“Per i vini il signore ha già scelto?”
“Sì, ma mi tolga una curiosità: voi non fate servizio al calice?”
“Certo che sì, scelga pure liberamente ciò che preferisce nella nostra carta vini. Glielo apriremo con piacere”.
“Qualsiasi vino?”
“Certo, qualsiasi vino”
“Grandioso! Complimenti, sono pochissimi i ristoranti che offrono un tale servizio”.
Di fronte a tanta scelta l’emozione di un commensale può anche essere più contenuta, ma non lo sarà di molto, visto che la carta dei vini di cui si parla è quella del ristorante “Al Cambio” di Bologna: ricca, mai banale, variamente distribuita tra l’Europa, il Nord Africa, l’America ed impreziosita da molte eccellenze.
Questo è sicuramente uno dei motivi per il quale “Al Cambio” non soffre particolarmente la crisi mondiale dei consumi che attanaglia l’economia di questo periodo. Gli altri motivi vanno ricercati nella filosofia culinaria dello chef e patron Massimiliano Poggi.
Massimiliano, Max per gli amici, è cresciuto a pane e ragù nella cucina della mamma per poi passare a frequentazioni di spicco già dall’età di 15 anni quando, giovane imberbe commis de cuisine, dialogava quotidianamente con maestri quali Gino Angelini prima e Vincenzo Cammerucci poi. Folgorato sulla via di Bologna “la grassa”, vent’anni or sono prendeva la decisione di aprire un suo locale: ed ecco come “Al Cambio” diveniva la sua realtà imprenditoriale. Da osteria della periferia del capoluogo emiliano a raffinato ristorante, la metamorfosi è stata lenta ma costante, capace anche di ridare decoro a quell’area urbana fieristica che in ogni città è quasi sempre degradata. Dell’osteria di un tempo rimangono i sapori ed i profumi della tradizione bolognese che lo chef arricchisce con i prodotti dei presidi Slow Food.
Citiamo, ad esempio, la Battuta di Fassone “Zivieri” con sale di Cervia e capperi, oppure i Tortelli di Pecorino con fave e guanciale di “Parisi” dolcemente affumicato e la Cassata gelata con canditi “Rizzati” e salsa di fragole.
Tra le sue migliori performance non possiamo dimenticare la tradizionale Lasagna, tradizionale solo nel sapore, mentre la preparazione è assolutamente espressa: da provare.
Così come sono da provare entrambi i menù degustazione, uno di terra ed uno di mare, ed il menù del pranzo di lavoro a trentacinque euro. Non molti, se si pensa che quando Max ti accoglie in “casa sua” (devi suonare il campanello per entrare) ci si immerge in una tranquillità ovattata che lascia all’esterno la frenesia di una città in eterno movimento. L’ambiente sobrio ed esclusivo con circa 40 posti a sedere sparsi in un’ampia sala è il regno incontrastato di due perfetti maitre dal servizio preciso e mai assillante, che rispondo al nome di Swan Barotti e Daniele Franzoni. “Con loro in sala – afferma Max – la mia squadra è completa e il lavoro della mia brigata di cucina è ben valorizzato”. Agli inizi del secolo qui c’era un cambio di cavalli per la gente di passaggio tra il Veneto e la Romagna; oggi di fatto la sosta si fa comunque, ma con una motivazione che la giustifica pienamente dal punto di vista eno-gastronomico.
Di Daniele Briani