buoni ma anche altri Paesi riescono a fare cose egregie, e alla fine c’è il rischio che ci sorpassino, perché sono molto più dinamici e spregiudicati di noi. Come si innalza la qualità? Oggi non c’è che una via, quella della ricerca ad altissimo livello. Sì, lo so: la ricerca è la cenerentola di tutte le finanziarie italiche. Ma se decidessimo di concentrare i nostri sforzi e i nostri pur scarsi investimenti, proprio nella ricerca sull’agroalimentare e l’agroindustriale? Non sarebbe, per il nostro futuro, la scelta più saggia e oculata?