Di La Madia
In un clima di proibizionismo, irregimentazione dei consumi e colonizzazione dei costumi, uno speciale ampio e articolato come il nostro sul mondo della birra può sembrare irrispettoso nei confronti dei moniti calvinisti di Sirchia e irriguardoso nei confronti del vino e delle sue alterne fortune.
In realtà, secondo noi, tutto ciò che contribuisce alla conoscenza e quindi al corretto consumo del prodotto (in una logica culturale invece che puramente consumistica) può solo aiutare a costruire una “coscienza alimentare” collettiva e non può, in nessun caso, fornire alibi atti a favorire l’alcolismo nelle fasce sociali a rischio.
Francamente sono stanca di fare continui predicozzi su un concetto talmente lapalissiano da risultare banale: ogni eccesso, in ogni umano comportamento, è deprecabile.
Tutto ciò che diventa vizio, degenerazione, esagerazione, costituisce un pericolo per sé e per gli altri: può esserlo la palestra, il sesso, l’amore, la politica, la moda e ovviamente il cibo.
Ma è proprio attraverso l’educazione al sensato sentire che tutto diventa ciò che è: vita.
E poi basta con gli spauracchi: il milione e mezzo di alcolisti (gli alcoldipendenti, per i salutisti ad oltranza, sono addirittura tutti coloro che sono soliti concedersi regolarmente, magari ai pasti, un bicchiere di vino) sono figli dell’ignoranza, vittime dell’incapacità di gestirsi e, in qualche misura, il target ideale per le cause di moralizzazione di chi usa indiscriminatamente lo strumento della legge per evitare di impegnarsi in un progetto formativo mirato e responsabile.
La birra, dunque, come valida alternativa al vino, specialmente ora che, con la sua grande varietà e grande libertà di produzione, offre di certo sapori meno omologati e meno globalizzati di quelli del vino. Per ora fortunatamente non ci sono, nel mondo della birra, figure analoghe a quelle di certi winemaker che, vendendo ai produttori, da nord a sud, “pacchetti” che vanno dal mosto concentrato alle barriques, dai lieviti selezionati ai piani di marketing (con sostanziose royalties sui prodotti da loro “firmati”), stanno appiattendo il mercato su vini tutti uguali, melassati, liquorosi e truciolari.
Non mi piacciono questi specialisti del vino perfetto. Gente che, in fondo, agisce come Jean Baptiste Grenouille, il trucido profumiere del ‘700 protagonista dell’ineguagliabile e ineguagliato romanzo di Süskind “Il profumo”, autore dell’omicidio di 25 giovani donne alle quali sottarre il profumo della bellezza per creare il profumo perfetto, capace di dominare il cuore degli uomini e di suscitare l’amore.
Questa gente, livellando la sensorialità collettiva su un gusto standard, facile, finto come i culi, le tette, i reality della TV deficiente e narcotizzante, ci ha deliberatamente privato, fregandosene, del nostro diritto a comprendere le differenze, le biodiversità, i normali pregi e difetti delle cose.
Ci hanno privato, nel nome sacro del business, al diritto di scegliere e di usare tutti i nostri sensi.
Allora, ben venga la birra! Ben venga la cultura del bere bene.