Il cuore di Genova è un cruciverba di strade e palazzi rinchiuso tra due vastità, tra il Mar Mediterraneo e l’Appennino Ligure. E’ una maglia stretta, fatta di pietre, marmi ed ardesia, dipanata in un intreccio senza pause di vie, chiese, portali decorati, edicole votive. E’ il centro storico di Genova, il più grande d’Europa. Sono i suoi vicoli, una grande casbah d’occidente, dove s’affollano ombre e riflessi, facce del mondo e squarci di storie. E serrande di negozi, come occhi aperti sulle strade. Botteghe storiche, gastronomiche, artigianali, oggi costrette a lottare contro l’invasione di negozi cinesi che nulla aggiungono e non lasciano orma. Strette all’angolo dall’involuzione delle abitudini quotidiane, dalla pigrizia che incoraggia alla frettolosa spesa inconsapevole del supermercato.
Andare per botteghe a Genova, invece, significa recuperare il gusto e il tempo della scoperta, i sapori di prodotti unici, in un percorso che si perde in un crocicchio di strade, le creuse, che improvvisamente si allargano, e magari sboccia una piazzetta, dove si svela una chiesa romanica, un bassorilievo medioevale, una torre mozzata. Significa ripercorre, guidati da odori e sollecitazioni visive, la cucina di un popolo che ha attinto dal mare, dalla campagna e dai monti, facendosi compenetrare dalle tradizioni del sud del mediterraneo e drogare dalle spezie d’oriente.
Genova è una città che ha rischiato di collassare negli anni ’80, per la crisi della sua più grande vocazione, il porto, ma che ha saputo rinascere, mutando pelle, abbandonando l’industria pesante e svelando le sue potenzialità turistiche.
Quello che proponiamo è un percorso, tutto compreso nel centro storico di Genova, che parte proprio dal simbolo della rinascita di questa città: il Porto Antico, un palcoscenico sul mare, il cui disegno è stato progettato da Renzo Piano nel 1992 per le Colombiadi. Il porto che un tempo edificò la grandezza del capoluogo ligure, ora ne è il migliore biglietto da visita.
Armanino, i colori della frutta secca
Si parte da Sottoripa, “un porticato lungo mille passi dove si può acquistare ogni merce”, come lo descrisse nel 1432 Enea Silvio Piccolomini, futuro Papa Pio II. I suoi portici abbracciano Piazza Caricamento, dove i carrettieri, fino ai primi del ‘900, si spaccavano la schiena a caricare e scaricare i carri sui quali viaggiava la merce, per Genova e nell’entroterra. Sulla piazza si affaccia il medioevale Palazzo San Giorgio, ora sede dell’Autorità Portuale. Tra le pieghe di Sottoripa, nella caotica vitalità di friggitorie, pescivendoli e bar, esplode coi suoi colori accesi la vetrina di Armanino, il tempio della frutta secca. Un negozio aperto nel 1905, gestito sempre dalla stessa famiglia. All’interno, tra le piastrelle esagonali dei vecchi pavimenti genovesi e il forte odore di zucchero e frutta, si respira l’intimità di un negozio che da generazioni è riferimento non solo per le famiglie genovesi. “Ci sono clienti che se non vengono a comprare da noi non gli sembra neanche Natale”. E’ proprio nel periodo natalizio che la gente accorre a ricercare ogni varietà di frutta e le sue molteplici lavorazioni: secca, disidratata, zuccherata, glassata. Le immancabili prugne, i frutti più comuni, rarità come la papaya, lo zenzero, il melone, le ciliegie o le fragole. Oppure chicche gastronomiche, come i fichi al forno con le mandorle. E le diverse varietà di datteri, tra i quali i pregiati datteri medjoul. Ma Armanino è anche il luogo dove, durante l’anno, si possono trovare alcune primizie, come le fave al primo di febbraio.
