Quasi turista curioso tra i segreti delle migliori Maisons di Jarnac
All’aeroporto di Lione mi ricordo subito che viviamo in tempi difficili. Attention à la grippe poucine avverte un cartellone sistemato sulla porta degli arrivi internazionali, mentre sfilo assieme agli altri passeggeri del mio volo sotto gli occhi attenti di una squadra di paracadutisti armati fino ai denti.
Ma già a Bordeaux l’atmosfera cambia radicalmente e comincio a riconoscere lo spirito sonnacchioso della provincia francese viaggiando verso la regione di Poitou. Dopo quasi un’ora di autostrada tra paesi e campi di girasoli il panorama cambia quasi d’improvviso e la vigna diventa protagonista della scena. Sto entrando nel dipartimento della Charente, tra le colline del Périgord e l’Atlantico: la terra del cognac.
Sono ospite della Maison Hine a Jarnac: una cittadina di neanche 5000 abitanti sulle sponde della Charente conosciuta per le sue aziende di distillazione e per aver dato i natali a François Mitterand, l’ex presidente della Repubblica francese.
Le aziende di cognac sono quasi tutte ricche di un grande passato, ma quella di Hine ha una storia particolare che vale la pena di raccontare perché si snoda negli ultimi due secoli su entrambe le sponde del canale della Manica.
Il fondatore dell’azienda fu l’inglese Thomas Hine il quale pensò bene di lasciare la sua contea del Dorset per cercar fortuna, come si diceva ai suoi tempi, in Francia. Scelse la regione di Cognac probabilmente perché la sua famiglia era già attiva in patria nel contrabbando dei distillati e fece bene. Però sbagliò i tempi, e in questo, fece decisamente male.
Infatti il nostro arrivò nel 1891, in piena rivoluzione, e i francesi non si lasciarono scappare l’occasione di accusare di spionaggio uno dei pochi e incauti inglesi su cui riuscirono a mettere le mani. Fu così che Thomas trascorse in carcere il periodo che gli storici indicano come momento di passaggio tra l’età moderna e quella contemporanea. Poi, tagliata la testa al re, la nuova repubblica lo lasciò nuovamente libero di sposarsi con madame Françoise Elisabeth, figlia di un distillatore di cognac a Jarnac. I discendenti di Thomas e gli anni che sono trascorsi hanno fatto tutto il resto ed hanno contribuito a fare di questo marchio un simbolo di eccellenza del mondo.
La sede della Maison Hine si affaccia proprio sul fiume che ha rappresentato per secoli la principale via di trasporto del cognac: di qui fino a Rochefort e di lì per tutto il mondo.
La mia sistemazione è faraonica e allo stesso tempo confidenziale. Due piani del palazzo sono destinati a foresteria per gli ospiti: sopra le camere e sotto un interminabile salotto di poltrone e bottiglie di annate e miscele diverse. C’è da perdersi nel conflitto tra la voglia di assaggiare di tutto e i limiti imposti dall’educazione.
Eric Forget è il cellar master che si prende cura di me.
E’ un vero maitre de chai: qualcosa di più di un responsabile di cantina e di diverso da un tecnico aziendale. Ha negli occhi la consapevolezza del suo ruolo e nelle sue parole la spiegazione a molte delle mie domande. E’ lui che mi accompagna tra le vigne dei domaines de la maison e che mi spiega le peculiarità dell’Ugni Blanc.
La terra del Cognac
La zona di produzione si trova ad Ovest della Francia, a nord di Bordeaux. Ha una superficie di circa 80.000 ettari ed è favorita da un clima particolarmente adatto alla coltivazione della vite. Proprio qui avviene l'incontro del clima atlantico con quello interno continentale. All'intero terroir di produzione è riservato l'appellativo AOC (Appellation d'Origine Contrôlée). La zona è disciplinata dal 1909 dalla Carta dei Cru che divide in sei zone ufficiali tutta la produzione in base al tenore calcareo dei terreni e ai diversi microclimi.
Grande Champagne – Produce cognac molto raffinati e leggeri, con un aroma dominante di fiori, e che richiede un lungo invecchiamento per raggiungere la piena maturità.
