Quali sono le fiere utili e quali no?
Esserci o non esserci? Questo è il problema. E che problema, visto che dalla presenza alle fiere di settore a volte dipende la sopravvivenza di molte cantine grandi e piccole. Ma dove andare? Quali sono le scelte che promettono maggiore soddisfazione? Fammi indovino, dicevano un tempo, e ti farò ricco. Nel senso che a tutt’oggi nessuno è in grado di avere garanzie a tutela di investimenti spesso anche consistenti, soprattutto per le aziende medio-piccole, quelle per le quali 10mila euro di esborso alla voce “promozione” possono fare la differenza.
Madre di tutte le fiere è ovviamente Vinitaly, la kermesse enologica che si tiene nell’aprile di ogni anno a Verona: numeri mostruosi, inarrivabili per qualsiasi altra manifestazione consimile, stanno a certificare che è lì che probabilmente si deve andare se si vuole continuare a rimanere nel giro giusto, è lì che converge la quasi totalità di agenti – soprattutto stranieri – e grossisti, è lì che si devono presentare le novità più eclatanti. «Dal punto di vista dell’operatore estero – ha dichiarato Elena Amadini, brand manager di Verona Fiere e responsabile dell’organizzazione della manifestazione – Vinitaly rappresenta l’opportunità di fare in cinque giorni il giro dell’Italia enologica. Il che rende ancora attuale e soprattutto efficace dal punto di vista commerciale la formula della manifestazione». Non a caso degli oltre 150mila visitatori che da tre anni ormai costituiscono la cifra distintiva della fiera, un terzo è rappresentato da grossisti e agenti in genere, mentre quasi il 50% è costituito da professionisti della ristorazione: un patrimonio che le cantine non possono permettersi il lusso di ignorare, qualsiasi sia il costo da affrontare.
Vinitaly
sempre più caro e dispersivo
O quasi: «Indubbiamente il Vinitaly è una buona vetrina – ha puntualizzato Tom Dean, patron di La Raia, cantina emergente nel settore biologico in quel di Novi Ligure – ogni anno però sempre più costosa. Inutile far finta di niente: i clienti diminuiscono anziché aumentare, ragion per cui stiamo pensando se non sia meglio organizzarsi per andare noi a trovare loro, concentrandoci magari su manifestazioni meno dispersive e più utili ad affermare il nostro prodotto. È chiaro che, giunte a questo punto, le aziende piccole come la nostra – per le quali investire 5mila euro per il Vinitaly può essere davvero impegnativo – dovrebbero pensare a soluzioni alternative per promuovere la loro immagine. Anche se al momento idee davvero efficaci non se ne vedono».
Butta acqua sul fuoco della polemica Elena Amadini, che sulla pesante incidenza dei costi di Vinitaly non ci sta: «Gli aumenti delle tariffe di Vinitaly di questi ultimi anni – ha precisato al riguardo – sono in linea se non addirittura inferiori all’indice Istat. Credo poi che le opportunità commerciali, di comunicazione, di visibilità, nonché i servizi che Vinitaly offre ai propri clienti siano tali da giustificare i costi sostenuti dalle aziende. Questo gli espositori lo sanno, tanto che anche per l’edizione 2010 le richieste di partecipazione sono superiori rispetto a quelle che possiamo soddisfare. Inoltre, a smentire quanto sostenuto da molti, sono sempre più le aziende medio-piccole che puntano ad uscire dagli stand collettivi e ad acquisire uno spazio autonomo».
È chiaro dunque che da Vinitaly non si può prescindere, anche se non sono pochi coloro che lo frequentano obtorto collo: «Certo, noi preferiamo altre manifestazioni, sicuramente più adeguate al prodotto che realizziamo, come Vino, vino, vino o il Merano Wine Festival – ha ammesso Emanuele Marcelli, dell’azienda marchigiana Clara Marcelli – ma non si può mancare al Vinitaly: lì girano tutti i più importanti addetti del settore, lì riusciamo ad avere un ritorno soddisfacente». Sulla stessa lunghezza d’onda Ornella Tondini, grande produttrice di Brunello nella sua azienda agricola Cupano, a Montalcino: «Il Vinitaly è costosissimo, ma inevitabile: lì ci sono tutti, ma proprio tutti, e se vuoi incontrare degli agenti in grado di apprezzare il tuo vino, non puoi farne a meno. Non a caso è lì che riusciamo a raccogliere il maggior numero di ordini. Tuttavia sono altre le manifestazioni che preferiamo: Benvenuto Brunello innanzitutto, ma anche Merano Wine Festival, dove le atmosfere sono più raccolte e gli incontri meno convulsi».
A Merano pochi ma buoni
Una visione un po’ romantica della professione del vignaiolo, quello che preferirebbe occuparsi di fare il vino e basta senza doversi trasformare in imprenditore e imbonitore di se stesso. Ma il mercato oggi non lo permette. Anche se qualche soddisfazione ce la si può ancora prendere, come ha ricordato Helmut Köcher, organizzatore del “Merano Wine Festival” e vulcanico promotore di una nuova filosofia della promozione enologica: «Tutto è nato da una passione, quella per il buon vino. Così abbiamo creato il festival di Merano: per radunare nello stesso luogo produttori, operatori e consumatori in grado di parlare una lingua comune, quella della qualità». Nessuna concessione allo spettacolo o all’ingordigia, al punto che si è pensato di aumentare il costo del biglietto di ingresso in modo da selezionare ulteriormente il pubblico, che dalle 7500 presenze di tre anni fa si è ormai assestato sulle 4500, con buona pace di tutti: dei produttori, che possono presentare i loro prodotti di punta con tutta calma; degli operatori, che possono lavorare senza pressione; degli appassionati, che possono avere col produttore un proficuo scambio di opinioni. Per non parlare del fatto che a Merano ci si arriva solo su invito, una volta che un’apposita commissione, assaggiati tutti i campioni spediti, si esprime su quelli di maggiore qualità. «Non è una fiera, ma un evento di nicchia per un pubblico di nicchia». E tutti dimostrano di apprezzare.