Sa Pesta, nella tradizione della farinata
A pochi metri da Sottoripa, nel primo nucleo abitativo di Genova, parte Via dei Giustiniani. Lì, al numero 16, c’è “Sa Pesta”, in dialetto “Sale fino”. Originariamente luogo di vendita del sale, che da grosso veniva raffinato per comodità dei clienti, Sa Pesta è uno dei più antichi locali dove venivano cucinate torte di verdure e farinata, che nel XV secolo era detta scriptilina, forse per il tipico scoppiettare nel testo durante la cottura al fuoco di legna. Nel corso dei secoli, poco è cambiato. Dalla bocca del forno a legna continuano ad emergere fumanti torte e testi di farinata, da gustarsi seduti ai grezzi tavoli di legno della saletta interna, contraddistinta dagli alti soffitti a volta e da lucide piastrelle bianche alle pareti. “E le ricette sono quelle dei nostri genitori e ancor prima dei nostri nonni: tipiche genovesi, con poche concessioni alle varianti moderne” spiega Antonella Benvenuto, che assieme al fratello Paolo porta avanti la tradizione famigliare. La vetrina, prima di mezzogiorno, quando tutto è stato preparato ma ancora nulla è finito sotto i denti, è straripante e generosa. Gli antichi testi in rame sono esposti su diversi livelli, a formare una scala che pare salire verso l’empireo del gusto. Una splendida visione. Le specialità della casa sono le torte di verdure (il polpettone di fagiolini e patate, la torta di zucca, la pasqualina di carciofi, la torta di riso), i ripieni di verdure, le acciughe ripiene e la farinata. “La farinata deve essere molto bassa, croccante e servita bollente”. Quattro semplici ingredienti: farina di ceci, olio, acqua e sale, dodici minuti di cottura al calore di un fuoco vigoroso. Il risultato è un prodotto dal colore dell’oro, venato da calde striature scure, sfrigolante, dove emergono, al gusto, l’aroma dell’olio e il sapore dei ceci.
Torrielli: droghe e coloniali da tutto il mondo
Parallela a Via Giustiniani corre Via San Bernardo, uno dei vicoli dove si svolge, il venerdì sera, la vita notturna dei giovani genovesi e degli studenti universitari. La drogheria Torrielli, aperta agli inizi degli anni ’30, è come l’antro dell’alchimista, il luogo adatto dove trovare ogni genere di spezia. “Fu nostro nonno ad aprirla. Lavorava in porto, ma dopo la crisi economica del ‘29 decise di iniziare questa attività” ricorda la nipote Antonella, attuale proprietaria assieme alla sorella Paola. Ed è stato loro padre, Romeo, negli anni ’70, ad intuire ed assecondare le esigenze dei nuovi abitanti di quella porzione di città. Non genovesi, ma in gran parte stranieri, africani, che iniziavano ad allargarsi nel tessuto sociale del capoluogo ligure. “Chiedevano le spezie dei loro paesi: la curcuma, la paprika, i diversi tipi di pepe, il cumino. Fino allora tenevamo solo le spezie usate nella cucina genovese: maggiorana, timo, origano, noce moscata. Con l’affermarsi dei viaggi all’estero, anche i genovesi iniziarono ad incuriosirsi e a cercare da noi le spezie scoperte lontano”.
Oggi, nelle mensole di questo piccolo negozio, si assiepano, in grandi arbanelle di vetro, oltre 200 generi di droghe: un laboratorio del gusto dove trovare le essenze cardine delle cucine del mondo. Come la miscela marocchina “Ras el Hanout”, la cui traduzione letterale è “il meglio del droghiere”: un composto di svariate spezie, c’è chi dice 29 chi 35, in cui si ritrovano addirittura i petali di rosa. Ma il suo sapore è intenso, piccante, ed è quello che si riconosce nei tajine e nei cous-cous maghrebini. Oppure il garam masala, la miscela indiana di 4 o 5 spezie, adatta alla cucina delle carni. E le tante varietà di zafferano, in polvere e in pistilli: iraniano, spagnolo, ma anche italiano, abruzzese e sardo. Torrielli è il tipico droghe e coloniali: non solo spezie, ma anche molte varietà di thè, saponi (di marsiglia, vecchio stile), oli essenziali profumati, caffè (torrefatto personalmente), cioccolati (aromatizzati con diverse spezie). Con l’affollata e variopinta unione di prodotti dei cinque continenti, Torrielli è l’emblema della società contemporanea e, in particolare, di Genova: una miscela di popoli, storie, religioni, usanze. “In questo panorama, il cibo e la cucina possono essere davvero fattori culturali di integrazione, scambio e accoglienza. In questo processo, noi non ci poniamo come semplici commercianti, ma cerchiamo di proporre le cose in un determinato modo. Ad esempio, è significativo che certi prodotti ci vengano suggeriti dalla clientela, in una sorta di collaborazione”.
