Pantelleria è a caccia di eroi, gente che sappia caricarsi sulle spalle i destini dell'enologia isolana e sia in grado di rimotivare un'intera generazione di imprenditori, più interessati, ora come ora, alle paillettes della movida turistica dell'estate che alla salvaguardia di un patrimonio straordinario che anno dopo anno si va inesorabilmente depauperando.
Erano 200mila i quintali di uva prodotti negli anni Ottanta, sono 25mila oggi, complici disinteresse e peronospora: per ogni anziano che scompare, c'è un pezzo di vigneto che muore. A salvare la patria ci sta però provando un coraggioso manipolo di viticoltori, riunitisi nel Consorzio volontario per la tutela e la valorizzazione dei vini a doc dell'isola: convinti che Passito e Moscato soprattutto meritino un'attenzione ben maggiore, si sono attivati per scuotere le coscienze innanzitutto e per elaborare un progetto di rilancio che garantisca al vino pantesco un futuro ben più radioso di quello a cui lo stanno condannando politiche sociali ed economiche dissennate. Bando ai piagnistei, però.
Giuseppe Lo Re, presidente del Consorzio, lo puntualizza a chiare lettere: “Se è vero che la viticoltura pantesca sta vivendo il momento probabilmente peggiore della sua storia – ha dichiarato – altrettanto vero è che i margini per un nuovo rinascimento ci sono tutti: purché, ovviamente, ognuno si mostri disponibile a fare la sua parte, pubblico e privati indistintamente. L'alternativa, lo sanno tutti, è la morte del Passito di Pantelleria, la scomparsa di una tradizione per il mantenimento della quale invece noi siamo disposti a lottare con tutte le nostre forze”.
Tutto sta nel verificare se questo eroico fuoco sacro brucia anche nel petto dei tanti giovani che, anziché sgobbare come muli su e giù per i terrazzamenti dell'isola e curare i vigneti ereditati dai padri, preferiscono indirizzarsi verso attività meno impegnative e più remunerative. Quelle, per intendersi, legate al turismo, che negli ultimi anni è letteralmente esploso, con tutte le conseguenze del caso. Il pericolo di cui però molti non si sono accorti è che la scomparsa del vigneto rischia di modificare irreparabilmente l'intero sistema Pantelleria: il territorio isolano, con i suoi inconfondibili terrazzamenti, è assolutamente tipicizzato dal vigneto, che incide sulla superficie totale per il 48%; la sua scomparsa rischierebbe dunque di creare ferite devastanti, “come quelle del vaiolo – ha precisato Lo Re con un'efficace metafora – sul volto di una bella donna”, mutando per sempre un paesaggio unico al mondo e conosciuto ovunque proprio per quelle peculiarità. Inoltre non si può ignorare quanto l'economia vitivinicola incida sul benessere generale dei panteschi, visto che la commercializzazione delle tre tipologie di doc (Passito, Moscato e Pantelleria) porta nell'isola fra i 4 e i 5 milioni di euro ogni anno, corrispondenti, secondo calcoli dal valore puramente statistico, a 560 euro a persona.