Petite Champagne – Grazie all'influsso del clima oceanico, i cognac prodotti in questa zona sono caratterizzati da un'eccellente finezza, esattamente come quelli della Grande Champagne.
Borderies – Situata a nord della città di Cognac, grazie al suo particolare microclima produce acqueviti dolci e rotonde che maturano generalmente più in fretta rispetto a quelle della Champagne.
Fins Bois – Produce cognac rotondi e corposi, con aromi dominanti di frutta e che invecchiano rapidamente.
Bons Bois – In questa zona, che circonda interamente quella dei Fins Bois, si producono cognac piuttosto ruvidi e aggressivi e che generalmente invecchiano in tempi brevi.
Bois Ordinaire – Situata lungo la costa dell'oceano Atlantico, produce acqueviti con un pronunciato gusto terroso e più, appunto, ordinarie.
Il vino e i vigneti
Nonostante si parli spesso di vitigni quali il Colombard o la Folle Blanche, la zona di produzione del cognac è praticamente una monocoltura di viti di Trebbiano. Qui il Trebbiano, chiamato localmente anche Saint-Emilion, è talmente omologato da essere definito Ugni Blanc. E’ coltivato in maniera intensiva in lunghissimi filari dalle foglie fitte e dal frutto generoso. Spesso potato alla sommità come fosse una siepe, il vigneto del cognac dimostra al primo incontro di essere piuttosto vecchio, anche se qua e là si distinguono impianti nuovi e piante più giovani. La missione di questi filari di Trebbiano “Modello Uni” è quella di produrre dai 100 ai 120 quintali di uva per un vino leggero e con una buona componente acida per ettaro: niente di più e niente di meno. La gradazione dell’Ugni Blanc arriva raramente agli 11 gradi alcolici e, per l’uso cui è destinato, vanno bene anche nove gradi e mezzo. Anche i lieviti che alcuni agricoltori impiegano durante la lavorazione del prodotto poco ha a che fare con la qualità del vino stesso: serve unicamente ad agevolare la trasformazione di ogni parte di zucchero in alcol.
La distillazione del vino
Già a questo punto del ciclo produttivo del cognac la faccenda si complica e le evidenze scompaiono a fronte dei vari segreti delle diverse maisons. Di sicuro i vini vengono conferiti alle distillerie durante l’intero inverno mano a mano che sono pronti, come sicuramente ogni operatore della regione ha grande cura di distillare separatamente i vari cru in modo da conservarne integre le diverse caratteristiche e peculiarità. Argomenti come il corpo, l’equilibrio e l’eleganza vengono rimandati ad una fase successiva e determinante.
Quindi tra settembre e marzo dell’anno successivo, un periodo che si ripete immutato da secoli, gli alambicchi cominciano il loro lavoro di estrazione che si svolge in due tempi: il primo viene descritto da tutti come estremamente semplice, il secondo richiede grande esperienza e determina la bontà dell’acquavite. Andiamo con ordine a partiamo dall’alambicco.
Rifacendosi scrupolosamente ai vecchi alambicchi charentais, tutti gli estrattori della regione sono realizzati scrupolosamente in rame: un materiale resistente al lavoro chimico-fisico e dotato di un’alta conducibilità termica, che ha la caratteristica di inibire le funzioni degli acidi grassi e difendere perciò il distillato dalle contaminazioni che determinano le varie puzzette o i gusti sgradevoli che si possono ritrovare in una distillazione svolta male. Le caldaie hanno la forma a cipolla caratteristica della regione e di ogni estrattore per acquavite. Sopra la caldaia c’è il capitello che ha la funzione di concentrare i vapori alcolici che passano poi, attraverso il collo di cigno, fino alla serpentina. Qui i vapori si condensano e si raffreddano, scendendo poi nel contenitore sotto forma di distillato.
La prima delle due distillazioni (chauffes) si effettua immettendo il vino direttamente nella caldaia e riscaldandolo poi ad una temperatura moderata per un massimo di dieci ore, finché dalla serpentina non esce un liquido opaco, poco invogliante, di basso tenore alcolico e assolutamente ingrato ai sensi che chiamano brouillis.