Viganotti, il cioccolato antico
Percorrendo Via San Bernardo si incontra, sulla destra, Piazza San Donato, dove si affaccia l’omonima chiesa: un bell’esempio del romanico genovese, con rifacimenti successivi, caratterizzata dalla splendida torre nolare ottagonale. All’interno, alcuni quadri significativi: una Sacra Famiglia di Domenico Piola e l’Adorazione dei Magi, mirabile trittico del pittore fiammingo Joos Van Cleve. Proseguendo si arriva a Piazza delle Erbe, dove all’ora dell’aperitivo ci si può sedere ai tavolini all’aperto dei locali che animano la piazza. Sulla sinistra, imboccando Salita del Prione, si incontra Vico dei Castagna, dove si trova l’antico laboratorio di cioccolato Viganotti. Chiudete gli occhi e spalancate le narici. Aprendo la porta in legno, vi assalirà prepotente l’indimenticabile aroma di zucchero e cacao di questo piccolo, meraviglioso scrigno della dolcezza. Riaprendo gli occhi, vi sembrerà di esservi tuffati indietro nel tempo. Tutto è rimasto immutato dai primi del ‘900: le piastrelle, le pareti rosa, il bancone e le mensole in legno. Anche i macchinari, ancora utilizzati per la produzione, sono quelli originali, di fine ottocento. Come gli stampi, in cui il cioccolato assume le stesse forme di cento anni fa. “L’attività è nata nel 1866 come negozio di zuccherini- spiega Alessandro Boccardo, attuale mastro cioccolataio, che ha rilevato il negozio dopo quattro generazioni di Viganotti- Nel 1900 Romeo Viganotti l’ha trasformata in cioccolateria. Noi lavoriamo ancora su ricette tradizionali, usando ingredienti classici. Ad esempio utilizziamo l’amido, vecchia tradizione risalente a prima degli anni cinquanta”. Il risultato sono cioccolatini indimenticabili, declinati in una ventina di varietà, dall’aspetto irregolare (tutto è fatto rigorosamente a mano), di un sapore e di una consistenza sublimi. Accanto ai classici, i boeri, i croccantini, gli arancini, le noccioline del Piemonte ricoperte di cioccolato, i cremini fatti all’antica, negli ultimi anni hanno preso campo i cioccolati speziati, per i quali Boccardo utilizza le droghe di Torrielli. “Soprattutto dopo l’uscita del film Chocolat molti clienti ci hanno chiesto cioccolati speziati. Abbiamo iniziato con peperoncino, zenzero e cannella. Ora gli speziati sono una realtà importante”. La produzione, vista l’assoluta artigianalità, è ovviamente molto limitata. Per avere qualche cioccolatino per le feste natalizie, bisogna presentarsi prima dell’Immacolata. Ma nel resto dell’anno, eccetto i due mesi estivi di chiusura, è più facile uscire dal negozio con un vassoio di cioccolatini.
