Cibi trasformati? Con il nuovo anno, in cima alla lista dei buoni propositi, puntiamo alla semplicità in cucina, intesa come genuinità.
Perché?
Non è certo un invito a “depurarsi” dai baccanali delle feste natalizie, a quello ci pensa il vostro corpo, macchina meravigliosa che sa sempre cosa fare, piuttosto a riflettere sull’impatto globale delle nostre scelte.
Iniziamo partendo dall’osservazione dei costi nascosti dietro ai cibi trasformati che riempiono gli scaffali dei supermercati e finiscono nelle dispense di tutte le cucine del mondo.
Se per certi versi sono comodi e pratici, per altri ci illudono con i loro sapori accattivanti grazie a miglioratori ed aromi intrinsechi ed attraverso una commercializzazione aggressiva.
Dietro a questa illusione c’è un concatenarsi di impatti ambientali infiniti che spesso passano inosservati.
Un esempio? Vaste distese di terra disboscate per coltivare gli ingredienti destinati alle fabbriche che sfornano prodotti su scala industriale.
Il sistema alimentare globale, che include la produzione, il trasporto e lo spreco di beni trasformati, è responsabile di circa il 26% di tutte le emissioni di gas serra, una cifra esagerata con gravi conseguenze per il nostro pianeta.
Solo il trasporto di questi prodotti contribuisce al 6% delle emissioni legate al cibo e i rifiuti generati dagli scarti degli alimenti trasformati aggiungono un ulteriore strato al problema, rappresentando l’8-10% delle emissioni globali di gas serra. Oltre a ciò, l’imballaggio utilizzato per il prodotto finale è una delle principali fonti di rifiuti di plastica, con il 40% di tutta la plastica prodotta destinata all’imballaggio.
La tipica dieta americana, ricca di alimenti trasformati, produce circa 2,5 tonnellate di emissioni di anidride carbonica a persona, all’anno, evidenziando il dazio ambientale delle moderne abitudini alimentari.
Già da diversi decenni gli alimenti ultra processati (UPF) rappresentano più della metà di tutte le calorie consumate in alcuni paesi sviluppati come Regno Unito, Stati Uniti, Canada.
Per quanto riguarda invece i dati italiani, una revisione sistematica del 2021 circa il consumo mondiale degli UPF, pone l’Italia tra i livelli più bassi, circa il 10%, dato inversamente associato all’aderenza alla dieta mediterranea, con un’elevata variabilità in base al sesso ed età: uomini giovani e in sovrappeso con un consumo più elevato di UPF, rispetto a soggetti più anziani.
(https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/articles/PMC8398521/)
IN CHE MODO QUESTI PRODOTTI DI USO QUOTIDIANO INFLUISCONO SUL NOSTRO PIANETA E QUALI AZIONI POSSIAMO INTRAPRENDERE PER RIDURRE QUESTO IMPATTO.
Gli alimenti trasformati sono notoriamente noti per il lungo elenco di ingredienti e conservanti, spesso a discapito del valore nutrizionale.
Molti prodotti trasformati, come snack e bevande zuccherate, contengono alti livelli di sale, zucchero e grassi saturi, che non solo influiscono negativamente sulla salute umana, ma hanno anche un alto impatto ambientale.
La produzione di questi ingredienti implica un notevole utilizzo di acqua, deforestazione ed emissioni di gas serra. Ad esempio, la produzione di zucchero è responsabile di circa 145 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 all’anno.
L’utilizzo smodato dell’olio di palma in moltissimi alimenti processati è causa di deforestazione e distruzione dell’habitat, principalmente nei paesi del sud est asiatico, a causa di pratiche di produzione non sostenibili.
Nonostante i tentativi di alcune grandi aziende internazionali nel garantire una produzione di olio di palma da coltivazioni sostenibili, spesso queste loro dichiarazioni risultano essere poco trasparenti e credibili.
Passare al consumo di cibi integrali e prodotti minimamente lavorati può ridurre significativamente l’impatto ambientale.
Scegliere cibi con un impatto ambientale inferiore, come cereali, frutta e verdura, può portare ad una dieta più sana, preservando al contempo le risorse idriche ed energetiche.
Anche sostenere l’agricoltura locale e biologica può portare a emissioni ridotte e a una diminuzione della necessità di trasporto e imballaggio.
Difatti l’imballaggio degli alimenti trasformati ha un rilevante impatto ambientale.
La maggior parte di questi prodotti è avvolta in plastica monouso, contribuendo alle 350 milioni di tonnellate stimate di rifiuti di plastica prodotti ogni anno a livello globale.
Questa plastica finisce nelle discariche e negli oceani, contribuendo a un grave degrado ambientale, con un impatto negativo sulla flora e fauna selvatica.
L’ adozione di borse e contenitori riutilizzabili per la conservazione e la spesa degli alimenti aiuta a mitigare questo impatto. Inoltre, incoraggiare l’industria alimentare, anche attraverso il supporto dei governi, a passare ad imballaggi biodegradabili o riciclabili si tradurrebbe in una sostanziale riduzione dello spreco di plastica.