E’ questo ad essere impiegato nella seconda distillazione, la bonne chauffe. In una dozzina di ore, anni di apprendimento e secoli di tradizione, il broullis si trasforma nel vero distillato che è alla base del cognac: più di 70 gradi alcolici che, via la testa e via la coda, contiene soltanto il cuore di tutta la regione.
In Italia siamo abituati a goderci il cognac nella maniera per noi canonica: calice ampio, magari scaldato, atmosfera intima, ambiente complice e compiacente. Nessuno di noi si sognerebbe di berlo sotto il sole d’agosto o per spezzare la giornata assieme a un tramezzino. Alla Maison Hine, la prima cosa che hanno fatto appena mi hanno visto, è stata di riempirmi un grosso tumbler con quattro cubetti di ghiaccio, tre dita di cognac, acqua tonica fino all’orlo e gocce di Angostura a profusione. Se fossi arrivato d’inverno, probabilmente, il discorso sarebbe stato diverso. Ma con questo caldo…
Approfitto dell’argomento per raccontarvi tre cocktails che ho incontrato durante la serata.
Un nome vero e proprio non ce l’hanno, o almeno tutte le persone a cui l’ho chiesto non lo sapevano, barman compresi.
Le misure sono espresse in decimi. Tutti sono serviti in bicchieri tumbler più o meno grandi.
Il primo: una scorza di limone, quattro fettine di zenzero fresco, una fettina sottile di buccia di cetriolo, quattro parti di cognac VSOP, sei parti di limonata “artigianale” (nel senso di appena spremuta dall’agrume) e poco ghiaccio. Buono, l’ho anche fotografato.
Il secondo: due parti di Grand Marnier, una di cognac tres etoils, due parti di gin non identificato, tre di succo d’arancio e una di succo di limone. Lo so, il totale fa nove, ma la composizione è questa. Non ho capito cosa mi sono messo in bocca.
L’ultimo è semplicissimo: quattro parti di liquore di pompelmo al cognac e sei di acqua tonica su un iceberg che occupa metà del bicchiere. Quasi un’offesa per chi, nella vita, si è speso tanto.
Tutti in Paradiso:
la Signora Giovanna e il Mezzo Giovanni
Quando il responsabile di cantina decide che un determinato cognac ha raggiunto la sua piena maturità e che quindi non può più migliorare, il prezioso distillato abbandona il legno, viene sistemato nel vetro delle damigiane ed entra in Paradiso. Il Paradiso è la parte più segreta e custodita di ogni maison. Se chiedi dov’è ti senti rispondere, come mi hanno detto da Courvoisier: “Le paradis n’est pas loin de nous” e niente più. Basti pensare che anche per entrare nelle cantine di invecchiamento di Hine, di cui posso intravedere l’entrata soltanto attraverso una porta di spesso cristallo accuratamente chiusa, occorre l’autorizzazione del Ministero delle Finanze e del B.N.I.C. (Bureau National Interprofessionnel du Cognac). In questi contenitori il cognac aspetta il momento del suo imbottigliamento finale, ma vale la pena spendere due parole sull’origine della parola damigiana. Qualcuno ritiene che la Signora Giovanna sia stata un’antica produttrice di cognac e che, per prima, abbia adottato questo contenitore. Però di lei si è persa ogni traccia e questa versione localista non è assolutamente documentata.
Più accreditata è l’ipotesi che fa risalire l’origine della parola alla regina di Napoli Giovanna d’Angiò. Pare che dopo la sua cacciata da Napoli avvenuta nel 1347, la signora finì per rifugiarsi nella sua contea in Provenza percorrendo la via che congiunge Grasse a Draguignan. Sorpresa da una violenta tempesta, trovò asilo in un piccolo castello ubicato nella frazione di Saint Paul la Galline Grasse ed appartenente ad un gentiluomo che svolgeva la professione di vetraio. Dopo aver passato la notte al castello la regina volle vederlo all'opera.