La trippa, piatto genovese
Ancora inebriati dagli aromi di Viganotti si può ammirare Porta Soprana, del XII secolo, un tempo ingresso di Levante della città, una cui epigrafe, rivolta a Federico Barbarossa, recita: “Se porti pace sei il benvenuto, se porti la guerra tornerai indietro deluso e vinto”. Ai piedi della porta c’è il chiostro di Sant’Andrea, quel che resta di un monastero benedettino demolito agli inizi del ‘900, e la “Casa di Colombo” ricostruzione settecentesca di quella che si ritiene l’originale casa del navigatore genovese. A pochi metri, il panorama si allarga a Piazza De Ferrari, cuore pulsante di Genova, dominata da Palazzo Ducale, sede di importanti mostre, e dal Teatro Carlo Felice, regno dell’opera genovese. Da De Ferrari, passando per Piazza Matteotti, si può prima ammirare la Chiesa del Gesù, con le sue tele di Rubens, e poi scendere lungo Via San Lorenzo, strada signorile che porta dritta verso il mare, costeggiata da importanti palazzi, dove s’innalza la gotica cattedrale di Genova, San Lorenzo. Il nostro percorso invece, da Piazza De Ferrari, si rituffa negli spazi angusti dei vicoli, per Vico Casana, alla scoperta di una delle botteghe gastronomiche più antiche di Genova, la tripperia Casana. Non ci sono insegne colorate ad indicare la bottega di Francesco Pisano. Le trippe appese in vetrina sono l’unico richiamo. Il negozio è spartano e candido, con il bancone di marmo vecchio di due secoli e i pentoloni di rame in cui borbotta la trippa messa a cuocere: inconfondibile è il suo profumo. “Questo negozio è qui da almeno duecento anni, ma probabilmente l’attività è iniziata ancor prima”. All’inizio del secolo ci venivano a fare colazione i portuali. Si sedevano sulle panche di legno e consumavano la “coppetta”, cioè il brodo di trippa fumante. Oggi, nella coda che si forma nelle ore tarde del pomeriggio, ci sono genovesi, ma anche sudamericani e africani. Di fronte ai sette tagli della trippa (centopelle, cuffia, cordone, gruppo, castagnetta, riccetto e gola) cade qualsiasi distinzione. La ricetta genovese è semplice. Si fa un soffritto di cipolla, carote e sedano; si fa rosolare a lungo la trippa nei sapori, poi si aggiungono funghi secchi e pinoli, e una parte dell’acqua in cui si sono fatti rinvenire i funghi. Quando l’acqua è evaporata, si bagna con il vino bianco, si mettono patate e pelati, si pepa e si sala. Dopo un’ora abbondante di cottura, a fuoco lento, si serve con una generosa grattugiata di parmigiano. “E per chi volesse un po’ di brodo di trippa, basta venire con un fiasco vuoto: io lo regalo, perché ogni sera ne butto via 500 litri”.
Dalla Norvegia, lo stocche
Da Vico Casana a Via di Soziglia sono solo pochi passi, ma si attraversa una delle zone più brulicanti e vive di Genova, ammantata di negozi, bar e scorci architettonici. In Via Soziglia, al numero 20, c’è la “Bottega dello Stoccafisso”, dal 1936 dedita alla vendita di stoccafisso e baccalà. Lo stocche, il merluzzo essiccato, i genovesi lo consumano bollito, condito con un filo d’olio della Riviera e un trito aromatico di aglio, prezzemolo, pinoli, acciughe e capperi; oppure “accomodou”, accomodato, preparato facendo un soffritto di sapori, funghi secchi, acciughe salate e pomodori, nel quale si aggiunge lo stoccafisso e le patate, con pinoli e olive taggiasche, per un’ora abbondante di cottura. Alla Bottega dello Stoccafisso, in grandi lavandini di marmo, lo stoccafisso resta otto giorni in ammollo prima di essere pronto per la cucina. Dalle lontane Lofoten, isole norvegesi, lo stocche arriva a Genova, per restarsene appeso, rinsecchito, nel negozio, in attesa dell’acqua che, risvegliatolo, lo preparerà a celebrare il matrimonio con i sapori, per arrivare in tavola in una nuvola di vapori e aromi marcati ed invitanti.