Fiere più piccole, a misura di imprenditore
Anche se sono ancora pochi i produttori ad essersi convinti che non è puntando ad avvicinare quanti più buyer possibile che si fa la fortuna della propria azienda. Come sostiene Claudio Montesion, presidente dell’Associazione Wine Community, dove si deve puntare con forza è «sulla fidelizzazione dei consumatori e degli appassionati. Non basta uscire dal vigneto una volta all’anno, bisogna invece che il produttore diventi imprenditore e sappia comunicare». In modo tale che l’appassionato possa conoscere la filosofia che sta alla base della realizzazione di un determinato prodotto, circostanza quanto meno improbabile all’interno di manifestazioni caotiche e dispersive come sono le grandi fiere.
Una sintesi, a dire il vero, ha provato a farla il Wine show, naturale evoluzione, come si dice al Lingotto, del Salone del Vino di Torino che ha chiuso i battenti nel 2007: «Offriamo un’opportunità unica alle piccole cantine – aveva dichiarato trionfante Andrea Varnier, direttore dell’azienda fieristica piemontese, al momento dell’inaugurazione – che possono partecipare con un investimento contenuto, e puntiamo al tempo stesso sul consumatore finale, sul grande pubblico». Solo il tempo potrà dire se la scommessa sarà stata vinta: nel frattempo i numeri parlano di riscontri più che accettabili, con 150 espositori e migliaia di appassionati invogliati a partecipare da un costo del biglietto poco più che simbolico. Perché a Torino la gente hanno pensato di avvicinarla agli stand dei produttori e non, al contrario, di tenerla alla larga.
Il tempo delle vacche grasse
è finito, ma le fiere non lo sanno
Vinitaly, dal canto suo, è diventato con gli anni ben più di una fiera, tanto che ha attirato su di sé gli strali di molti opinion maker assai influenti nel settore, come Franco Maria Ricci, presidente dell’Ais di Roma, che non molto tempo fa lo ha definito un “palcoscenico per star system, un posto per farsi una bella bevuta in compagnia”, in riferimento ai tanti eccessi registrati in molti stand e prontamente portati alla ribalta dai media nazionali. Posizione ovviamente avversata da Elena Amadini, brand manager di Verona Fiere: «Vinitaly non ha mai puntato ad una spettacolarizzazione del settore né ha mai sostenuto questa filosofia. Noi non invitiamo né star né starlette. Certo, col tempo è diventato un momento “cult” per moltissimi target e questo si riflette anche nei giorni della manifestazione, ma questo perché il vino è sempre più un prodotto amato ed apprezzato da un pubblico sempre più ampio. Ricordo che noi investiamo molto anche nei contenuti, come testimoniano le numerose indagini sul mercato del vino che presentiamo ad ogni edizione». Ciò non toglie che stelle di prima ma anche seconda o terza grandezza del mondo dello spettacolo e dello sport si aggirino con un calice in mano tra gli stand bofonchiando una banalità dopo l’altra a chiunque si avvicini a loro con un taccuino o un microfono in mano. Chiamate il più delle volte dalle grandi aziende, quelle che hanno bisogno di riflettori in grado di dare vigore e risalto ad una produzione che sviluppa la sua forza di penetrazione nel mercato non tanto o non solo sulla qualità ma soprattutto sulla quantità. E che per questo necessita di strumenti lontani anni luce dall’intimità filosofica e un po’ elitaria delle cosiddette manifestazioni di nicchia. Eppure vino e spettacolo vengono spesso associati, anche quando non si riesce ad intuirne il senso profondo. Anzi, è proprio su questo ossimorico binomio che ha puntato gran parte degli eventi enologici nati di recente sulla scorta di esperienze ben più significative di manifestazioni assai più titolate. E che in Italia, ma non solo, si sia assistito ad un proliferare incontrollato di iniziative intorno al vino e al suo mondo lo ammettono persino gli addetti ai lavori più presenzialisti, quelli che fra sembrare ed essere spesso non hanno esitazione alcuna. Ma fino a quando sarà possibile organizzare iniziative su iniziative senza che qualcuno ammetta, alla fine, di avere fatto flop? Non c’è evento che non celebri la sua straordinaria forza d’urto mediatica: i siti internet e i lanci di agenzia magnificano le due/tre/quattro giorni dedicate a questo o a quel settore enologico, mettendo in evidenza numeri (quantità è qualità?) e comparsate di vip. Gli espositori, che magari avrebbero preferito tornare a casa con qualche bottiglia in meno, si devono accontentare dell’autografo della starlette di turno. E qualche ordine striminzito, di rado sufficiente a ripagarsi dell’esperienza. A ciascuno il suo, dunque. Nella speranza, comunque, che alla fine ne sia valsa la pena. Perché un dato su tutti rimane innegabile e incontrovertibile: il giro di affari ha rallentato considerevolmente, ma i costi, quelli sono rimasti inalterati, quando non sono addirittura aumentati. Compresi quelli legati alla promozione nelle manifestazioni di settore. Che, a loro volta, di crisi non vogliono nemmeno sentire parlare. Nonostante dietro le quinte più di un organizzatore sommessamente confermi che il tempo delle vacche grasse è finito, il listino della nuova stagione sembra clamorosamente ignorarlo. L’importante, ormai, è assicurarsi la star più brillante: del firmamento dello spettacolo, ovviamente. Il vino? Poi se ne può parlare.