Quando la regina irruppe nel suo laboratorio il gentiluomo era con alcuni assistenti e stava realizzando una bottiglia col metodo della soffiatura. Distratto dall'entrata della regina, il vetraio soffiò con troppo vigore realizzando un'enorme bottiglia della capienza di una decina di litri che venne subito apprezzata dagli astanti per la sua forma. L’enorme bottiglia piacque molto anche alla regina che incoraggiò il vetraio a produrne altri esemplari e questi decise, in onore della sovrana spodestata, di darle il suo nome. Ma siccome la signora d’Angiò pare fosse un tipo modesto, preferì al nome Reine Jeanne (regina Giovanna) quello più abbordabile di Dame Jeanne (dama Giovanna).
Nella città di Cognac c’è anche una graziosa imbarcazione che si chiama Dame Jeanne: naviga sulla Charente col suo carico di turisti.
E il Mezzo Giovanni? Nei secoli passati erano molto elevati gli scambi commerciali tra Francia e Inghilterra attraverso il canale della Manica. La damigiana si rivelò idonea per trasportare piccole quantità di liquidi e distillati, e quindi entrò anche nel lessico anglosassone. Ma in Inghilterra, non si sa bene perché, cominciarono a chiamarla demijhon: mezzo Giovanni.
E’ una tradizione unica, strettamente legata alle origine di questa azienda e assai interessante da verificare con un paio di bicchieri della stessa annata di millesimo sotto il naso. L’uso risale al XIX secolo quando, ancora con l’Inghilterra nel cuore, qui da Jarnac vollero provare ad invecchiare al di là della Manica, in quel di Bristol, parte dei loro cognac millesimati. A Jarnac le cantine sono al livello del suolo, l’aria è secca e le temperature variano dai sei gradi d’inverno ai 22 gradi estivi: queste condizioni accentuano la concentrazione e la potenza del corpo del cognac. A Bristol invece lo stesso distillato riposa nelle profondità del calcare e rimane ad una temperatura pressoché invariata che oscilla in tutto l’anno tra gli 8 e i 12 gradi centigradi: ideale per sviluppare finezza e bouquet floreale fedele alle origini di un cognac ben distillato.
Queste, almeno, sono le valutazioni ufficiali che inducono a tutt’oggi l’azienda ad attuare il Metodo Early Landed per una parte della sua produzione.
Sta di fatto che alle prese con due campioni del millesimo 1982 sotto il naso, di cui uno non si era mosso e l’altro si era invece fatto tutto il viaggio avanti e indietro, mi è sembrato quasi di mancare di rispetto a questa storica tradizione di famiglia quando ho avvertito nel bicchiere del cognac che non aveva viaggiato una ricchezza, una completezza e una felicità che l’altro non aveva. In bocca le differenze si sono accentuate e poi il palato asciutto e soddisfatto mi ha dato solo conferme della mia prima opinione.
Sulle etichette di cognac millesimato di Hine il Metodo Early Landed è evidenziato da un timbro circolare di colore rosso stampato in basso, a sinistra del marchio aziendale.
Ma soprattutto mi guida nell’assaggio dei campioni delle annate che usa per miscelare i blended.
Hine è l’unica azienda che produce cognac millesimati, ma Eric minimizza. “Fare i millesimati è relativamente facile – mi dice – perché se l’annata è buona si fanno, altrimenti si usa il distillato come base per qualcosa di più complesso”. E qui viene il bello del suo lavoro: miscelare più annate, più terroir, diverse gradazioni di intensità, più sapori e profumi in un blended che ogni volta riesca ad essere sia unico che raro.
Quello che mi mostra è senz’altro moltissimo, ma non posso fare a meno di immaginare tutto quello che mi nasconde. Tanto per cominciare la sala dove ci troviamo è chiaramente approntata per una visita tecnica, ma il suo vero ufficio, il luogo dove veramente decide come e cosa assemblare dove sarà? Così come la cantina di invecchiamento: me ne mostra l’entrata ma mi spiega che per aprire quella porta è necessaria l’autorizzazione del Ministero delle Finanze. Non so se è colpa del mio francese, ma quello che capisco è che lui non ha nemmeno la chiave per entrarci. Per non parlare del Paradiso, dove vengono custoditi i distillati alla fine del loro invecchiamento pronti per l’imbottigliamento, e decisamente fuori di portata utile per il visitatore.