Mielaus, api nomadi tra Liguria e basso Piemonte
In Vico della Rosa, una creusa larga uno spillo che collega Via della Maddalena ai Macelli di Soziglia, sta Mielaus Apicoltura Piccardo, dolce intermezzo in questo bouquet di sapori genovesi. In una calda luce soffusa che ricorda i riflessi di certi mieli, la bottega, aperta nel 2003, conserva i segni caratteristici del suo passato. Fu macelleria: il marmo bianco alle pareti e i ganci al soffitto lo testimoniano. Molto prima, nel 1600, fu l’oratorio della Chiesa di San Giovanni Battista: la forma dell’abside che caratterizza il laboratorio sta lì a dimostrarlo. “Abbiamo mantenuto la struttura del vecchio negozio, adattandola alle nostre esigenze: le celle frigorifere sono diventate camere calde, che utilizziamo quando abbiamo bisogno di sciogliere il miele” racconta Bruna. Lei, ballerina di flamenco, e il marito Andrea, grafico, sono i proprietari di questo negozio nato dalla passione di Benedetto Piccardo, papà di Andrea, per il miele e i suoi derivati.
“Il miele lo produciamo noi. Abbiamo le arnie nella colline intorno a Genova e nelle campagne dell’alessandrino. Alle api facciamo fare nomadismo per ottenere diversi tipi di fioritura”. Il risultato sono quattro mieli, acacia, millefiori estivi, erica e millefiori, e la melata, l’unico miele che non è di nettare ma di resina, dalla densa consistenza e dal colore scuro, quasi nero. “E’ un’ottima via di mezzo per chi non ama il miele troppo dolce né l’amaro del castagno”.
Tra i derivati del miele, oltre a creme e caramelle, spicca l’idromele, il fermentato più antico del mondo, nell’antichità noto come “la bevanda degli dei”. L’idromele, che ha una gradazione alcolica di 14,5%, si ottiene facendo fermentare gli zuccheri del miele nell’acqua, aiutandoli con un po’ di lieviti. In sei mesi si ottiene questo prodotto, ottimo da abbinare a dolci e formaggi.
“E’ precedente al vino: ci sono testimonianze nell’Antico Egitto, nell’Inghilterra celtica, nella Scandinavia vichinga. Noi lo prepariamo con il miele millefiori, soprattutto con quello estivo che ha già una punta di castagno ed è più saporito. In Italia siamo molto pochi a farlo”.
La pescheria degli aperitivi
Chiamare piazza lo spazio dei Macelli di Soziglia spiega bene la particolare concezione spaziale dei vicoli genovesi. E’ solo uno slargo, un vicolo che prende respiro, occupato dai banchi di pochi negozi. Ma è nell’aria carica di odori e nelle facce che incroci che si intravede la grandezza di questo brandello di Genova, fino alla metà del XII secolo sede dei macelli. Qui si trova la pescheria di Cristina e Salvatore. I suoi banchi sono tele di pesce pescato la notte precedente: fino a quaranta specie, quando il mare placido concede buona pesca. Ma la curiosità è un’altra: è un modo di essere genovesi che si scontra contro i pregiudizi, che dipingono i liguri scontrosi e pignesecche. “All’ora dell’aperitivo, prima di mezzogiorno e dopo le diciotto, mentre puliamo il pesce ai nostri clienti, offriamo qualche assaggio, ricette semplici, roba genovese, vecchia maniera: un carpaccio di pesce, due gamberi e scampi crudi, il polpo affogato. E intanto diamo consigli su come cucinarlo. Spesso succede che il giorno dopo riceviamo telefonate di ringraziamento. Ci vuole anche questo, nel nostro mestiere” spiega Salvatore, che ha aperto il negozio nel 1990 con la moglie Cristina. Così, nell’aria dei Macelli di Soziglia si respirano gli aromi di ricette inventate e cucinate nel retrobottega durante la pausa pranzo, mescolati agli odori del pesce fresco. “Oggi ci siamo preparati medaglioni di rana pescatrice con carciofi e gamberi, al vino bianco. Ho fatto soffriggere due teste d’aglio con un peperoncino. Ho buttato via l’aglio, ho fatto trifolare due cuori di carciofo aggiungendo vino bianco e un poco d’acqua calda. A parte ho messo i medaglioni di pescatrice e qualche gambero. Alla fine ho fatto saltare tutto assieme, ho salato e ho aggiunto foglioline di basilico di Prà”.