Ecco spiegate le ragioni per cui c'è ancora chi non vuole rassegnarsi, chi si sta impegnando perché una tradizione secolare come quella della coltura della vite non venga estirpata per sempre dal dna delle nuove generazioni di panteschi. Il sistema c'è, le proposte sono state messe nero su bianco e rese ufficiali al recente Vinitaly. In primis interrompere il calo di produzione stabilizzandolo ai livelli del 2006 per poi puntare ad una produzione standard che si aggiri intorno ai 50-60mila quintali di uve; quindi ridare slancio a chi ancora oggi insiste a curare le vigne, magari proponendo agevolazioni per l'acquisto di nuovi macchinari o per l'ammodernamento delle cantine; infine incentivare nuovi reimpianti nei vigneti abbandonati, stimolando i giovani e, in ultima battuta, favorendo gli investimenti delle cantine già presenti sull'isola. Non dovrebbero inoltre mancare sperimentazione, studi, ricerche, formazione mirata, così come si dovrebbero stimolare nuove forme di comunicazione, dal corso di formazione-degustazione riservato ai villeggianti al tour di degustazione, fino ad un ipotetico Passito Fest in cui celebrare adeguatamente le specificità di un vino unico al mondo. Lo Re è convinto che basti poco: “In verità – ha detto – non si tratta di nulla di eclatante: le risorse ci sono già, basta solo convincersi della necessità di questo tipo di interventi, coinvolgere i soggetti interessati e dare il via all'operazione. Non siamo ancora panda: certo, se continuiamo su questa strada presto lo diventeremo”. Qualcuno si sta già muovendo, in realtà, anche se a piccoli, piccolissimi passi: non sono pochi i produttori che stanno infatti tentando di proporre e commercializzare un vecchio, nuovo prodotto “targato” Pantelleria, un bianco secco ottenuto dalla vinificazione delle stesse uve che danno vita al Passito, mentre alcuni stanno ipotizzando di arricchire il panorama enologico con innovativi rossi o ancora più innovativi spumanti.
Che ci sia bisogno di fare qualcosa di più lo ammettono anche i piccoli produttori, quelli che non hanno ritenuto opportuno avvicinarsi alle posizioni del Consorzio ma che risentono, pur nella limitatezza delle loro risorse, dello stato di abbandono della viticoltura pantesca. Di fronte al pericolo della scomparsa è stata da tempo sotterrata anche l'ascia di guerra da parte di chi sosteneva la necessità di puntare esclusivamente sul prodotto puro contro chi, invece, nel nome della grande distribuzione e dei grandi numeri, si era dato anima e corpo ai passiti liquorosi: due facce della stessa medaglia, entrambe ammesse dai disciplinari, ma poco compatibili in un contesto ristretto come quello isolano. Oggi però nemmeno il liquoroso è più un problema: tornerà magari ad esserlo quando le cose funzioneranno bene come un tempo, quando sarà possibile perdersi in sofisticate elucubrazioni sulla natura stessa dell'enologia pantesca, quando le dispute sulla purezza potranno sostituirsi alle grida di allarme che invece si levano oggi con grande preoccupazione.
Sono una quindicina al massimo i vignaioli che hanno legato il loro destino a quello dell'uva coltivata sui loro terrazzamenti: gran parte di loro è convinta che la salvaguardia del brand “Pantelleria” passi per la strada della valorizzazione del passito naturale, cavallo di battaglia di quasi tutte le piccole e grandi cantine che lavorano laggiù. Non si può nemmeno dare torto a quanti, nel pieno rispetto delle regole, hanno invece adottato strategie differenti, puntando nello specifico sul passito liquoroso, un prodotto magari meno “in” ma più spendibile in termini commerciali.
E non spaventa nemmeno l'ipotesi di un inevitabile aumento della concorrenza, nel caso le proposte del Consorzio dovessero trovare orecchie attente: come ha sintetizzato Giacomo D'Ancona, titolare di Solidea, la cantina che vanta, tra gli altri, un Passito in purezza pluripremiato: “Se qualcun altro decide di dedicarsi al recupero delle vigne sull'isola non può che essere considerato il benvenuto. Ognuno di noi ha ormai creato una sua rete commerciale più o meno consolidata e non sarà certo l'inserimento di nuovi produttori e nuove cantine a metterci in crisi. La crisi ci sarà, al contrario, se non si farà nulla per resistere al progressivo depauperamento dei vigneti. Magari l'isola tornasse ad essere coltivata come una volta. Magari sui terrazzamenti oggi abbandonati tornassero a fare la loro comparsa quegli splendidi giardini all'araba con gli agrumi protetti dai circoli delle pietre di risulta delle terrazze”. Pare di capire, dunque, che la proposta dei grandi produttori è stata bene accolta anche dai piccoli: “Sono convinto – ha aggiunto D'Ancona – che ognuno deve metterci del suo: d'altronde bisogna riconoscere che se non ci fossero state le grandi realtà produttive, i nostri vigneti sarebbero oggi in gran parte abbandonati. Se si è ripreso a lavorare il terreno, lo dobbiamo proprio a loro”.