E’ pieno di segreti il cognac.
Il programma della giornata è intenso, ma la sera arriva in un baleno e si parte in battello per il Cognac Blues Passion che si svolge nel parco dell’Ile Madame. La città di Jarnac è talmente coinvolta dal cognac da dedicargli anche un suo festival del blues piuttosto conosciuto dagli appassionati del genere: questa sera c’è un complesso che non conosco, ma giovedì arriva addirittura BB King!
Un acquazzone che ha le caratteristiche di una vera tempesta atlantica interrompe la serata ma non ce la rovina. Il tempo di rientrare in camera, cambiarsi e ridiscendere di un piano e la compagnia, arricchita di protagonisti, si ritrova nel salotto dei desideri. Si parla di distillazione e tutti ne sanno più di me. Racconto del Trebbiano coltivato in Emilia Romagna e dell’antica vocazione di Bologna per la liquoreria e l’acquavite.
Quando mi chiedono che cosa ce ne facciamo adesso di tutto quel Trebbiano, rispondo che viene impiegato per produrre il vino in tetrapak più famoso e commercializzato del mondo. Loro ammiccano e non commentano. La sveglia del cellulare mi rianima di buon mattino. Mi limito a un caffè per colazione e sono subito in strada: questa cittadina mi incuriosisce troppo perché possa concedermi di perder tempo. Due passi lungo la Charente e mi infilo sull’altra sponda nel palazzo, quasi un castello, di Courvoisier.
Mi presento e madame Rivière, responsable du circuit de visites, mi affida alle cure di mademoiselle Severine che, nell’ordine: mi infila subito tra i cimeli napoleonici, mi fa il giochino delle tre botti (diversi periodi di invecchiamento: utile per i profani ma comunque sempre gradevole), mi rispiega le peculiarità della Grande e Petite Champagne, mi mostra i carotaggi dei diversi terreni per dimostrarmi le diverse concentrazioni di calcare e infine una piramide di botti da fare invidia all’antico Egitto.
Ma ogni volta che provo a saperne un po’ di più e che chiedo informazioni più dettagliate, lei mi riporta agli aspetti più eclatanti e romantici di questo mondo in cui si parla sottovoce di distillazione e di legni che arrivano dalle foreste del Limousin. E’ molto riservata, Severine, nasconde il meglio dietro una cartella destinata alla stampa. E’ pieno di segreti il cognac.
Invece di rientrare da Hine per pranzo, mi faccio preparare un sandwich in un simpatico localino in Place du Château e poi, sotto un sole devastante, chiedo disinvoltamente un cognac. Il barista non fa una piega ma capisce che sono un turista atipico: mi fa alcune proposte e alla fine ci accordiamo per un VSOP locale.
Me lo serve in un classico baloon che potrebbe andare bene anche per qualche birra importante, ma in maniera impeccabile. Faccio un altro tentativo in un bar poco distante e, direttamente al bancone, rinnovo la mia richiesta.
Il legno e le botti
Chiunque tra noi abbia mai distillato almeno una volta il vino sa che il prodotto che si ottiene non è grappa, non è liquore né tanto meno cognac: è soltanto un distillato alcolico privo di ogni grazia e piacevolezza. Bene, nella nostra storia siamo ora arrivati al momento determinate. Un momento che può durare poco più di tre anni oppure quasi sessanta: l’invecchiamento.
Potremmo chiamarlo anche affinamento così come siamo soliti fare per il vino, soltanto che qui la questione raggiunge livelli di specializzazione e qualità professionali di carattere più unico che raro. Per comprendere fino in fondo l’esclusività della materia basta pensare che ci sono oggi maestri di cantina (maitre de chai) che classificano, valutano e mescolano campioni di cognac invecchiati e selezionati da loro colleghi scomparsi ormai da tempo e che lasciano a loro volta il compito di fare altrettanto a chi li seguirà negli anni a venire.