Il pesce arriva dal Mar Ligure, che poco offre in quantità, ma regala in qualità. Ci sono bianchetti e rossetti, il pesce spada nostrano, la rana pescatrice, dentici, orate, moroni, rombi, gallinelle, il pesce cappone. Scarseggia il pesce azzurro, poco richiesto dalla clientela. Anche per le acciughe cantate da De Andrè, è periodo di magra: se ne pescano la metà di un tempo, e il loro costo si è moltiplicato.
Olio e pesto, identità genovese
Pochi passi oltre i Macelli di Soziglia si trova la bottega “Le Gramole”, specializzata nella vendita di olio extra vergine, dove si può trovare anche un ottimo pesto fatto a regola d’arte. Ovvero, sette ingredienti, miscelati assieme: basilico di Prà, olio extra vergine, parmigiano reggiano dop, fiore sardo dop, pinoli prima scelta, aglio di vessalico, sale grosso. Dalla essenzialità, un condimento speciale. Le Gramole (il nome deriva da una parte del frantoio, la vasca dove confluisce la pasta d’olive prima di essere mandata alla pressa o alla centrifuga) ha aperto nel 2006, privilegiando, nella scelta dei prodotti, la qualità, grazie alla passione e competenza delle due proprietarie, Francesca e Norma. “Vendiamo il pesto di una piccola cooperativa, che lavora molto bene. E la nostra carta degli oli non è ampia, ma ognuno ha passato l’esame del nostro personale gusto. Abbiamo sette etichette liguri e proponiamo oli anche di altre regioni”. La passione di Francesca e Norma si rivela nella proposta, ideata in collaborazione con Mielaus, di un “Degustour” nel centro storico, che abbina assaggi di prodotti tipici alla scoperta delle bellezze nascoste di Genova. “ E’ un invito a vivere il nostro centro storico. E sembrerà strano, ma è rivolto soprattutto ai genovesi, in molti casi ignari del patrimonio cittadino. I turisti, invece, ne rimangono affascinati e spesso ne conoscono meglio le pieghe segrete”.
Una sola parola: focaccia
Proseguendo per Via Macelli di Soziglia, a breve si arriva in Via Garibaldi, “la strada nuova”, ideata nel 1550, che vi affascinerà con la sua eleganza e vi concederà fiato e panorama con le sue dimensioni, proprie di una strada di rappresentanza. I suoi palazzi, magnificenti, sono stati dichiarati dall’Unesco nel 2006 patrimonio mondiale dell’umanità. Sono quelli della Repubblica di Genova, dove, tra cinquecento e seicento, venivano ospitate corti e ambasciate giunte in città. L’accoglienza era regolata dai rolli, l’elenco delle case private di pregio rese pubbliche in queste occasioni: una sorta di reggia repubblicana, una concezione di ospitalità molto moderna, bed & breakfast di lusso per la nobiltà europea. Percorrendo Via Garibaldi vi stupiranno le facciate dipinte con illusorie architetture, gli atri imponenti, le terrazze tenute a giardino che sovrastano la strada. Verso la fine, prima della bella piazzetta della Meridiana, una discesa si tuffa nuovamente nella pancia dei vicoli, in direzione dei Quattro Canti, e poi giù per Via della Posta Vecchia. Sulla destra troverete l’insegna “Panificio Grissinificio Claretta”. Per i genovesi la focaccia non è un semplice cibo. E’ fame e sfizio, merenda e pasto. E’ la somma di ricordi e di assaggi. E’ un accordo di gusti, fragranze e consistenza che si portano dentro, fin da bambini. E’ la loro ruvida carta d’identità. Da Claretta si può assaggiare, e decisamente buona. “Mio nonno ha aperto questo negozio nel 1952, poi ci ha lavorato mio padre, ora tocca a me. Siamo una stirpe di panettieri. La nostra storia è iniziata a Torino, dove la mia famiglia ha tenuto un