La stella di Vacallo Passione, tradizione, innovazione
Parlare oggi del Conca Bella significa raccontare di un ristorante che rappresenta, dopo 28 anni, il gotha della gastronomia ticinese. L’albergo vanta una tradizione secolare, infatti la sua fondazione risale al 1906. Nel 1918 fu chiamato Ristorante della Posta o Caferin. Ma la svolta e la nuova denominazione avvenne nel 1984, quando i coniugi Rocco e Ruth Montereale aprirono con ferrea volontà il “Conca Bella”, cui è seguita, nel 2001, l’apertura della loro enoteca, luogo importante dove poter ospitare al meglio, tra tanti vini in bella mostra, i numerosi amici e i graditi ospiti.
Il Conca Bella, ubicato in una posizione appena defilata e tranquilla sopra Chiasso, ma al contempo strategica location a circa un chilometro dall’autostrada che unisce Milano con il Ticino (quindi beneficiario di tutti i traffici che “contano”, sia elvetici, ticinesi e della Svizzera “interna”, sia stranieri) è dotato di camere assai accoglienti e con tutti i comfort del caso: soluzione assai interessante, viste le recenti restrizioni in materia di guida dopo assunzioni, anche assai minime, di alcolici.
Il Mendrisiotto e il Basso Ceresio debbono molto a Ruth e Rocco Montereale che per anni hanno saputo captare una clientela internazionale. Il loro ristorante è divenuto, nel tempo, punto di ritrovo di enogastronomadi (Stella Michelin e Tre Stellette anche nella ex Veronelli) che alla ricerca del cibo migliore vogliono abbinare ottimi vini. Qui si è sicuri di trovare quanto di meglio offre l’enologia internazionale e in particolare della Francia dei grandi rossi, dagli Châteaux bordolesi ai grandi bianchi della Borgogna, ma non mancano le perle italiane regionali, dal Piemonte alla Toscana, dall’Alto Adige alla Basilicata. Nel tempo la rivista Wine Spectator ha premiato più volte il Conca Bella con il “Best of Award of Excellence” come cantina più prestigiosa d’Europa. La prematura scomparsa del patron Rocco, avvenuta ad un solo anno dalla ristrutturazione generale, ha lasciato un vuoto incolmabile nella famiglia Montereale (due figlie: Nadia e Barbara e un figlio, Michele – allora solo diciassettenne) ma Ruth ha saputo affrontarla con decisione e orgoglio, proprio in suo ricordo. Infatti ancora oggi il locale è diretto da Ruth, che da metà dicembre del 2002 ne ha preso completamente le redini.
Il locale (chiuso nel mese di Gennaio di quest’anno per lavori) ha riaperto dopo la pausa invernale con notevoli novità. Sono stati cambiati i tendaggi, le sedie, il tovagliame, con l’aggiunta pure di un angolo “bistrot” molto colorato, vivace e giovanile. Il bar è sempre stato una tradizione e continuerà a servire caffè, cappuccini, piccoli break, qualche buon bicchiere di vino e spumanti e/o champagne a bicchieri.
La cucina ha riaperto con uno staff completamente rinnovato.
A fare da direttore d’orchesta c’è un giovane talentuoso e simpatico: Andrea Bertarini, classe 1982, qui già da quattro anni, di cui tre e mezzo come secondo chef.
Un figlio di “cucinieri” con varie esperienze, prima in Ticino, poi con stage nel tristellato italiano Le Calandre e ancora poi in Ticino presso Giordano Bertolina, all’Arcadia di Chiasso. Ora come secondo di cucina è arrivato Mauro Boroni (esperienze a Brusaporto da Vittorio, a Milano da Aimo&Nadia); in pasticceria e anche come addetto al pane (fatto in casa giornalmente) Denis Joppini e ancora Filippo Gallo a dare man forte. In sala Luca Bianchi, Alessandro Bernasconi e Michele Montereale, figlio di Rocco e di Ruth, che ufficialmente ha fatto il suo ingresso da pochi giorni in casa propria dopo aver girovagato un pò per il mondo per imparare le lingue e l’arte del servizio di sala.
L’offerta di cucina non è stata modificata né stravolta ma continua su una linea classica e creativa nel segno della tradizione, con rivisitazione delle proposte culinarie tale da renderle più salutari, alleggerite, pur mantenendo territorialità e sostanza, per andare incontro ad una clientela anche più giovane, considerando che tutto lo staff è tra il più giovane della Svizzera. L’impronta culinaria è di chiara interpretazione mediterranea, dove la materia prima è sicuramente protagonista: pasta fatta in casa, olio extravergine d’oliva, carni e pesci di altissima qualità, verdure e formaggi della regione e tanta fantasia. Il cliente può spaziare in proposte dove il gusto della cucina regionale emerge con finezza e originalità. E sarebbe proprio un peccato lasciare il Conca Bella senza aver assaggiato, oltre che i superbi piatti, anche qualche buon vino: più di mille etichette, dalle aree più famose alle lande enoicamente meno conosciute, senza dimenticare una selezione del meglio che possa offrire il Ticino enologico in questo momento (Merlot in primis). Non a caso, proprio la cantina posta al piano inferiore è visitabile dagli avventori, che possono anche soffermarsi ad ammirare centinaia di magnum di ogni provenienza, mentre consumano uno stuzzicante aperitivo a base di ottimi champagne o di italici Franciacorta. E questo era uno fra i desideri di Rocco. Il suo sogno, infatti, era di quello di poter allargare la cerchia di amici da ospitare, offrendo loro uno spazio di ampio respiro, in cui si aveva la possibilità di deliziare i propri sensi, potendo osservare, con un colpo d’occhio (e un tuffo al cuore…), il meglio dell’enologia del pianeta. Sogno che si è avverato, ma da cui purtroppo Rocco non ha potuto trarre soddisfazione.