Per invecchiamenti di questo tipo la qualità del legno è fondamentale. Le piccole aziende, le botti, le acquistano. Quelle più grandi e importanti se le fanno fare appositamente oppure, addirittura, acquistano il legno e se lo stagionano in casa per ricavarne poi le botti quando il legno è pronto. Generalmente le botti da invecchiamento hanno la capacità di 350 litri e sono realizzate con legno di rovere proveniente dalle foreste del Limousin o di Tronçais. Il distillato deve ricevere dal legno colore e aroma: tutto il suo carattere, insomma. Inoltre la porosità del legno consente un continuo rapporto con l’ambiente esterno, anch’esso molto importante ai fini del risultato finale, determinando tra l’altro l’evaporazione continua di una parte consistente del distillato che racchiude. La quantità di cognac che sale nel cielo della regione di Cognac, qui la chiamano la Part del Anges, la parte degli angeli, e merita un discorso a parte.
La Part des Anges
Argomento scabroso, peculiare e divertente. Scabroso perché, in tempi salutisti e talebani come quelli che stiamo vivendo in Italia (ma anche in Francia con la Legge Evian), soltanto il pensiero di quel che vi racconto può risultare un insulto alla legalità. Peculiare perché è un fenomeno che si manifesta unicamente in questa piccola area di Francia. Divertente perché quando te ne rendi conto quasi non riesci a crederci nonostante tu ci stia sguazzando in mezzo.
Eravamo rimasti all’evaporazione di una parte del distillato dalle botti di invecchiamento. Ebbene questa Part des Anges che sale in cielo e permea di sé l’intera zona è tutt’altro che risibile. Se per semplificare il ragionamento invece che di botti parliamo di bottiglie, possiamo stimare la produzione totale di cognac in 120 milioni di pezzi ogni anno: di questi, ben due milioni svolazzano costantemente smarriti per sempre nell’aria e tra la gente. Ovviamente in concentrazione maggiore sulle città, dove si trovano i magazzini. Quintali e quintali di alcol puro da respirare e metabolizzare felicemente e legalmente, più di dieci litri per ettaro in campagna, tre o quattro volte di più sulle case di città: unico al mondo.
Ma gli angeli, volando, sbattono le ali. E del loro passaggio rimane l’evidenza di quanto dalle loro ali ricade sul territorio: le champignon du cognac, che proprio di questo alcol si nutre. E’ un fungo microscopico che si chiama Torula Compniacensis e che tinge di scuro, addirittura di nero i magazzini e le abitazioni vicine, le case di Cognac, di Jarnac, di Segonzac e degli altri centri abitati della piccola regione girondina.
Le champignon è dovunque: sui muri, sui tetti, sui moli della Charente. Quando piove i rivoli d’acqua sono scuri e macchiano i pantaloni. Ma qui ci sono abituati: è sempre stato così.
La classificazione di un cognac è determinata soprattutto dal suo invecchiamento. Il tempo che il distillato ha passato in vetro è ininfluente per la qualità dell’acquavite: conta solamente quello trascorso nelle botti di legno. L'età del cognac più giovane utilizzato nell'assemblaggio determina la denominazione d'invecchiamento.
Quando l'acquavite più giovane usata per l'assemblaggio ha un’età non superiore ai quattro anni e mezzo, il cognac è definito come VS (Very Superior) o Trois Etoiles (tre stelle).
Se l'acquavite più giovane ha un’età compresa fra i quattro anni e mezzo e i sei anni e mezzo, il cognac è definito come VSOP (Very Superior Old Pale), VO (Very Old) oppure Réserve. Nel caso che l'acquavite più giovane abbia un’età maggiore di sei anni e mezzo, il cognac può essere definito come Vieille Reserve (Vecchia Riserva), Grande Réserve (Gran Riserva), Royal, Vieux (Vecchio), XO (Extra Old), o anche Napoléon. In questa categoria si trovano unicamente cognac di qualità eccezionale.
I termini Hors d'Age e Paradis possono essere utilizzati nel caso in cui l'acquavite più giovane abbia un’età maggiore di sei anni e mezzo, tuttavia sono spesso utilizzati per cognac che hanno oltre 50 anni di età.