panificio per cento anni, poi mio nonno si è trasferito a Genova, continuando l’attività” spiega Davide, terza generazione all’opera tra i muri di questo panificio, assieme ai fratelli Michele e Chiara. Della tradizione torinese hanno ereditato la cura nel produrre i grissini, a lievitazione naturale, stirati a mano uno ad uno. A Genova hanno appreso i trucchi per fare una buona focaccia. E andando contro le mode di oggi, ovvero vetrine stracolme di focacce e pizze di cento varietà diverse, ma dal dubbio gusto, da Claretta, che è il cognome del nonno, si trovano solo la focaccia classica e quella con le cipolle. “Il segreto sta negli ingredienti. Devono essere di prima qualità: farine, nazionali ed estere, forti, di un certo costo, un buon olio. E poi la lavorazione, con della pasta madre che dia la giusta consistenza. La nostra particolarità, poi, è di mettere il sale in superficie, negli occhielli, invece che nell’impasto”. Il risultato è notevole: la focaccia, sottile, unisce morbidezza e croccantezza, è giustamente salata e conserva tutta la sua bontà anche fredda, qualche ora dopo aver abbandonato il forno. La prima teglia del giorno è pronta alle sette e un quarto del mattino, l’ultima esce alle sette di sera. Dalla colazione alla cena, impossibile perderla.
Romanengo, il bar dove trovi i fiori
Continuando la discesa per i vicoli, ci si accorge che il mare non può essere lontano. Se ne intuisce la presenza, dietro i palazzi e le chiese. Il Porto Antico, infatti, è poco distante. C’è ancora tempo per ammirare la Basilica delle Vigne e scendere fino in Via degli Orefici, a bere un caffè alla pasticceria confetteria “Vedova Romanengo”. Si torna a respirare aria d’ottocento, in questo locale aperto da Francesco Romanengo nel 1805, visitato nella sua storia da personaggi come Verdi e Cavour, che oggi propone, in un’atmosfera particolare, anticamente austera nei suoi legni e vetrine, ma invitante, caffè, confetture e gustose chicche. Come i fiori cristallizzati: viole, rose, foglie di menta, lillà e mimose, ottenuti attraverso una serie di infusioni dei fiori freschi nello zucchero e nello sciroppo. E’ un procedimento antico ancor più di questo negozio, una vera rarità. Ma non è l’unica. Per il giorno dei morti, si può trovare il pan dei morti, un dolce preparato su una ricetta segreta del 1200. E c’è anche lo sciroppo di rose, aromatica bevanda tipica delle valli genovesi, fatta con una particolare varietà di rose messe in infusione con lo zucchero e la scorza di limone. Prima di uscire, si può bere un caffè (ottimo, e dal prezzo tra i più bassi di Genova) e gustare un piccolo dolce. Poi, passando per Piazza Banchi, lo sfarfallio del mare torna all’orizzonte. Le luci del Porto Antico, nella sera, si accendono. La pudica Genova si è lasciata svelare.
Gli indirizzi
Armanino Frutta Secca
Via di Sottoripa, 105 r
Tel. 010-2476905
Sa Pesta
Via Giustiniani, 16 r
Tel. 010-2468336
Antica Drogheria
M. Torrielli
Via San Bernardo, 32 r
Tel. 010-2468359
Romeo Viganotti
Vico Castagna, 14 r (cortile)
010-2514061
Antica Tripperia
La Casana
Vico Casana, 3 r
Tel. 010-2474357
Bottega dello
Stoccafisso
Via Macelli di Soziglia, 20 r
Tel. 010-2476390
Mielaus Apicoltura
Piccardo
Vico della Rosa, 20 r
010-868778
Pescheria di Soziglia
Piazza dei Macelli di Soziglia 48-50
Tel. 010-2470811
Le Gramole
Via Macelli di Soziglia, 69 r
Tel 010-2091686
Claretta Panificio Grissinificio
Via della Posta Vecchia, 12 r
Tel. 010-2477032
Pasticceria Confetteria
“A. Vedova Romanengo”
Via Orefici, 31 r
010-2472915