Come vede il suo futuro qui in terra ticinese?
Ogni cambio porta arricchimento personale: il continuo confronto, non solo professionale ma anche umano è un punto fondamentale per una vera crescita a tutti i livelli. Credo che il Ticino offra pienamente questa opportunità.
Quali sono i piatti che presenterà nel suo menu?
Cucino per emozionare gli appassionati clienti. Presenterò piatti che per me posseggono un’anima, oltre agli ingredienti scelti per la preparazione. Piatti che portano sensazioni ed emozioni o storie di ricerca; il segreto sarà riuscire a trasmettere queste particolarità.
In cucina tradizione o innovazione? Quale elemento prevale?
Non amo assolutamente fare distinzioni tra una cucina classica e una cucina cosiddetta innovativa: la mia filosofia è di amore per il passato, vivendo il presente e ricercando il futuro.
Da dove nasce la sua passione per la cucina?
Ho passato la mia infanzia nell’albergo dei nonni. Il mio parco giochi era il pollaio con un orto immenso…il mio destino era già segnato! Mio padre ha poi contribuito ad accrescere in me questa passione e oggi custodisco i suoi consigli come un piccolo, preziosissimo, tesoro.
Un momento particolarmente importante che ha segnato, almeno per ora, la sua carriera.
Fondamentale il mio stage a “Le Calandre”, presso Massimiliano Alaimo, chef affermato e considerato “il Mozart dei fornelli”, un vero enfant-prodige della cucina italiana che tutte le sere si rimboccava le maniche e puliva, coccolando quasi fosse viva, la sua stufa. Credo che quei momenti di grande umiltà mi abbiamo segnato e abbiano influenzato la mia carriera.
Cosa pensa della cucina di voi giovani chef ?
Sicuramente qualche cosa si è mosso nella riscoperta del gusto ma credo che ancora non sia sufficiente. Penso che noi cuochi – e i ristoratori più in generale – possiamo fare ancora molto. Se è vero che l’alta cucina ha determinato una rivoluzione del gusto a tavola, è giunto il momento di far conoscere questo cambiamento a tutti, iniziando dai più giovani, che oggi si dimostrano molto sensibili ed attenti.
Qual è l’ingrediente preferito dei suoi piatti?
è quello che ancora devo scoprire. Una mia grande passione è la fotografia, che a mio avviso ha tanti punti in comune con la cucina e pertanto amo pensare che il dolce e il salato sono come il bianco e il nero, che il sapido e l’insipido sono come una fotografia sovraesposta o sottoesposta, insomma, il segreto è trovare il giusto equilibrio in entrambi le passioni. Una cosa che continua a piacermi è cucinare pezzi interi (anatra, maialino, cosciotti di agnello ecc.). La mia ambizione è riuscire a trasmettere al cliente la storia di quello che c’è nel piatto, perché i miei piatti nascono da un lungo e attento studio, approfondita ricerca sia della materia prima che dei metodi di cottura, come pure degli ingredienti aggiunti allo scopo di valorizzare ancora di più la sostanza di partenza. Anche con il nome dei piatti mi piace incuriosire il cliente, come ad esempio con Il filo di Arianna, La dama di pasta, Sapore di sale, sapore di mare, Il Vizio (fumo, alcol, cioccolato e caffè), Raviolo all’acqua di mare, scampi, inchiostro e salicornia.
Uno sguardo alla nuova carta delle vivande ci racconta che tra le proposte troviamo un menu “degustazione”, senza vini, offerto a 96 euro (con abbinamento vini, a 130 euro): stuzzichino del benvenuto; terrina di fegato d’oca, nocciole del Piemonte, cioccolato e pan brioche; ravioli di Sant’Antonio; cuore di baccalà con radicchio tardivo, arance, dragoncello e insalata di finocchio; banana, cioccolato soffiato e vaniglia bourbon; crostata con mela al cardamomo, il suo sorbetto e aria gratinata; in chiusura, dolci tentazioni. E ancora un menu “Assaggi” di 8 portate che viene offerto a 115 euro, senza vini. Da non mancare, anche in due come piatto unico: l’anatra “la Bourrine” caramellata al miele di castagno e pepe nero, e poi ancora, l’astice di Maine, il riso della Camargue, il branzino bretone, l’agnello di Sisteron, e via dicendo. Spigolando tra la carta delle vivande ho scelto il mio menu di cui vi propongo le ricette: raviolo all’acqua di mare, scampi, inchiostro e salicornia; spaghettoni “Gerardo di Nola” con pistacchi di Bronte, arance, menta e “principe azzurro” (sgombro); triglia di scoglio in crosta di mais, barbabietola, fave e barba dei frati; il Vizio (fumo, alcol, cioccolato e caffè).