Nel caso in cui almeno il 50% delle acquaviti destinate all'assemblaggio provengano dalle zone della Grande o Petite Champagne, il cognac che ne deriva può vantare la denominazione di Fine Champagne.
Cognac millesimati e blended
Il cognac millesimato è composto unicamente da distillato dell’anno indicato in etichetta. Ci sono marche e maisons che producono tutte le annate e altre che, invece, decidono di imbottigliare soltanto gli anni più promettenti e destinare i distillati di minor pregio ad assemblaggi particolari. Quando si parla di assemblaggi, però, il discorso diventa talmente complicato che risulta praticamente impossibile comunicarne una pur pallida idea. Anche se è ovviamente impostato sulle disponibilità e le scorte di ogni singola azienda, il meccanismo dell’assemblaggio è esclusività ed arte dei responsabili di cantina e di assaggiatori dal palato antico. Come si ricerca un sapore, un profumo, una sensazione? Come lo si compone? Roba da alchimisti, da profumieri, da iniziati. Gesti misurati gelosamente nascosti al profano, formule scritte a penna su fogliettini legati al collo delle boccette dei campioni. Nessuno da queste parti ha la minima intenzione di raccontarti davvero cosa fa e come lo fa. Più ti spiegano le cose e più ti confondono le idee: probabilmente lo fanno apposta.
In Italia siamo abituati a goderci il cognac nella maniera per noi canonica: calice ampio, magari scaldato, atmosfera intima, ambiente complice e compiacente. Nessuno di noi si sognerebbe di berlo sotto il sole d’agosto o per spezzare la giornata assieme a un tramezzino. Alla Maison Hine, la prima cosa che hanno fatto appena mi hanno visto, è stata di riempirmi un grosso tumbler con quattro cubetti di ghiaccio, tre dita di cognac, acqua tonica fino all’orlo e gocce di Angostura a profusione. Se fossi arrivato d’inverno, probabilmente, il discorso sarebbe stato diverso. Ma con questo caldo…
Approfitto dell’argomento per raccontarvi tre cocktails che ho incontrato durante la serata.
Un nome vero e proprio non ce l’hanno, o almeno tutte le persone a cui l’ho chiesto non lo sapevano, barman compresi.
Le misure sono espresse in decimi. Tutti sono serviti in bicchieri tumbler più o meno grandi.
Il primo: una scorza di limone, quattro fettine di zenzero fresco, una fettina sottile di buccia di cetriolo, quattro parti di cognac VSOP, sei parti di limonata “artigianale” (nel senso di appena spremuta dall’agrume) e poco ghiaccio. Buono, l’ho anche fotografato.
Il secondo: due parti di Grand Marnier, una di cognac tres etoils, due parti di gin non identificato, tre di succo d’arancio e una di succo di limone. Lo so, il totale fa nove, ma la composizione è questa. Non ho capito cosa mi sono messo in bocca.
L’ultimo è semplicissimo: quattro parti di liquore di pompelmo al cognac e sei di acqua tonica su un iceberg che occupa metà del bicchiere. Quasi un’offesa per chi, nella vita, si è speso tanto.
Mi danno un cognac trois etoiles in un tumbler, accompagnato da ghiaccio e qualche appetizer da happy hour nostrana: come fosse un aperitivo.
Smaltisco le bevute in una lunga passeggiata prima in centro e poi lungo il fiume finché non si avvicina l’ora della mia ripartenza per Bordeaux. Rifatto il bagaglio, alla Maison Hine è il momento dei saluti e degli arrivederci di rito. Ma, mentre passo attraverso il salotto dei desideri, una bottiglia appena cominciata di Grande Champagne XO Premier Cru mi prende di mira e non mi lascia andare. Quasi vergognoso allungo le mani su uno dei bicchieri messi in fila a bella posta e me ne verso due dita. Poi, mentre me lo gusto soddisfatto, tiro fuori un biglietto da visita, lo sbarro con un tratto di penna e sul retro scrivo: “Scusate, ma non ho saputo resistere a un ultimo sorso, Andrea”.