L’IMPRONTA IDRICA NASCOSTA
Gli alimenti trasformati spesso comportano un’elevata impronta idrica, con un impatto significativo sulle stesse risorse idriche. Ingredienti come il cocco, presente in molti prodotti trasformati, richiedono grandi quantità di acqua per crescere.
Non solo, il cocco subisce innumerevoli processi di trasformazione, senza vere normative a tutela del consumatore e dei lavoratori, con uno sconsiderato utilizzo di pesticidi ed erbicidi che permangono sul prodotto finale che raggiunge le nostre tavole.
Il cocco è meglio consumarlo nel luogo di origine e fresco, altrimenti tutti i decantati benefici dei suoi grassi a media catena vengono meno, se poi ci dobbiamo preoccupare degli antifungini che abbiamo introdotto consumando questo prodotto (trasformato e non).
La riduzione del consumo degli UPF ad alto consumo di acqua, porterebbe ad alleggerire parte della pressione sulle risorse globali di acqua dolce.
Adottare quindi una dieta con alimenti a basso consumo di acqua, come cereali, legumi e alcuni frutti contribuisce enormemente a ridurre l’impatto ambientale.
È inoltre fondamentale che l’industria alimentare adotti tecnologie e pratiche di risparmio idrico nella produzione per garantire un utilizzo sostenibile delle risorse e ridurre al minimo l’impronta ecologica.
CONSUMO ENERGETICO ED EMISSIONI
Il processo di produzione di alimenti trasformati richiede notevoli quantità di energia, contribuendo alle emissioni di gas serra. Questa produzione include l’energia necessaria per la lavorazione, il confezionamento e il trasporto.
Ad esempio, l’impronta di carbonio della carne trasformata è particolarmente elevata: 20 volte superiore a quella dei legumi, verdure e frutta con un 14,5% delle emissioni di gas serra provenienti dal settore dell’allevamento.
Come consumatori, possiamo contribuire a ridurre queste emissioni optando per prodotti con etichettatura trasparente del carbonio, che riporta chiaramente l’impatto ambientale di produzione. In Italia abbiamo diverse aziende “eretiche” che si impegnano a fornire etichette il più trasparenti possibili, supportiamole! Inoltre, possiamo sostenere le aziende impegnate a ridurre la loro impronta di carbonio attraverso l’uso di energia rinnovabile o progetti di compensazione delle emissioni di carbonio, ciò permetterà di guidare cambiamenti su larga scala all’interno del settore. Tali azioni non solo riducono le emissioni, ma incoraggiano anche un’adozione più ampia di pratiche sostenibili lungo tutta la catena di fornitura.
COMBATTERE IL GREENWASHING
L’aumento della consapevolezza ambientale tra i consumatori ha portato a un aumento dei prodotti etichettati come “carbon neutral” o “sostenibili”. Tuttavia, ciò ha anche dato origine al greenwashing, in cui queste affermazioni riguardano più il marketing che la vera eco-compatibilità.
Un’analisi del 2021 ha rilevato che il 40% delle affermazioni green online era fuorviante, sollecitando una richiesta di pratiche commerciali più trasparenti e veritiere.
Cosa possiamo fare per superare il greenwashing?
Il consumatore ha il dovere di cercare e incoraggiare le aziende che offrono certificazioni verificate da organizzazioni affidabili. Inoltre, è bene che si informi sugli standard e sui criteri che definiscono i prodotti sostenibili e a zero emissioni di carbonio. Richiedendo responsabilità alle aziende, si contribuisce ad un mercato in cui l’impatto ambientale è realmente incorporato nella produzione e nel consumo di cibo.
Appoggiamo queste aziende virtuose che dimostrano come la vera sostenibilità e certificazione possano ridefinire l’industria alimentare ed incoraggia i consumatori a guardare oltre il marketing e ad investire in prodotti che danno priorità alla propria salute e a quella del pianeta.
LE NOSTRE SCELTE HANNO IL POTERE DI PLASMARE UN FUTURO PIÙ SOSTENIBILE
Dando priorità ad alimenti locali, integrali e di origine vegetale, possiamo ridurre significativamente il degrado ambientale legato agli alimenti trasformati. Queste opzioni non solo hanno un’impronta di carbonio inferiore, grazie alle ridotte esigenze di trasporto e di agricoltura industriale, ma supportano anche gli agricoltori locali, promuovono la biodiversità e contribuiscono a creare ecosistemi più sani.
Ogni acquisto che facciamo è un voto per il mondo che vogliamo. Optando per prodotti autenticamente sostenibili e chiedendo ai marchi alimentari di assumersi la responsabilità del loro impatto ambientale, possiamo guidare la domanda verso la trasparenza e un vero cambiamento del settore.
Gli alimenti trasformati contribuiscono alla deforestazione, alla scarsità d’acqua e al rilascio di potenti gas serra come il metano, ma riducendone il consumo, possiamo alleggerire la nostra impronta di carbonio fino al 25%. Le scelte consapevoli dei consumatori, insieme, possono ispirare un cambiamento significativo verso un pianeta più sano.
[Questo articolo è tratto dal numero di gennaio-febbraio 2025 de La Madia Travelfood. Puoi acquistare una copia digitale nello sfoglia online oppure sottoscrivere un abbonamento per ricevere ogni due mesi la rivista cartacea]