di Elsa Mazzolini e Gianfranco Bolognesi
Ogni cliente deve avere ben chiara in testa una scala di tipologie ristorative.
Per saper scegliere. Senza fregature.
I clienti? Che imparino a cavarsela da soli, senza dare la colpa alle guide, all’euro, ai ristoratori disonesti…
Lo sostiene Gianfranco Bolognesi, patron della Frasca di Castrocaro Terme da trent’anni sulla scena gastronomica italiana e da sempre attendibile maitre a penser, anticipatore e acuto osservatore di tutte le mode, le tendenze, le crisi, le certezze del settore.
Oggi il mercato soffre una evidente sindrome da saturazione dell’offerta, malgrado siano 18 milioni gli italiani che mangiano abitualmente fuori casa e 56 i miliardi di euro spesi per i servizi di ristorazione in generale. Sembra una gran cifra, se non fosse che va drasticamente ridimensionata perché buona parte di questa gente mangia in mensa, un’altra buona parte nei bar, autogrill, o servendosi di distributori automatici di piatti pronti.
Chi va al ristorante non è certo la massa e questo, parzialmente, spiega perché molti ristoranti sono vuoti.
Ma se sono vuoti, è anche perché i clienti lamentano sempre di più conti sproporzionati.
Attenzione:”sproporzionati” non significa alti in assoluto, significa non giustificabili con il tipo di offerta.
Perché la gente la differenza la capisce. E sa benissimo quando è il caso di riconoscere che ha pagato una cifra elevata in un ristorante di pregio e quando invece, quella cifra, gli è stata estorta in un ristorante da poco. E’ lì che scatta la molla dell’insoddisfazione e, fatalmente, del rigetto.
“Meglio, visto che scemo non sono, che mi compro una buona bottiglia e del prosciutto giusto e sto a casa” sostiene ormai una fetta di pubblico, infastidita dalla corsa all’approfittamento di cui si sente vittima.
Ma questa soluzione non è l’unica possibile.
“Il consumatore di oggi è più attento, consapevole e informato. – dice Gianfranco Bolognesi – Ormai è perfettamente in grado di sapere a quale grado della ipotetica piramide che noi forniamo, si colloca il locale che ha scelto. E di conseguenza è in grado di capire quali aspettative può ragionevolmente prefissarsi, in termini di cucina e di conto da pagare”.
7% Ristoranti GASTRONOMICI
La Gastronomia è l’arte di deliziare il palato e lo spirito a tavola. Essa comprende pertanto sia la preparazione dei cibi, sia il loro abbinamento con i vini, sia la capacità di comporre un pranzo completo, equilibrato nelle sue componenti ed armonico nella successione delle portate. La gastronomia è arte perché richiede personalità, estro, fantasia, creatività, buongusto. E’ però anche scienza per lo studio, per la ricerca, per la precisione, per la cultura in senso lato che presuppone. Da un punto di vista puramente “statistico”, secondo le migliori Guide, non sono molti in Italia i ristoranti gastronomici. Si tratta in genere di locali prestigiosi, già affermati e con una struttura solida e collaudata, che rappresentano un punto di arrivo nell’arte della gastronomia. Ristoranti che sono sempre di classe (non necessariamente di lusso), perché ogni ristoratore moderno ha capito che la gastronomia deve andare a braccetto con il buongusto, con il servizio e il decoro. Costituiscono il 7% della piramide e la forbice dei costi va dagli 80 ai 180 euro di media, vini esclusi.
12% Ristoranti PROFESSIONALI
Sono ristoranti, trattorie, wine bar dove si sta bene e il tutto, ambiente, servizio, cucina e vini sono all’insegna della professionalità, conoscenza e rispetto del cliente. I parametri di riferimento con i ristoranti gastronomici, in termini di prestigio, ambiente, investimenti continuamente effettuati sia sul piano economico che della ricerca e dello sviluppo professionale, pongono questi esercizi in una fascia oggi abbastanza ampia e da noi calcolata intorno al 12% del totale. In questi locali il cliente trova entusiasmo, simpatia, calore, disponibilità e tutti gli elementi che contribuiscono a creare benessere anche se non necessariamente una gastronomia di valore assoluto.