Nessun contrasto, insomma: grandi e piccoli insieme per salvare il frutto del loro lavoro e l'immagine di Pantelleria. Certo, qualche piccolo problema ancora rimane irrisolto, come l'imbarazzante presenza, nella lista dei prodotti di grandi cantine che sull'isola non hanno nemmeno una pianta, di Passiti e Moscati locali. Ma una volta assicurata lunga vita allo zibibbo pantesco, si potrà procedere ad un repulisti probabilmente troppo a lungo rimandato.
LE DOC DI PANTELLERIA
Le doc previste dal disciplinare che regola la produzione dei vini di qualità panteschi sono tre: il Moscato di Pantelleria, il Passito di Pantelleria e il Pantelleria, tutti vini ottenuti da uve del vitigno Zibibbo. L'ultima categoria prevede diverse tipologie, Moscato liquoroso, Moscato spumante, Moscato dorato, Passito liquoroso, Zibibbo dolce e Bianco, anche Frizzante. Il Moscato e il Passito devono provenire da uve sottoposte in tutto o in parte, sulla pianta o dopo la raccolta, ad appassimento al sole, mentre per quanto riguarda i tipi Moscato liquoroso e Passito liquoroso, anch'essi devono essere ottenuti da uve sottoposte in tutto o in parte, sulla pianta o dopo la raccolta, a conveniente appassimento mediante uno o più procedimenti, con la differenza che, per l'ottenimento di tali vini, deve essere escluso qualsiasi arricchimento tranne l'aggiunta obbligatoria di alcol di origine viticola da effettuarsi durante o dopo la fermentazione e per il Passito liquoroso l'eventuale aggiunta di uva passa con una concentrazione massima in zuccheri del 60%.
SCHIERATI ANCHE I PALADINI
Della salvaguardia della vitivinicoltura pantesca si sono interessati anche i “Paladini dei vini di Sicilia”, associazione volontaria di tutela e di promozione presieduta dal vulcanico avvocato Diego Maggio, peraltro anche vice del dott. Lo Re alla presidenza del Consorzio di tutela dei vini di Pantelleria. I Paladini, come recita lo statuto, “condividono tutti un orientamento alla più elevata cultura del vino di Sicilia e sono accomunati dalla passione generazionale e dal rispetto della tradizione per i vini siciliani, sicuramente tra i più importanti del mondo”, “messaggeri e testimoni di un modo di vivere all'altezza della Sicilia migliore, dei suoi prodotti più genuini, dei valori profondi della sua cultura”. Non potevano dunque ignorare il grido di dolore proveniente dall'isola che sta perdendo il suo patrimonio enologico.
Come ammette lo stesso Maggio, “una politica dissennata non ha custodito né preservato una ricchezza inestimabile che le nuove generazioni hanno preferito ignorare: qui si costruiscono dammusi da tutte le parti ma non si trovano le risorse per ridare vita ad impianti ormai abbandonati. Serve dunque una immediata inversione di tendenza, servono investimenti freschi. Niente assistenzialismo, ben s'intende: dobbiamo tenere presente che a far sopravvivere Pantelleria sono stai quei pochi imprenditori che hanno investito sull'isola. Quello è l'obiettivo.
E poco conta che ci sia ancora qualcuno che fomenta la vecchia polemica sui vini liquorosi, contrapponendovi i passiti puri. Va ricordato che i liquorosi rappresentano ormai l'87,5% dell'intera produzione pantesca ed è stato grazie alla loro commercializzazione che a Pantelleria la viticoltura non è scomparsa per sempre. È da lì che dobbiamo ripartire. Tutti insieme, ovviamente”.