15% Ristoranti FURBI
Talvolta vi si mangia bene, soprattutto quando chi è ben noto al proprietario o allo chef può ordinare determinate specialità, godere di particolari attenzioni ed usufruire di un trattamento privilegiato e diverso da quello riservato agli altri comuni mortali. Locali furbi, frequentati da gente dello spettacolo, vip modaioli: cucina “pour epater le bourgeos”. Qui i patron, bravissimi, sono dotati di grandi capacità comunicazionali, sanno perfettamente relazionarsi con il cliente e portarlo dalla propria parte. Sono positivamente FURBI, insomma: non si voglia interpretare questa aggettivazione in senso dispregiativo. Questi patron sono dei professionisti: hanno saputo interpretare una formula ristorativa e di approccio con il cliente favorevole ad entrambi. Sono bravi.
Di solito lavorano tanto, sono ormai uomini espertissimi nelle pubbliche relazioni, sono brillanti, sanno intrattenere, sanno interpretare e assecondare capricci, vanità, voglia di esibizionismo del proprio pubblico.
I loro sono, di solito, i locali dove la cosa essenziale è apparire, farsi vedere, esibire la/il compagno, oppure la scelta costosa, a livello di piatti o bottiglie dai costi stratosferici.
E sono locali che non finiscono con le mode, perché sono camaleontici e le mode, se non sono loro a crearle, sono di sicuro loro ad annusarle nell’aria e a proporle ai loro fedelissimi.
Il tipo di locale FURBO di solito ha un parcheggio pieno di belle auto e dentro c’è gente che veste prevalentemente firmato: si tratta, di solito, di giovani danarosi, uomini maturi con donne vistose o giovanissime, uomini d’affari o politici in auge. Il conto, per così dire, non è un problema. Casomai una sorta di trofeo. Qui la carta propone piatti ben fatti ma mai troppo “di ricerca”, con materie prime a volte costose (come crostacei e foie gras) e quindi atte a giustificare ricarichi disinvolti. Gli esotismi, le contaminazioni etniche già di moda, le incursioni nella tradizione di regioni differenti dalla propria sono un classico. Però da qui il cliente non esce insoddisfatto: pur con un conto che parte dai 100 euro procapite, ha stabilito e ottenuto una specie di riconoscimento a livello sociale.
28% Ristoranti BANALI
Con i mediocri, sono la maggior parte dei ristoranti. Qui si muovono cuochi pretenziosi che scopiazzano i piatti dei colleghi più famosi (quando va bene) o si inventano creazioni cervellotiche e improbabili in nome e per conto della creatività o della moda imperante. Il ristoratore o è stato prestato al settore al quale è approdato quasi per caso, o trascina senza brillare un lavoro tramandatogli dai famigliari. Qui si trova il filetto al pepe rosa o verde che sia, il carpaccio con il grana o la rucola, gli spaghetti allo scoglio, il branzino al sale, il crudo di tutto. Anonimato, assimilazione a ciò che fanno tutti, carta senza personalità, sono le caratteristiche di questi esercizi che fanno un lavoro dignitoso, senza infamia e senza lode. La loro fascia di prezzo si attesta dai 40 ai 60 euro, ma bisogna stare attenti alle variabili “vino” o alle richieste fuori carta. I camerieri sono troppo disinvolti e confidenziali, oppure dei “portapiatti” del tutto menefreghisti. L’arredamento, come la cucina, è banale: può risultare rassicurante per quel tipo di cliente che non sa destreggiarsi tra le offerte del mercato o preferisce il già visto ad ogni possibile novità.
38% Ristoranti MEDIOCRI
Qualsiasi cosa facciano, siano essi cuochi o proprietari, è il peggio. Probabilmente hanno aperto il loro ristorante perché pensavano solo al guadagno e al “cassetto” quotidiano. Un’offesa per la ristorazione, rovinano qualsiasi cosa con la sciatteria e il menefreghismo più evidenti. Per loro il cliente è un numero, qualcuno da sfamare con qualcosa all’ora di pranzo o per cena. Comprano l’olio, il vino (il prosecchino più scadente o le etichette più basic) le derrate alimentari più economiche, incuranti di qualsiasi parametro di qualità. Eppure rappresentano la maggioranza degli esercizi, che allignano in ogni centro e in ogni periferia, squallidini nell’aspetto, uguali a qualsiasi altro del genere nel mondo. Qui ogni cifra che si paga è troppo alta perché da queste frequentazioni non deriva alcuna soddisfazione, né morale né materiale. Occorre quindi decidere di andarci per forza o per sbaglio, limitandosi da dare, del proprio tempo e dei propri soldi, ciò che danno loro: troppo poco.